A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia e dell’Avv. Maria Giulia Fenoaltea
Mio marito ha una dichiarazione dei redditi inferiore rispetto al suo tenore di vita, ma detiene partecipazione societarie rilevanti senza percepire utili, il giudice deve tenerne conto nel computo dell’assegno di mantenimento?
Oramai capita sempre più spesso di trovarsi difronte a tenori di vita alti rispetto alle dichiarazioni dei redditi, ed il coniuge che ha diritto a ricevere l’assegno di mantenimento è ragionevolmente preoccupato.
In questo caso, spetta al coniuge richiedente dimostrare il tenore di vita della controparte, ad esempio specificando il tipo di autovettura in utilizzo, i viaggi, le spese settimanali ecc.
Difatti, a prescindere dal reddito dichiarato al giudice o alla agenzia delle entrate, l’assegno di mantenimento verrà quantificato tenendo conto dell’effettivo tenore di vita condotto, se è realmente superiore rispetto alle entrate.
Questo meccanismo, viene utilizzato non solo dal giudice della separazione e del divorzio, ma anche in tutti i sistemi tributari moderni.
In Italia, infatti, con il “meccanismo del redditometro”, si parte dal presupposto che a fronte di un certo livello di spesa, vi deve essere un’entrata di pari livello; non solo, ma alla stima del reddito contribuiscono una serie di altre voci quali il tipo di abitazione, il mezzo di trasporto, le assicurazioni e i contributi, le spese per l’istruzione dei figli, le attività sportive e per la cura della persona, gli investimenti immobiliari ecc..
Com’è noto, infatti, anche il giudice della separazione o del divorzio al fine di una completa valutazione dei redditi personali delle parti in causa opera una sorta di “redditometro”, poiché obbliga redigere una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, all’interno della quale vanno inserite tutte le fonti di reddito, il patrimonio mobiliare ed immobilitare, le partecipazioni societarie ecc.
Il giudice, quindi, nel momento della decisione ha un quadro completo della capacità economico-patrimoniale del soggetto.
Quindi le partecipazioni societarie vanno calcolate ai fini dell’assegno al coniuge, anche se gli utili non vengono distribuiti?
Chiunque detiene partecipazione societarie è a conoscenza del fatto che di frequente gli utili non vengono distribuiti fra i soci, tuttavia, anche se il denaro non entra nelle tasche dei soci, costituisce una fonte di reddito.
Come si orienta la Corte di Cassazione sul tema mantenimento e quote societarie?
La Suprema Corte, con diverse pronunce ha cambiato orientamento nel senso che, al reddito del coniuge obbligato al mantenimento, vanno imputati anche gli utili non distribuiti derivanti dalla partecipazione a società di capitale.
In tema di assegno di mantenimento, per i giudici, la distinta soggettività giuridica della società rispetto alla persona fisica che ne detiene la partecipazione, non è un ostacolo alla imputazione degli utili non distribuiti.
I giudici non effettuano una valutazione puramente “formale” del reddito del soggetto, poiché sarà necessario quantificare le somme che sono oggettivamente nella disponibilità delle parti.
In altri termini, se uno dei coniugi detiene partecipazioni societarie, e se il bilancio della società corrispondente indica degli utili, al giudice non interessa che gli stessi vengano reimpiegati dalla società e non distribuii ai soci, poiché in ogni caso faranno parte del computo per l’assegno di mantenimento (in tal senso Cass. civ. n. 6103/2022).
In conclusione, si può rispondere alla domanda iniziale in senso affermativo: le quote societarie ed i corrispondenti utili anche se non distribuiti rientrano nel computo dei redditi per l’assegno di mantenimento.