Con sentenza emessa il 4 novembre 2011 il Tribunale di Roma revocava l’interdizione disposta a favore del sig. Gi.P. , dichiarata con sentenza n.16738/1996 emessa il 10/05/1996 dal Tribunale di Roma, e disponeva la trasmissione degli atti al giudice tutelare per l’eventuale apertura di una procedura di amministrazione di sostegno.
Il fatto
Con sentenza n. 16738/1996 emessa il 10/0571996 il Tribunale di Roma dichiarava l’interdizione nei confronti del sig. Gi. P., per essere, lo stesso, affetto da tetraparesi spastica cerebropatia e subatrofia oculare permanente tali da diminuire la sua capacità di intendere e volere.
I sig. D. L. e Gu. P., genitori e tutori del sig. Gi. P., ricorrevano al predetto Tribunale chiedendo che si procedesse alla revoca dell’interdizione, con la trasmissione degli atti al giudice tutelare per la nomina di un amministratore di sostegno, in quanto il figlio aveva mostrato significativi progressi nel relazionarsi con gli altri componenti del nucleo famigliare e con terzi. Progressi, ulteriormente, accertati e dichiarati da certificati e relazioni rilasciate dai medici e degli operatori di servizio che da anni seguivano il sig. Gi.P., dai quali si evince che lo stesso, pur versando in condizioni di infermità di mente, tali da compromettere significativamente la sua capacità di relazionarsi in modo compiuto con l’ambiente circostante, mostra una discreta capacità di comprendere semplici comunicazioni e di elaborare, associandoli, eventi cognitivi.
Proceduto all’audizione dell’interdetto e dopo l’intervento del pubblico ministero, il Tribunale ha accolto le istanze di parte ricorrente rivolte alla revoca dell’interdizione ed alla correlativa trasmissione, ai sensi del terzo comma dell’art. 429 c.c., degli atti al giudice tutelare per la nomina di un amministratore di sostegno.
In diritto
Il Tribunale di Roma accogliendo le richieste di parte ricorrente si è conformata alla reiterata giurisprudenza in materia di misure di protezione delle persone prive di tutto o in parte di autonomia, che a seguito della legge 9 gennaio 2004 n.6, ha configurato l’interdizione come istituto di carattere residuale, perseguendo l’obiettivo delle minor limitazione possibile della capacità di agire , attraverso l’assunzione di provvedimenti di sostegno temporaneo o permanente ( Trib. Bologna 8/03/2005 n.648; Cass. sentenza emessa il 26/10/2006 n. 22332; Cass. sentenza n. 440/2005; Cass. sentenza n.13.584 /2006; Cass. sentenza 25.366/2006).
La L. 9 gennaio 2004 n.6 ha introdotto l’istituto dell’amministrazione di sostegno, negli articoli 404 e seguenti del codice civile, e modificato gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, le due tradizionali e sole forme legali di tutela a soggetti totalmente o parzialmente incapaci. Al centro della riforma è posto l’individuo con i suoi bisogni, le sue difficoltà, le sue aspirazioni in linea con una lettura che, sulla base degli art. 2 e 3 Cost., riconosce al disabile il diritto alla protezione ed allo sviluppo della propria personalità.
Mentre l’interdizione e l’inabilitazione comportavano l’ablazione totale o parziale della capacità di agire, con effetti a volte sproporzionati rispetto alle reali necessità di protezione del soggetto; il nuovo istituto conferisce all’amministratore di sostegno poteri di rappresentanza non esclusivi senza corrispondente perdita della capacità d’agire del beneficiario di amministrazione di sostegno, conservando, quest’ultimo, la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministrazione di sostegno, di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana e atti personalissimi (art. 409 c.c.). Circa i presupposti oggettivi, la norma fa riferimento ad una impossibilità “temporanea o parziale”: l’impossibilità deve essere considerata “parziale” se si concreta in un inettitudine non radicale della persona alla cura dei propri interessi; “temporanea”, invece, è l’inettitudine che costituisca l’effetto di una malattia o menomazione di cui possa diagnosticarsi la guarigione o il superamento e che appaia non avere carattere duraturo.
Sul tema dei rapporti tra amministrazione di sostegno e interdizione e inabilitazione, il testo introdotto con L. 6/2004, non introducendo chiari criteri selettivi per distinguere l’ambito di applicazione dei tre istituti, affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità, consentendo, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto.
Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle più invasive misure dell’inabilitazione e dell’interdizione ( Cass. sentenzan.440/2005).
Il giudice, quindi, partendo dall’analogo presupposto dell’infermità mentale, presente nelle diverse figure di protezione, non effettua una scelta discrezionale, ma la opera con adeguata motivazione, seguendo le norme del codice civile e la legge n.6 /2004 per garantire alla persona inferma la tutela più adeguata nella fattispecie e per limitare, al contempo, nella minore misura possibile la capacità di agire del beneficiario.
L’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno deve essere individuato con riguardo, non al diverso o meno intenso grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma, piuttosto, alla maggiore idoneità di tala strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto.
L’amministrazione di sostegno è uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto , che si distingue dall’interdizione, non sotto il profilo quantitativo, ma, sotto quello funzionale e ciò induce a non escludere che anche in presenza di patologie particolarmente gravi possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole fattispecie e delle esigenze da soddisfare possa determinare la scelta tra i diversi istituti.
Ricordando che quello della interdizione ha ,comunque, carattere residuale, riservendolo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura ( Cass. sentenza 25.366/2006).
Il predetto orientamento risulta, inoltre, conforme ai principi generali della materia derivanti dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità di New York del 13 dicembre 2006, ratificata in Italia con L. 3 marzo 2009 n.18, che riconosce espressamente “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia e indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte “, precisando che per persone con disabilità si intendono “coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri “.
Prevede, tra l’altro, uguale riconoscimento dinnanzi alla legge e che gli Stati devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di un’autorità competente, indipendente e imparziale o di un organo giudiziario.
Alla luce di quanto esposto, nel caso in esame, non esiste nessun elemento che osti alla pronuncia di revoca dell’interdizione posto che, nonostante il sig. Gi.P. si trovava in uno stato di infermità tendenzialmente abituale, mostrava miglioramenti della sua condizione di salute, sia dal punto di vista della comprensione che della collaborazione, come indicati sia dalle relazioni mediche presentate nel procedimento sia dalla affermazioni coscientemente date, durante il procedimento, in risposta alle domande poste dal Giudice, dimostrando di essere attento e vigile e capace di comprendere il contesto che lo circonda. Inoltre il sig. Gi.P., oltre ad essere accudito dai genitori, veniva assistito dalla Fondazione Don Gnocchi che, unitamente alla famiglia, assicurava allo stesso un’adeguata misura di protezione. Inoltre, giova rilevare che quando la sig.ra L. e sig.Gu. P. hanno richiesto, nel 1995-1996, l’interdizione, questa era l’unica soluzione possibile, posto che l’istituto dell’amministrazione di sostegno non era ancora stata introdotta nel nostro ordinamento.