No al mantenimento diretto dei figli naturali in affido condiviso

Corte di Cassazione, sentenza n. 22502 del 04 Novembre 2010

Il fatto
Un padre separato proponeva ricorso contro il decreto con cui il giudice del TRIBUNALE DEI MINORI aveva stabilito a carico dello stesso la corresponsione di un assegno di mantenimento a favore della madre e nell’interesse della figlia quattordicenne, nata fuori dal matrimonio e affidata congiuntamente ad entrambi i genitori.
Il Signor XX pretendeva che venisse accolta la sua richiesta di “mantenimento diretto” sostenendo che la figlia minore, sebbene collocata prevalentemente presso la madre, passava moltissimo tempo con lui.
Egli, di conseguenza, chiedeva di poter contribuire direttamente alle esigenze quotidiane della minore, e se necessario, versare un assegno perequativo alla madre.
La richiesta di questo padre, già proposta in Corte d’Appello era, in tale sede, rimasta inascoltata.
La Corte di Cassazione, dunque, è stata chiamata a risolvere il problema se, in caso di affidamento congiunto, il genitore sia chiamato a provvedere al mantenimento dei figli in maniera diretta, o, piuttosto, debba continuare a versare un assegno di mantenimento a favore del coniuge con il quale i figli convivono.

La decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22502 del 04 Novembre 2010, ha respinto il ricorso del padre Signor XX, affermando che il mantenimento del figlio naturale affidato congiuntamente ad entrambi i genitori spetta, comunque, in maniera “indiretta” al genitore che non risiede con i figli, anche se il giudice ha stabilito l’affido condiviso.
Nel provvedimento di affidamento dei figli naturali, qualora venga disposto il collocamento prevalente degli stessi presso uno dei genitori, l’assegno di mantenimento deve essere a carico del genitore non collocatario.

La richiesta del ricorrente, nel caso di specie, non è stata accolta atteso che, in tema di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la regola dell’affidamento condiviso ad entrambi i genitori, ai sensi dell’art. 155 del nostro codice civile, comporta che la determinazione del contributo previsto dall’art. 277 codice civile, si applichi anche ad essi in forza del rinvio operato dall’art. 4 della stessa legge n. 54 del 2006.
La regola dell’affidamento condiviso non comporta alcuna deroga al principio secondo il quale ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni dei figli in misura proporzionale al suo reddito.

Ne deriva che, in applicazione del principio ora espresso, il giudice deve disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico che, in caso di collocamento prevalente presso un genitore, deve essere posto a carico del genitore non collocatario, prevedendone lo stesso art. 155 c.c. la determinazione in relazione ai tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore.
Così recita, infatti, l’art. 155 c.c., come modificato dalla legge 54/2006:
“Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.

Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.

Le motivazioni addotte dalla Suprema Corte
La corresponsione dell’assegno di mantenimento si rivela necessaria quando l’affidamento condiviso prevede il collocamento prevalente presso uno dei genitori.

Il collocatario, essendo più ampio il tempo di permanenza presso di lui, potrà gestire da solo il contributo ricevuto dall’altro genitore, dovendo provvedere in misura più ampia alle spese correnti e all’acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle spese straordinarie.
Dunque, laddove venga disposto l’affidamento congiunto dei figli il genitore non potrà invocare un diritto a concorrere al mantenimento dei figli in maniera diretta, in ragione del fatto che la decisione dell’affido congiunto incide solo sulla qualità del rapporto genitori figli, ma non sulle modalità del mantenimento, che risultano invariate rispetto a quelle generalmente applicate in caso di affidamento ad un solo coniuge.
Detto principio, come la Corte chiarisce, si applica, nel caso di affidamento condiviso, ai sensi della stessa legge n. 54 del 2006; questa, com’è noto, in materia di affido condiviso, ha esteso le disposizioni in essa contenute ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, allo scopo di offrire ai minori una tutela omogenea, a prescindere dal tipo di unione tra i genitori.
In particolare, la Cassazione sottolinea come la legge del 2006 assimili la posizione dei figli naturali a quelli nati nel matrimonio, quanto al loro affidamento, rendendo applicabili, anche in questo settore, le regole introdotte per la separazione e il divorzio: ad esempio, la potestà esercitata da entrambi i genitori, le decisioni di maggior interesse di comune accordo (con intervento diretto del giudice, in caso di contrasto), privilegio dell’affidamento condiviso rispetto a quello ad uno dei genitori, quando il primo appaia più consono rispetto all’interesse del minore, ecc..

L’intervento normativo di cui alla legge 54/2006 precisa, infatti, all’art. 4, comma 2, che “le disposizioni della presente legge si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”.
Il diritto alla bigenitorialità contenuto nella legge in questione, è volto a garantire al minore il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, e, quindi, alla separazione personale dei genitori non consegue necessariamente – come nella precedente disciplina – l’affidamento esclusivo ad uno dei due genitori dai figli.
Proprio perché la riforma dell’affido condiviso tutela i figli naturali nella medesima maniera in cui tutela quelli legittimi, continuano a rimanere applicabili i principi già affermati dal codice civile in tema di statuizioni economiche.
Ne deriva che un padre sarà onerato, in entrambi i casi, a versare un assegno mensile alla ex moglie per il mantenimento del bambino, a prescindere dalla presenza o meno di altre condizioni, quali ad esempio: l’attività lavorativa della madre o il fatto che il figlio trascorra gran parte della giornata con il padre.
In questo caso, quindi, la Suprema Corte ha espresso un netto rifiuto in ordine alla possibilità del cosiddetto ”mantenimento diretto” del figlio naturale, precisando, altresì, che, ciascun genitore, in base all’art. 155 c.c., deve provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, a prescindere dal fatto che sia coniugato o meno.
L’uguaglianza tra il trattamento riservato a coppie sposate e quello per le coppie di fatto deve, infatti, “realizzare il principio della proporzionalità”, così come stabilito dall’art 155 del codice civile.

Una proposta di legge di senso contrario avallata dalla Corte di Cassazione sentenza n. 23411 del 04 Novembre 2009

Carlo Costantini, membro della Giunta per il Regolamento, membro della I Commissione Affari Costituzionali della Presidenza del Consiglio e Interni, è stato autore, insieme all’on. Mura, di una proposta di legge dal titolo: “Nuove disposizioni in materia di affidamento condiviso dei figli” presentata l’08 febbraio 2007.

Il progetto di legge, rimasto ancora ad oggi inattuato, prevedeva, tra l’altro, anche un’enunciazione prescrittiva molto dettagliata del mantenimento diretto.

Ad un anno esatto dalla legge n. 54 del 2006, l’on. Costantini, avvocato patrocinante in Cassazione, proponeva il disegno di legge in questione al fine di dare risposta alla necessità oggettiva di apporre dei correttivi, secondo lo stesso, fondamentali per l’applicazione della legge vigente.

Come sopra descritto, la norma oggi prevede che, quando c’è l’esigenza del mantenimento del figlio minore, il coniuge non affidatario contribuisca trasferendo un assegno alla mamma che, nella maggior parte dei casi convive col minore, per contribuire al mantenimento del figlio.

Secondo l’on. Costantini questo modo di procedere rischia di determinare delle distorsioni per le quali molto spesso l’importo corrisposto viene utilizzato per finalità diverse, ma soprattutto potrebbe contribuire ad allontanare il padre dal figlio per l’esistenza di questo “filtro” nella gestione dell’interesse del minore.

Lo scopo del mantenimento diretto è, infatti, proprio quello di conservare un rapporto diretto tra genitore non affidatario e minore.

Questo aspetto, secondo tale visione, potrebbe avere il vantaggio di semplificare il rapporto tra figlio e genitore non affidatario e mantenerlo più vivo.

La stessa Corte di Cassazione, sezione I Civile, esattamente un anno fa, nella sentenza n. 23411 del 04 Novembre 2009, faceva applicazione di un principio favorevole a quanto sostenuto dall’on. Costantini ed evidentemente opposto a quello avallato oggi con la sentenza sopra esaminata n. 22502 del 2010.

Infatti, in quel caso (sent. 23411/2009), la Cassazione, oltre ad introdurre il principio dell’obbligatorietà del mantenimento del figlio naturale, da parte del genitore non convivente con questi, affermava la possibilità del mantenimento diretto da parte di ciascun genitore, ritenendo, invece, l’assegno in favore del coniuge collocatario soltanto eventuale e perequativo.

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