Al giudice ordinario la competenza a decidere sul mantenimento dei figli naturali (Corte di Cassazione sez. I, 27 ottobre 2010 n. 22001)

IL FATTO

Con la recentissima ordinanza in commento, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in sede di regolamento di competenza sulla dibattuta questione relativa all’individuazione del giudice competente a pronunciarsi in merito alle controversie relative al mantenimento dei figli naturali, attribuendo siffatta competenza al Tribunale ordinario e non al Tribunale per i minorenni.

Il conflitto negativo di competenza risolto dalla Cassazione trae origine dal ricorso presentato dalla signora X al Tribunale ordinario di Roma nell’interesse dei due figli minori.

L’adito Tribunale declinava la propria competenza in favore del Tribunale per i minorenni, il quale a sua volta sollevava conflitto di competenza innanzi alla Suprema Corte, ritenendo competente il giudice originariamente adito dalla ricorrente.

Il quesito affrontato e sciolto dalla Cassazione è il seguente: quale giudice è competente a statuire in merito al mantenimento dei figli di genitori non coniugati, il Tribunale ordinario ai sensi dell’art. 148 del codice civile, ovvero il Tribunale per i minorenni come sostenuto da copiosa giurisprudenza, anche di legittimità?

Diversamente da quanto affermato con l’ordinanza n. 8362 del 22 marzo 2007, la Cassazione individua il giudice competente nel Tribunale ordinario, sulla base di un ragionamento logico giuridico che tiene conto soprattutto delle disposizioni dettate dalla legge n. 54/2006 in tema di affidamento condiviso.

La Suprema Corte richiama quanto da essa stessa affermato nella decisione n. 4273 del 20 aprile 1991, laddove si individuava il giudice ordinario quale giudice competente a conoscere delle controversie relative al contributo economico dovuto al figlio naturale in quanto “procedimento non assimilabile a quelli contemplati dall’art. 38 disp.att. cc., vertenti direttamente sull’interesse dei figli”.

Secondo quanto sostenuto dalla Cassazione nella decisione da ultimo richiamata, infatti, le controversie concernenti il contributo economico dovuto dal genitore al figlio naturale sono introdotte dal genitore esercente la potestà non in rappresentanza del figlio minore, bensì in nome proprio; la controversia in altre parole si instaura tra due soggetti maggiorenni, i genitori naturali, ed ha come oggetto il contributo che l’uno deve versare all’altro in adempimento dell’obbligo di mantenimento del minore; ciò varrebbe ad escludere la competenza del Tribunale per i minorenni.

La Cassazione nell’ordinanza in commento ha rilevato che il riparto di competenze delineato nella non più recente decisione del 1991 non è mutato per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 54/2006. Questo, in sintesi, il ragionamento seguito dalla Cassazione.

Gli articoli 155 e seguenti del codice civile, come novellati dalla legge in tema di affido condiviso, prefigurano la contestualità delle misure concernenti l’affidamento del minore e l’esercizio della potestà e delle misure economiche riguardanti il mantenimento; il che avrebbe comportato l’attrazione della competenza a provvedere su entrambe in capo al giudice specializzato, ossia il tribunale dei minorenni, sulla base di due considerazioni già espresse nella decisione n. 8362/2007.

In primo luogo, la necessità di rispettare il principio di concentrazione delle tutele, corollario del principio costituzionale del giusto processo sotto il profilo della sua ragionevole durata.

In secondo luogo, ma non di minore importanza, la fondamentale esigenza di evitare che i minori ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati ovvero non coniugati.

Tuttavia, rileva la Cassazione nell’ordinanza di pochi giorni fa, la conclusione cui il giudice di legittimità era pervenuto nel 2007 era giustificata, in assenza di un’espressa previsione normativa, dalla necessità di garantire una pronuncia contestuale che decidesse sia sulla potestà e sull’affidamento del minore, sia sul suo mantenimento.

Quando invece la controversia attiene esclusivamente all’aspetto economico del mantenimento e non al rapporto del minore con i propri genitori, non sussiste quella esigenza di concentrazione delle tutele su cui sola si basa l’affermata competenza del giudice specializzato.

In altre parole, la legge sull’affido condiviso non avrebbe dettato un principio di unificazione delle competenze in materia di conflitti familiari; la competenza del Tribunale per i minorenni pertanto si radica solo se e solo quando esigenze di concentrazione e di effettività di tutela impongono che si risolvano contestualmente i problemi relativi sia al mantenimento sia all’affidamento e all’esercizio della potestà. Al di fuori di questa ipotesi, la competenza deve restare in capo al Tribunale ordinario; così come nel caso in esame, nel quale la domanda introduttiva del ricorso aveva ad oggetto unicamente la misura e le modalità di contribuzione da parte del padre al mantenimento dei propri figli minori.

IL PRECEDENTE (ORDINANZA N. 8362/2007)

L’apparente inversione di rotta della recentissima ordinanza n. 22001/2010 rispetto a quanto sostenuto dalla stessa Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8362/2007 trova la sua logica spiegazione nella diversità dei presupposti e della situazione di fatto che hanno portato il giudice della nomofilachia ad individuare il giudice competente in tema di mantenimento dei figli naturali prima nel Tribunale per i minorenni (2007) e poi nel Tribunale ordinario (2010).

Nel primo caso, infatti, le domande di natura economica erano state proposte contestualmente alla domanda di affidamento dei figli; nel secondo caso, non venendo in considerazione il rapporto personale tra il genitore ed il minore, è venuto a mancare il presupposto alla base dell’”attrazione” della competenza in capo al giudice specializzato, ossia l’esigenza di concentrazione delle tutele.

La decisione del 2007 era stata accolta con favore dalla dottrina, la quale aveva ritenuto possibile l’adozione, da parte del Tribunale per i minorenni, di soluzioni soddisfacenti dal punto di vista processuale in attesa di un intervento chiarificatore da parte del legislatore.

L’ordinanza n. 8362/2007 si fondava infatti su una interpretazione della legge n. 54/2006 largamente condivisa in dottrina e recepita dalla Cassazione, secondo la quale l’art. 317 bis del codice civile, “plasmato” dall’art. 155 c.c., “si arricchisce di nuovi contenuti: non solo quindi (…) dei nuovi principi sulla bigenitorialità, sull’esercizio della potestà genitoriale e sull’affidamento, ma anche della regola di inscindibilità della valutazione relativa all’affidamento da quella concernente i profili patrimoniali dell’affidamento. Il giudice specializzato è chiamato, nell’interesse del figlio, ad esprimere una cognizione globale, estesa alla misura e al modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione, e quindi investente i profili patrimoniali dell’affidamento” (Cassazione 8362/2007).

L’unicità della competenza per l’affidamento e per il mantenimento è soluzione che consente di dare piena attuazione al principio di eguaglianza, evitando che i figli di genitori non coniugati ricevano un trattamento difforme rispetto ai figli di genitori sposati; principio che trova espressione non solo a livello generale nella Costituzione, ma anche e soprattutto nella normativa sovranazionale quale ad esempio la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 e la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996.

L’interpretazione della legge n. 54/2006 nel senso sopra illustrato ha consentito alla Cassazione di superare il precedente orientamento secondo il quale le norme sulla connessione non avrebbero potuto trovare applicazione sulle competenze di natura funzionale, e perciò inderogabili, indicate dall’art. 38 disp. Att. c.c. (si vedano ad esempio Cassazione n. 4273/1991 e 3457/2002).

Dopo vari interventi, soprattutto di merito, le decisioni della Cassazione n. 8362/2007 e n. 19406/2007 hanno contribuito a fare chiarezza sul tema: il Tribunale per i minorenni è competente per quanto concerne i provvedimenti nell’interesse naturale, in considerazione del fatto che la legge ha innovato ma non abrogato l’art. 317 bis c.c., che continua a regolamentare la potestà sul figlio naturale e il suo affidamento.

La competenza del Tribunale per i minorenni sussiste anche quando contestualmente alle domande sull’affidamento sono proposte anche le domande relative al mantenimento, in virtù dell’attrazione della competenza a provvedere in capo al giudice specializzato.

Se invece la decisione riguarda unicamente il mantenimento del figlio naturale, resta competente il Tribunale ordinario (già in passato si vedano Cassazione n. 21756/2008 e n. 21755/2008).

LA CORTE COSTITUZIONALE

Il sistema così delineato ha ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale, espressasi in tal senso con la recente sentenza n. 82/2010 con la quale il Giudice delle leggi ha affermato la legittimità costituzionale dell’art. 4 comma 2 della legge n. 54/2006, sospettato di violazione degli articoli 3, 25 e 111 della Costituzione nella parte in cui non prevede che siano attribuiti alla competenza del Tribunale per i minorenni i procedimenti relativi ai figli minori di genitori non coniugati.

Secondo il giudice rimettente, la necessità di rivolgersi a due giudici differenti a seconda che si tratti di modalità di affidamento del minore o di mantenimento e l’affermata competenza del giudice minorile quando le questioni siano proposte contestualmente sarebbe in contrasto con le regole di razionalità e di uguaglianza tra figli minori legittimi e naturali, che ricevono differenti tutele da parte di diversi giudici, e tra gli stessi figli naturali, trattati diversamente a seconda che le domande di affidamento e di mantenimento siano o meno contestuali. Il contrasto è stato altresì sostenuto con riferimento alla ragionevole durata del processo e con il principio dell’immutabilità del giudice naturale, essendo lasciata al ricorrente la scelta di iniziare il procedimento davanti al giudice ritenuto competente.

La Corte Costituzionale ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione sollevata in riferimento agli artt. 25 e 111 della Costituzione, in quanto priva di motivazione.

E’ stata invece dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale rispetto all’art. 3, in quanto “non sono manifestamente irragionevoli l’attribuzione (…) alla competenza del tribunale per i minorenni della controversia relativa all’esercizio della potestà genitoriale, qualora la stessa sia contestuale alla determinazione dell’assegno di mantenimento, e l’affermazione della competenza del tribunale ordinario quando si richiede al giudice solo l’attribuzione di detto assegno: ciò soprattutto ove si tenga presente che è lo stesso intervento dell’autorità giudiziaria ad atteggiarsi in modo diverso nelle due differenti ipotesi” (Corte Costituzionale n. 82/2010).

Rileva infatti il giudice delle leggi che la soluzione delineata dal legislatore non può ritenersi irragionevole, come sostenuto dal giudice rimettente, solo perché permane una stretta relazione fra il contributo economico e le regole dell’esercizio della potestà genitoriale, o la circostanza che la questione dell’affidamento potrebbe prospettarsi in un momento successivo; infatti “la relazione fra esercizio della potestà e contributo economico, ove non si concretizzi in specifiche domande, non incide sulla competenza, mentre la possibilità di proporre successivamente una questione sull’affidamento, trattandosi di circostanza puramente eventuale, è priva di rilevanza e in quanto tale non può incidere sulla competenza”.

Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. – Ord. del 27.10.2010, n. 22001

Svolgimento del processo

I.G. ha proposto ricorso al Tribunale di Roma nell’interesse dei figli minori chiedendo che venisse disposto il contributo per il loro mantenimento.

Il Tribunale, con provvedimento in data 20 giugno 2008, ha declinato la propria competenza in favore del Tribunale per i minorenni di Roma il quale ha sollevato conflitto ritenendo competente il giudice originariamente adito.

Motivi della decisione

Il conflitto deve essere risolto con la dichiarazione della competenza del tribunale ordinario di Roma.

E’ principio acquisito, quello secondo cui “Competente a conoscere della controversia concernente l’entità del contributo che un genitore naturale deve corrispondere all’altro genitore per il figlio ancorché minorenne, che gli sia affidato o comunque da esso tenuto, è il giudice ordinario e non il tribunale per i minorenni, trattandosi di procedimento non assimilabile a quelli contemplati dall’art. 38 disp. att. c.c. – vertenti direttamente sull’interesse dei figli, specie minorenni, e caratterizzati, di norma, dalla forma camerale -, ma introdotto da uno dei genitori in nome proprio, e non in rappresentanza del figlio minore sul quale esercita la potestà, così da dar luogo ad una “lite” tra due soggetti maggiorenni, che ha come “causa petendi” la comune qualità di genitori e come “petitum” il contributo che l’uno deve versare all’altro in adempimento dell’obbligo di mantenimento del figlio” (Cassazione civile, sez. 1^, 20 aprite 1991, n. 4273).

Sull’assetto del riparto di competenza così determinato non ha inciso la legge 54/2006. Se invero “La contestualità delle misure relative all’esercizio della potestà e all’affidamento del figlio, da un lato, e di quelle economiche inerenti ai loro mantenimento, dall’altro, prefigurata dai novellati art. 155 c.c. e ss., ha peraltro determinato – in sintonia con l’esigenza di evitare che i minori ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati, oltre che di escludere soluzioni interpretative che comportino un sacrificio del principio di concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo – una attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della competenza a provvedere, altresì, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio” (Cassazione civile, sez. 1^, 3 aprile 2007, n. 8362), deve rilevarsi come a tale soluzione la Corte sia pervenuta, pur in assenza di un’esplicita previsione normativa, in esito ad un’operazione condotta con gli ordinari strumenti ermeneutici, valorizzando esigenze ravvisabili unicamente in caso di necessità di una contestuale pronuncia di misure sull’esercizio della potestà o sull’affidamento del minore e di decisioni in ordine al mantenimento del medesimo.

Quando tuttavia tali esigenze di concentrazione delle tutele non siano attuali in quanto la controversia attenga unicamente alla misura e alle modalità del contributo economico al mantenimento e sia invece stabilizzato o comunque non venga in considerazione, quale contestato presupposto per la decisione, il rapporto dei genitori con il minore non vi è ragione per adottare soluzioni interpretative difformi da quella richiamata e stabilizzata, posto che neppure dalla recente riforma può trarsi un principio generale di unificazione delle competenze in materia di conflitti familiari che, sia pure invocato dalla dottrina, non ha finora trovato il consenso del legislatore.

Avendo ad oggetto la domanda introduttiva unicamente la misura e le modalità di contribuzione da parte del padre al mantenimento dei figli ne consegue che deve dichiararsi la competenza del Tribunale ordinario.

Nulla sulle spese in difetto di attività processuale delle parti private.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul regolamento di competenza d’ufficio, dichiara la competenza del Tribunale ordinario di Roma e ne cassa la pronuncia declinatoria.

Depositata in Cancelleria il 27.10.2010

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