La casa coniugale è il luogo dove i coniugi, prima di separarsi, avevano stabilito la loro vita insieme e dove quindi vivevano, eventualmente insieme ai figli.
Art. 337 sexies c.c. – Assegnazione della casa coniugale e della casa familiare prescrizioni in tema di residenza
“Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643[…]”.
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La casa familiare o casa coniugale è l’abitazione in cui hanno vissuto insieme i coniugi e rappresenta “il luogo degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare e si svolge la continuità delle relazioni domestiche, centro di aggregazione e di unificazione dei componenti del nucleo, complesso di beni funzionalmente organizzati per assicurare l’esistenza della comunità familiare”(Sezioni Unite 13603/2004).
Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale (o familiare) è il provvedimento adottato dal giudice in caso di separazione o di divorzio dei coniugi volto ad assicurare al residuo nucleo familiare (coniuge affidatario e eventuali figli) la conservazione dello stesso ambiente di vita domestica goduto in costanza di matrimonio.
Con l’assegnazione si cerca di preservare, nel caso di separazione dei coniugi, la continuità delle abitudini domestiche nell’immobile costituente l’habitat familiare; ovvero ha lo scopo di proteggere i figli dal trauma di essere costretti a vivere lontano dal luogo dove fino a qual momento hanno condotto la loro esistenza.
Il legislatore non ha fornito una definizione di casa coniugale nonostante tale termine sia dallo stesso utilizzato.
La casa familiare è il luogo di normale e abituale convivenza del nucleo familiare, l’habitat domestico inteso come il fulcro degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si svolge e sviluppa la vita della famiglia. Si tratta del “luogo in cui la famiglia si incontrava quando era unita” (Cass. sent. n. 1198/2006) e in cui si incontra ancora, al momento della separazione (Cass. sent. n. 13065/2002). Questo termine non deve essere necessariamente collegato alla residenza familiare. Infatti i coniugi, ben possono avere una residenza differente da quella coincidente con la casa coniugale.
I giudici distinguono due significati:
Conseguentemente oggetto di assegnazione è solo quell’immobile che sia stato centro di aggregazione durante la convivenza (escludendo seconde case o altri immobili di cui i coniugi potevano avere la disponibilità) comprendente anche tutto il complesso di beni mobili, arredi, suppellettili ed attrezzature orientato ad assicurare le esigenze della famiglia.
Ai fini di creare una armonizzazione della disciplina relativa alla filiazione e ai rapporti dei figli con i genitori il legislatore, attraverso il d.lgs. 154/2013, ha inserito un corpo normativo unico: i nuovi articoli da 337 bis a 337 octies diventano le norme di riferimento relative all’esercizio della responsabilità genitoriale per tutti i tipi di controversie in tema di separazione e divorzio e in caso di interruzione della convivenza tra partners non sposati.
In particolare, in tema di assegnazione della casa coniugale la finalità rimane quella di tutelare i figli.
Per l’assegnazione della casa coniugale, i criteri da seguire sono:
Per i giudici di Piazza Cavour è irrilevante dipendere ancora dai genitori economicamente se il figlio interrompe il legame con la propria famiglia d’origine per studiare in un’altra città e vivere in altra casa.
Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.
Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio.
Ci si è posti il problema se la presenza e la convivenza di figli (minorenni o maggiorenni) costituisca una condizione essenziale per il giudice per emanare un provvedimento di assegnazione della casa in sede di separazione o se, viceversa, l’assegnazione possa essere disposta anche in assenza di figli (per esempio per equilibrare la posizione economica dei due coniugi separati).
Secondo alcuni giudici l’assegnazione della casa familiare deve rappresentare non solo uno strumento di garanzia e di tutela dai figli ma anche un modo per proteggere il coniuge che non abbia un reddito adeguato.
Altri giudici in prevalenza e più di recente, però, ammettono l’assegnazione della casa di famiglia solo in presenza di figli.
In queste ipotesi la casa resta del proprietario.
La casa è di proprietà del marito, sarà lui a continuare a vivere nell’appartamento e la moglie dovrà andare via.
Casa di proprietà della moglie, sarà il marito ad essere sfrattato.
Casa in comproprietà perché acquistata dai coniugi in regime di comunione legale: in questo caso i due possono trovare un accordo che preveda la vendita dell’immobile e conseguente di divisione del ricavato oppure l’assegnazione dello stesso al marito o alla moglie con liquidazione del 50% del valore di mercato all’altro.
Se la coppia non trova un accordo dovrà decidere il giudice.
Casa acquistata prima del matrimonio da uno dei due coniugi, resta di sua proprietà perché non entra in comunione.
Casa ricevuta in donazione da uno dei due coniugi, resta di sua proprietà perché non entra in comunione.
In una eventuale separazione consensuale, marito e moglie possono sempre trovare un diverso accordo.
I Giudici di Piazza Cavour con sentenza n°6020 del 2014 hanno ribadito che, in caso di separazione o divorzio, la casa coniugale non può essere assegnata al coniuge economicamente più debole se non vi sono figli conviventi minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti.
Se la casa è in affitto valgono le stesse regole per l’abitazione di proprietà. Quando si parla di un appartamento in affitto, nel caso di coppia con figli non autosufficienti il contratto deve proseguire con il genitore con cui restano i bambini, l’altro è tenuto a versare un mantenimento proporzionato alle sue capacità e alle esigenze dell’ex. Il mantenimento ai figli deve invece garantire a questi ultimi lo stesso tenore di vita che avevano quando ancora i genitori stavano insieme.
Nel quantificare l’assegno di mantenimento, il giudice tiene conto sia delle spese che dovrà affrontare il coniuge beneficiario che quelle a carico di chi è tenuto a versarlo, non è previsto che quest’ultimo debba anche pagare un contributo per l’affitto al coniuge separato. I soldi necessari a onorare gli impegni con il padrone di casa, con il condominio o per le utenze sono ricomprese nell’assegno di mantenimento o nell’assegno divorzile ordinario.
Ma, in base all’importo del canone, il giudice può aumentare il mantenimento al fine di garantire ai figli di restare all’interno dello stesso appartamento e non doversi trasferire. Questo perché il canone di locazione rispecchia anche il tenore di vita precedente della famiglia ed è quindi già di per sé proporzionato alle capacità reddituali del soggetto obbligato. A meno che non risulti che anche l’altro coniuge, titolare di un proprio reddito, contribuisse alle spese per la locazione, nel qual caso questi vedrà diminuire il proprio mantenimento.
Dunque, se anche il canone di affitto resta a carico di chi abita la casa e seppure tale importo non può mai costituire una voce a parte rispetto al mantenimento, il tribunale deve tenere conto della spesa che chi resta nell’appartamento dovrà sostenere per quantificare l’assegno periodico a carico dell’ex; considerando anche le nuove spese che quest’ultimo, costretto ad andare a vivere altrove, dovrà sobbarcarsi.
Le stesse regole valgono in caso di convivenza di fatto, in presenza di figli minori, l’immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario degli stessi, anche se non è il proprietario o il conduttore.
Ci possono essere dubbi per l’assegnazione quando il figlio o i figli convivono in modo saltuario con il genitore.
Ad esempio quando il figlio studente è impegnato lontano da casa.
L’articolo 337-sexies c.c stabilisce come l’assegnazione della casa familiare debba essere trascritta ai sensi dell’articolo 2643 del codice civile. La trascrizione del provvedimento ha il fine di rendere opponibile a terzi il diritto dell’assegnatario. La trascrizione di questo diritto non lo rende però un diritto reale, come parte della dottrina ha sostenuto. Il diritto dell’assegnatario deve infatti essere considerato come diritto personale di godimento (Così Cassazione 17843 del 2016). La trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare non può essere opposta al creditore ipotecario che abbia iscritto sull’immobile un’ipoteca anteriormente. La Cassazione (Sentenza 7776 del 2016) ha quindi stabilito che l’ipoteca prevale sull’assegnazione. In caso di ipoteca anteriore dunque, l’immobile potrà essere sottoposto ad esecuzione come “libero”.
In alcuni casi, quando la situazione concreta lo consente (per esempio l’immobile è molto grande) i giudici hanno ammesso l’assegnazione parziale della casa familiare suddividendola tra i coniugi e dividendola in due separate unità abitative.
Il fine principale è quello di consentire ai figli minori di mantenere rapporti significativi e paritari con entrambi i genitori cui sono affidati.
L’assegnazione parziale non può essere disposta nei casi in cui l’immobile non sia materialmente divisibile, per struttura o per ridotte dimensioni, o anche quando vi sia tra i coniugi un’insanabile conflittualità.
Il primo comma dell’articolo 337-sexies specifica in quali ipotesi avviene la cessazione del diritto in questione. “Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio“.
La ratio di questa disposizione è facilmente individuabile. Una nuova convivenza, un abbandono della casa o un nuovo matrimonio non possono infatti che far venir meno i presupposti “di continuità” sottesi all’assegnazione. L’habitat abitudinario della prole verrebbe meno e con esso viene meno la finalità della norma.
Un’altra ipotesi in cui può essere chiesta la revoca è la cessazione della convivenza da parte della prole con il genitore assegnatario. Ad avviso della Cassazione tuttavia (Sentenza 14348 del 2012) la cessazione della convivenza deve essere definitiva ed “irreversibile”.
Caratteristica principale del procedimento di separazione e di divorzio è quella di avere due fasi.
Difatti, i procedimenti di separazione personale e di divorzio sono entrambi caratterizzati da un comune modello procedimentale che prevede, prima dell’inizio della fase di cognizione piena e di quella istruttoria, una comparizione personale dei coniugi dinnanzi al Presidente del Tribunale.
La fase presidenziale è disciplinata in modo autonomo e diverso da quella successiva di fronte al giudice istruttore dove il rito si riallinea a quello ordinario a cognizione piena.
La prima fase, ovvero quella dinnanzi al Presidente, è riservata all’adozione di provvedimenti urgenti necessari per il coniuge e per i figli; la seconda all’istruzione vera e propria della causa fino alla sentenza di competenza collegiale.
La modellazione della prima fase come fase sostanzialmente “cautelare” e “anticipatoria” è rafforzata dalla previsione della reclamabilità dei provvedimenti urgenti in Corte d’Appello.
Detti provvedimenti temporanei e urgenti sono adottati dal Presidente con Ordinanza.
L’Ordinanza Presidenziale disciplina anche le successive attività del processo e dunque operare una sorta di raccordo tra la fase Presidenziale stessa e la fase successiva dinnanzi al Giudice Istruttore.
Con l’Ordinanza il Presidente detta i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole (art. 708 c.p.c.).
Questi provvedimenti detti appunto “Presidenziali” assumono un’importanza notevole in quanto servono a regolare la situazione nelle more del giudizio, che può protrarsi anche per un tempo considerevole.
I provvedimenti:
L’assegnazione della casa familiare al coniuge, collocatario dei figli minori, è opponibile al terzo acquirente solo se:
Con l’ordinanza n. 9990/2019 la Cassazione si è pronunciata su un dibattito molto acceso, enunciando un nuovo principio di diritto.
Secondo la Cassazione il diritto di abitazione della moglie assegnataria della casa coniugale prevale sul diritto del terzo acquirente di disporre della casa solo se questi ha effettuato il suo acquisto con una «clausola di rispetto» della situazione abitativa in essere oppure abbia stipulato un contratto di comodato con coloro che occupano l’abitazione. Quando non ricorrano questi presupposti, il diritto del terzo prevale sul diritto della moglie del venditore assegnataria della casa.
Intervenuto il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario nell’esclusivo interesse della prole ed immediatamente trascritto nei pubblici registri, il terzo successivo acquirente è tenuto a rispettare il godimento del coniuge del suo dante causa quale vincolo di destinazione collegato all’interesse dei figli anche a seguito del decesso dell’ex coniuge dell’assegnatario.
L’assegnazione della casa coniugale ad un coniuge, a seguito del provvedimento di separazione legale, da parte di un giudice, configura l’insorgere di un diritto di abitazione.
Questa è la regola generale che bisogna ricordare.
Nel caso in cui il giudice assegni la ex casa coniugale ad uso di uno dei coniugi, questi acquisisce il diritto di abitazione sull’immobile. Tale diritto spetta indipendentemente dalla proprietà effettiva detenuta nello stesso sull’immobile.
Proviamo a fare un esempio per capire meglio.
Ipotizziamo che la casa coniugale sia posseduta al 100% dall’ex marito. A seguito della separazione avviene l’assegnazione alla moglie.
A quel punto lei diventa titolare al 100% del diritto di abitazione sull’immobile. In pratica l’ex moglie può vantare un diritto reale sull’immobile (diritto di abitazione) anche se non ne è proprietaria.
Il diritto di abitazione fa sorgere l’obbligo del versamento IMU in capo al coniuge assegnatario.
Ovviamente, poiché dal 2014 non è dovuta l’IMU sull’abitazione principale, il coniuge assegnatario nulla dovrà pagare per la suddetta imposta. Eventualmente, se il Comune la prevede, sarà dovuto il pagamento della TASI.
Questo a meno che l’abitazione non sia classificata come immobile di lusso (categorie catastali A1, A8, A9). In questo caso, invece, l’IMU è dovuta.
Se, invece, vi sono altre persone titolari di diritti su quell’abitazione, le stesse dovranno pagare l’IMU pro quota.
Ad esempio, se l’immobile assegnato vede il diritto di abitazione di altra persona, la stessa sarà tenuta al pagamento dell’IMU per la propria quota. Su questo aspetto è di fondamentale importanza prestare la dovuta attenzione, commettere errori è assai semplice.
Il coniuge non assegnatario dell’immobile, non deve considerare come seconda casa, l’immobile (ex casa coniugale), assegnata dal giudice all’altro coniuge, a seguito della separazione.
Questo in quanto il coniuge che può vantare il diritto di abitazione, ha un diritto reale di godimento. Indipendentemente da chi sia l’effettivo proprietario dell’immobile.
Quindi, un’eventuale IMU è esclusivamente a carico del soggetto titolare del diritto di abitazione.
Il coniuge non assegnatario non è più tenuto ad inserire l’abitazione, nella propria dichiarazione dei redditi. Questo in quanto è tenuto a farlo il coniuge assegnatario.
Il coniuge non assegnatario, infatti, rimane solo “nudo proprietario” dell’immobile.
Tale esenzione risulta applicabile anche alle pertinenze dell’abitazione assegnata; dove, “per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo” (articolo 13, comma 2, del D.L. 201/2011).
Le pertinenze dell’abitazione assegnata non possono essere quindi di numero illimitato ma, al massimo, una unità per categoria catastale, purché comprese nello stesso elaborato planimetrico dell’unità immobiliare al servizio della quale sono poste.
L’esenzione, alla luce della risposta n. 22 del Comunicato Stampa n. 137/2014 del M.E.F., è applicata anche ai fini Tasi.
Il coniuge a cui è stato assegnato l’immobile nel corso della separazione dovrà pagare la Tari, ossia la tassa per i rifiuti che viene stabilita in base alla superficie dell’abitazione.