QUANDO LA CASA CONIUGALE È DI PROPRIETÀ DEI SUOCERI

A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia e dell’Avv. Alessandro Cocola

Accade spesso in molte famiglie che i genitori di uno o di entrambi gli sposi si offrano di aiutare generosamente il nucleo familiare appena formatosi, mettendo a disposizione della coppia un immobile di proprietà, da adibire a casa coniugale e dove crescere e allevare i figli.

La disciplina giuridica applicabile alla fattispecie in esame è quella del comodato d’uso gratuito, che prevede la messa a disposizione di un bene immobile da parte del comodante al comodatario senza obbligo di corrispettivo. Solitamente, il rapporto di comodato d’uso gratuito non ha una durata prestabilita ed il comodante conserva il diritto di richiedere in qualsiasi momento la restituzione del bene.

Finché la coppia di sposi rimane unita, è raro che i proprietari richiedano il rilascio della casa, ma quando interviene la separazione si assiste quasi inevitabilmente ad un drastico cambio di rotta.

Quasi come forma di ritorsione o vendetta, infatti, i genitori del coniuge abbandonato, che siano proprietari della casa coniugale, intraprendono una vera e propria battaglia morale e legale contro la nuora o il genero rimasti nella casa, al fine di cacciarli via.

Gli interessi in gioco, da dover tutelare e bilanciare, sono due: il diritto del proprietario di riacquisire la disponibilità dell’immobile e il diritto del coniuge rimasto dentro la casa con i figli di garantire loro un ambiente sano e sereno dove crescere.

È questo il caso giunto alla Corte di Cassazione, che si espressa con la sentenza n. 16769/2012, aderendo ad un consolidato orientamento in materia.

Vediamo in che termini.

IL CASO

Il Sig. S.U. aveva concesso in comodato d’uso gratuito un proprio appartamento al figlio S.P. e alla nuora P.M.G., per adibirlo a casa coniugale.

Dopo alcuni anni di matrimonio, i coniugi aveva deciso di separarsi e la casa coniugale era rimasta assegnata alla moglie in qualità di genitore convivente con i figli ancora minorenni.

Al fine di ottenere il rilascio del bene, P.M.G., S.U. aveva citato in giudizio la nuora P.M.G.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Frosinone aveva rigettato la domanda di S.U., richiamandosi all’orientamento giurisprudenziale secondo cui “quando un bene immobile sia dato in comodato per essere destinato a casa coniugale, senza limiti di tempo in favore di un nucleo familiare o in corso di formazione, si versa nell’ipotesi di comodato a tempo indeterminato e l’immobile resta vincolato alla destinazione impressa finché perdurino le esigenze della famiglia, con la conseguenza che al comodante è opponibile il provvedimento di assegnazione al coniuge affidatario dei figli minori, non potendo, quindi, ottenerne il rilascio anticipato, salva la sopravvenienza di un urgente e impreveduto bisogno”.

Nel caso di specie, il Sig. S.U. non aveva dimostrato l’esistenza di un urgente e impreveduto bisogno, per cui ad avviso del Tribunale non esistevano motivi per condannare la Sig.ra P.M.G. al rilascio dell’immobile.

Il Sig. S.U. proponeva appello dinanzi alla Corte di Appello di Roma, insistendo per ottenere la restituzione della casa, ma anche in sede di giudizio di secondo grado veniva richiamato il citato principio, con conseguente rigetto dell’appello.

Il Sig. S.U. ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione, lamentando la violazione, da parte dei Giudici di appello, delle norme in materia di assegnazione della casa coniugale in combinato disposto con la disciplina del comodato d’uso gratuito.

Ad avviso del ricorrente, infatti, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale emesso dal Giudice della separazione non avrebbe potuto produrre effetti anche nei suoi confronti, essendo egli un soggetto estraneo al giudizio di separazione.

Il Sig. S.U., in sostanza, dichiarava di essere stato leso dal provvedimento che aveva assegnato la casa coniugale alla nuora, poiché lo avrebbe ingiustamente privato della disponibilità del bene.

DIRITTO

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del Sig. S.U., esprimendo il seguente principio di diritto: “Come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, quando un terzo abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento – pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio – di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figlio maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una “funzionalizzazione assoluta” del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a “concentrare” il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2”.

Secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte, quindi, la concessione in comodato d’uso gratuito di un bene immobile da parte di un terzo in favore dei coniugi non viene meno al momento della separazione. Per tale ragione, il Giudice della separazione potrà assegnare la casa ad uno dei coniugi, anche se non ne sia il proprietario.

Infatti, l’obiettivo del provvedimento in questione è quello di tutelare i figli e consentire loro di continuare a vivere nella casa dove sono sempre vissuti in compagnia dei genitori, prima che questi si separassero.

Il coniuge assegnatario della casa coniugale, quindi, avrà tutto il diritto di rimanere a vivere all’interno dell’immobile, anche contro la volontà del proprietario, sempre che non sopravvenga un bisogno urgente e imprevisto, da dimostrare in sede processuale.

Essendo questo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, è sempre meglio riflettere due volte prima di essere così generosi con i novelli sposi.

TESTO DELLA SENTENZA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI   Maria Gabriella                    –  Presidente   –

Dott. PICCININNI Carlo                              –  Consigliere  –

Dott. DIDONE     Antonio                            –  Consigliere  –

Dott. CAMPANILE  Pietro                        –  rel. Consigliere  –

Dott. CRISTIANO  Magda                              –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.U. Elettivamente domiciliato in Roma, via Pasubio,  n.

4,  nello  studio  dell’avv. d’Errico Carlo,  che  lo  rappresenta  e

difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.M.G. Elettivamente domiciliata  in  Roma,  via

Oslavia,   n.   40,   nello  studio  dell’avv.  Di   Muccio   Ilaria;

rappresentata  e  difesa,  giusta  procura  speciale  a  margine  del

controricorso, dall’avv. Perna Fabrizio;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, n. 719 depositata

in data 9 giugno 2010;

sentita  la relazione svolta all’udienza pubblica del 25 giugno  2012

dal consigliere dott. Pietro Campanile;

sentito  per  il  ricorrente l’avv. De Sanctis  Mangelli,  munito  di

delega;

sentito per la controricorrente l’avv. Perna;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

dott.  FUCCI  Costantino, il quale ha concluso  per  il  rigetto  del

ricorso.

 

 

  • Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con sentenza in data 21 marzo 2008 il Tribunale di Frosinone rigettava la domanda con la quale S.U. aveva chiesto il rilascio, nei confronti della nuora P.M.G., di un proprio appartamento, dato in comodato al figlio P., marito della stessa, ed adibito a casa coniugale, per essere poi assegnato, nell’ambito del procedimento di separazione personale fra detti coniugi, alla convenuta, affidataria dei figli minori. Veniva in proposito richiamato l’orientamento secondo cui, quando un bene immobile sia dato in comodato per essere destinato a casa coniugale, senza limiti di tempo in favore di un nucleo familiare o in corso di formazione, si versa nell’ipotesi di comodato a tempo indeterminato e l’immobile resta vincolato alla destinazione impressa finchè perdurino le esigenze della famiglia, con la conseguenza che al comodante è opponibile il provvedimento di assegnazione al coniuge affidatario dei figli minori, non potendo, quindi, ottenerne il rilascio anticipato, salva la sopravvenienza di un urgente e impreveduto bisogno, che l’attore, allegandolo per altro in maniera affatto generica, non aveva dimostrato.

1.1 – La Corte di appello di Roma, con la decisione in esame, rigettava l’appello proposto dal S., ribadendo l’opponibilità al medesimo del provvedimento di assegnazione della casa coniugale, e rilevando che il vincolo quale casa di abitazione coniugale al bene immobile dato in comodato emergeva dagli atti acquisiti, con particolare riferimento al verbale di separazione.

Veniva altresì affermata l’irrilevanza, nel caso in questione, della mancanza di trascrizione, aggiungendosi che l’appellante nulla aveva dedotto in ordine ad un sopravvenuto ed urgente bisogno in relazione alla restituzione del bene.

1.2 – Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il S., deducendo unico e complesso motivo.

Resiste con controricorso la P..

  • Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con unico motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 155 quater cod. civ., degli artt. 18031809 e 1810 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si sostiene che, in relazione al contratto di comodato, la sfera giuridica dell’assegnatario della casa familiare, sul quale si concentrano i diritti e gli obblighi da esso derivanti, scaturisce esclusivamente dal rapporto contrattuale, non già dal provvedimento giudiziale di assegnazione, che determina esclusivamente una concentrazione di tali situazioni soggettive in capo al coniuge affidatario dei figli, senza poter incidere sulle posizioni giuridiche di un terzo, qual è il comodante.

Tanto premesso, e rilevato che il bisogno sopravvenuto del comodante costituisce presupposto di legittimità della richiesta di restituzione del bene nei soli rapporti di comodato sorretti da un termine finale, lo stesso non risulterebbe apposto al rapporto in esame, ed erroneamente la corte territoriale lo avrebbe desunto, attribuendogli efficacia costitutiva, dal provvedimento di assegnazione, per altro successivo all’instaurazione del comodato, e, come sopra rilevato, non idoneo ad incidere sul rapporto inerente al godimento del bene.

2.2 – Il motivo è infondato.

Deve premettersi che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, la sentenza impugnata non desume dal provvedimento di assegnazione della casa familiare la sussistenza del vincolo di destinazione alle esigenze familiari impresso al comodato, ma afferma che “debbono darsi per ammesse o risultano dalla documentazione in atti (verbale di separazione)” le circostanze secondo cui “la casa data in comodato fosse nella disponibilità dei coniugi al momento della separazione e che il vincolo, quale casa di abitazione per il nucleo familiare, già formatosi o in corso di formazione, fosse stato impresso originariamente al momento della dazione”.

Il motivo, a ben vedere, da un lato travisa la ricostruzione contenuta nell’impugnata decisione, attingendo, in parte qua, un significativo grado di inammissibilità; dall’altro, proprio per averle trascurate, omette completamente di svolgere qualsiasi rilievo critico circa le valutazioni, anche di natura probatoria (ammissione della circostanza, risultanze del verbale di separazione), effettuate dalla corte territoriale in ordine al termine – indipendentemente dal successivo provvedimento di assegnazione – impresso al comodato.

2.3 – A codesta sintetica, ma efficace ricostruzione della vicenda corrisponde la corretta applicazione, da parte della Corte di appello dei principi più volte affermati in materia da questa Corte, che il Collegio condivide ed ai quali intende, anzi, dare continuità.

Come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, quando un terzo abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perchè sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento – pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio – di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figlio maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica nè la natura nè il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una “funzionalizzazione assoluta” del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a “concentrare” il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2. (Cass., 21 luglio 2004, n. 13603). In casi del genere, infatti, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso al comodato un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario) idoneo a conferire all’uso – cui la cosa deve essere destinata – il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la eventuale crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante (Cass., 13 febbraio 2006, n. 3072).

Nell’ambito di tale orientamento, assolutamente prevalente, si è recentemente ribadito che la specificità della destinazione a casa familiare, quale punto di riferimento e centro di interessi del nucleo familiare, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall’incertezza che caratterizzano il comodato, cosiddetto precario, e che legittimano la cessazione “ad nutum” del rapporto su iniziativa del comodante (Cass., 14 febbraio 2012, n. 2103; Cass., 21 giugno 2011, n. 13592, relativa a nucleo familiare di fatto; Cass., 28 febbraio 2011, n. 49; Cass., 11 agosto 2010, n. 18619).

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

  • PQM

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 25 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2012

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