L’assegno di mantenimento viene stabilito dal giudice in sede di separazione, che ne stabilisce anche l’importo. Si tratta dunque di una somma di denaro versata in favore del coniuge più debole.
L’assegno di mantenimento in favore del coniuge.
L’assegno di mantenimento, è una forma di contribuzione economica che consiste nel versamento periodico di una somma di denaro da parte di un coniuge all’altro o ai figli, in caso di separazione e quando sussistano i presupposti.
Qualora uno dei coniugi non abbia redditi propri adeguati a consentirgli di conservare il precedente tenore di vita (spesso è la moglie a trovarsi in tale condizione, soprattutto quando abbia rinunciato, a beneficio della famiglia, a coltivare le proprie aspirazioni professionali), il giudice può imporre all’altro un obbligo di versare un assegno periodico, la cui entità deve essere determinata tenendo conto dei redditi del coniuge obbligato e dei bisogni dell’altro.
Questo assegno, tuttavia, non può essere attribuito al coniuge al quale sia stata addebitata la responsabilità della separazione, al quale, ricorrendone i presupposti, può essere riconosciuto solo il diritto agli alimenti, cioè a ricevere periodicamente una somma di denaro nei limiti di quanto necessario al suo sostentamento.
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Ecco i principali fattori che il giudice prende in considerazione:
Ovviamente deve tenere in considerazione il tenore che i coniugi avevano durante il matrimonio, per determinare al netto dell’assegno di mantenimento, se il coniuge richiedente ha o meno sufficienti mezzi economici per conservarlo. Se non è così, l’importo dell’assegno viene calcolato per compensare la differenza.
L’obbligo di assistenza materiale che nasce con il matrimonio non si estingue e neanche si sospende nella fase della separazione, anzi, vi è la corresponsione da parte del soggetto obbligato dell’assegno di mantenimento che non deve essere necessariamente in capo al marito.
Affinché si verifichi ciò, devono sussistere alcuni requisiti:
L’assegno da corrispondere è periodico (con scadenza generalmente mensile) e può consistere in una somma di denaro unica o in voci di spesa (per esempio il canone di affitto o le spese condominiali).
Nella stessa misura in cui continua a sussistere, in caso di separazione, l’obbligo all’assistenza materiale tra coniugi, permane l’obbligo dei genitori di contribuire al mantenimento, all’educazione e all’istruzione dei figli.
Occorre, pertanto, distinguere due situazioni:
Diritto sancito dall’articolo 147 del codice civile.
“Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis”.
L’art. 315-bis del codice civile, rubricato “Diritti e doveri del figlio”, statuisce:
“I. Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
III. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il nostro legislatore dispone che ciascun genitore è obbligato al mantenimento dei figli, in misura proporzionale al proprio reddito.
In caso di separazione, il giudice dispone l’obbligo di corresponsione di un assegno di mantenimento, tenendo in considerazione i seguenti presupposti:
Con la legge del 2006 che ha introdotto l’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, non è venuto meno l’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento, tenuto conto delle loro esigenze di vita e del contesto sociale e familiare cui appartengono.
Ai fini della determinazione dell’assegno è data dal nostro ordinamento rilevanza agli accordi liberamente sottoscritti dai coniugi e, se necessario, è il giudice a fissare la misura dell’assegno di mantenimento che uno dei genitori dovrà versare all’altro, valutando la capacità economica e considerando la complessiva consistenza del patrimonio.
Il diritto a percepire l’assegno di mantenimento può essere modificato o estinguersi mediante apposito ricorso per la modifica delle condizioni di separazione.
Il d.lgs. 154/2013 ribadisce l’obbligo dei genitori di mantenere i figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Nel caso in cui i genitori non abbiano i mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di vicinanza di grado, sono tenuti a fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli.
Nel caso in cui il coniuge obbligato sia inadempiente, il Presidente del Tribunale può ordinare che parte dei redditi dell’obbligato stesso siano versati all’altro genitore a favore dei figli.
Detto assegno spetta anche al figlio maggiorenne, sino alla sua indipendenza economica e considerato altresì il percorso di studi svolto. Il genitore gravato dall’obbligo di versare l’assegno di mantenimento non potrà cessare di versare lo stesso solo perché il figlio sarebbe astrattamente in grado di trovare un’occupazione.
La Suprema Corte di Cassazione è recentemente intervenuta (Cass. civile 30.1.2019 n. 2735). Ha infatti statuito che
“la mancata frequentazione tra il genitore e il proprio figlio, causata da una decisione del figlio, non comporta per il genitore il venir meno dell’obbligo di mantenimento economico”.
Pertanto, quest’ultimo sarà tenuto a versare l’assegno di mantenimento al figlio anche se costui ha deciso di non frequentarlo”.
Secondo quando statuito dall’articolo 155quater c.c. l’assegnazione della casa coniugale ha come fondamento la tutela della prole, non potendo essere vista come una componente “non può essere disposta come se fosse una componente dell’assegno previsto dall’articolo 156 c.c.”. Tuttavia è necessario altresì che egli valuti, “una volta modificato l’equilibrio originariamente stabilito fra le parti se sia ancora congrua la misura dell’assegno di mantenimento originariamente disposto” (Cassazione Civile, sentenza n. 9079 del 20 Aprile 2011). L’assegnazione della casa familiare è un vero e proprio atto che incide sensibilmente sulla disponibilità economica del coniuge cedente. Di conseguenza, quando il giudice determina il valore dell’assegno di mantenimento deve tener conto dell’intera entità patrimoniale dei coniugi in quanto le fonti di reddito non derivano solamente da introiti in denaro, ma anche da quei beni soggetti a reale valore economico, compreso l’assegnazione e l’uso della casa coniugale. Il godimento di tale bene è calcolabile sul piano economico in quanto costituisce un effettivo risparmio sulla spesa che bisognerebbe sostenere per abitare la casa con un contratto di locazione. Pertanto l’ammontare di tale importo va ad aggiungersi alla capacità di reddito del coniuge a cui è stata assegnata l’abitazione. Inoltre, nel caso in cui il coniuge debitore non sia economicamente in grado di versare l’assegno periodico di mantenimento, il giudice potrà assegnare la casa al coniuge creditore in sua totale o parziale copertura.
Se il reddito del coniuge obbligato aumenta è possibile un corrispondente aumento dell’assegno, a condizione che si tratti di un incremento legato alle aspettative maturate durante il matrimonio (Cass. 28 gennaio 2000 n. 958).
Significa che se l’innalzamento dello stipendio dipende da attività, e sacrifici, compiuti durante il matrimonio, che hanno manifestato gli effetti in un momento successivo, ed è possibile chiedere una revisione al rialzo dell’assegno.
COME FARE SE L’EX CONIUGE NON CORRISPONDE L’ASSEGNO DIVORZILE?
L’assegno di mantenimento è un diritto di credito riconosciuto al coniuge beneficiario da un provvedimento giurisdizionale e deve essere pagato finché quel provvedimento non viene rimosso da un altro provvedimento giurisdizionale. È ovvio che l’obbligato non può smettere di pagare l’assegno di propria iniziativa ma può domandare al giudice la rimozione qualora dovessero presentarsi nel corso del tempo le condizioni necessarie e richieste dalla legge.
La legge prevede che l’assegno non debba essere più pagato se si verificano determinate circostanze dopo l’emanazione del provvedimento giudiziale, ovvero:
L’ex lavora? Nella separazione sì all’assegno di mantenimento.
Assegno di mantenimento subentra nel periodo di separazione coniugale; deve essere erogato dal coniuge economicamente più forte nei confronti dell’altro e il suo ammontare deve garantire il mantenimento del tenore di vita al momento del matrimonio.
Invece, per l’assegno divorzile le regole sono diverse: esso subentra dopo la sentenza di divorzio e non è vincolato al mantenimento del tenore di vita. In questo caso, infatti, l’assegno serve all’autosufficienza del coniuge economicamente più debole. Quindi, se l’ex coniuge ha la possibilità di mantenersi da sé o è nelle condizioni di lavorare, il diritto all’assegno divorzile decade, così come se contrae nuove nozze, unione civile o una stabile convivenza.
Assegno divorzile quali parametri. Ricevuto una tantum no alla pensione di reversibilità
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