IL FIGLIO MAGGIORENNE CHE HA INTERESSE ALL’ASSEGNO NON PUO’ TESTIMONIARE NELLA CAUSA DI SEPARAZIONE

“Mio marito non vuole più pagare il contributo di mantenimento per nostro figlio maggiorenne che vive insieme a me. Lui sostiene che nostro figlio è diventato economicamente indipendente ma non è vero, anzi io ne chiedo l’aumento! Lo ha chiamato a testimoniare nel giudizio di separazione…può farlo?”

L’incapacità a testimoniare di un figlio maggiorenne, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., dipende dalla sussistenza di un interesse personale, attuale e concreto che lo legittimerebbe a partecipare al giudizio come parte, non dal mero legame familiare.

Questo interesse deve essere attuale e concreto e riguardare direttamente il rapporto giuridico controverso e configurarsi come giuridicamente rilevante.

Nel caso prospettato dalla cliente il figlio può essere ascoltato come testimone?

Ne dubito. La madre ha diritto a chiedere l’attribuzione di un assegno ma anche il figlio è legittimato ad ottenere il versamento diretto del contributo.

Al figlio maggiorenne spetta infatti la legittimazione processuale concorrente con quella del genitore convivente

Si tratta, in entrambi i casi, di situazioni soggettive comportanti la legittimazione ad agire e per tale motivo il figlio maggiorenne convivente con la madre ben potrebbe intervenire nel giudizio avente per oggetto il suo mantenimento.

In sintesi, un figlio è considerato incapace a testimoniare solo se ha un interesse giuridico diretto e concreto nella causa.

L’esclusione della testimonianza dunque non è automatica?

Non è automatica. La parentela di per sé non costituisce motivo valido per dichiarare l’incapacità, occorre guardare al caso concreto.

Anche un semplice interesse emotivo o morale non è sufficiente per configurare un interesse giuridico.

Ad esempio, il desiderio del figlio di favorire uno dei genitori in una causa, magari perché più attaccato ad uno dei due, non costituisce un motivo valido per dichiararlo incapace a testimoniare.

La deposizione del figlio sarà considerata valida e potrà essere utilizzata dal giudice per decidere la causa. La mancanza di un interesse giuridico diretto rafforza la neutralità della testimonianza, ma il giudice potrebbe comunque valutare con attenzione eventuali condizionamenti derivanti dal contesto familiare.

Come è valutata la testimonianza del figlio in situazioni di conflittualità familiare?

In situazioni di forte conflittualità familiare, come separazioni coniugali o dispute patrimoniali, il figlio potrebbe essere influenzato da uno dei genitori o da altri soggetti. Fenomeni di suggestione o manipolazione possono ovviamente alterare la genuinità della testimonianza. Il giudice può considerare l’impatto emotivo derivante dal legame familiare e valutare se questo abbia compromesso l’imparzialità del figlio nel rendere la sua deposizione.

E i figli minorenni?

Faccio una premessa: non bisogna confondere la testimonianza con l’ascolto del minore e di cui avevamo già parlato qui https://studiodonne.it/2022/03/31/lascolto-del-minore-e-un-diritto/

Il minore che ha compiuto dodici anni (o anche di età inferiore se capace di discernimento) ha diritto, infatti, ad essere ascoltato nei processi in tutte le questioni che lo riguardano.

Diversa è la capacità a testimoniare. La capacità di rendere una testimonianza attendibile dipende dalla maturità psicologica e dalla capacità di comprendere e riferire i fatti senza condizionamenti. In alcuni casi, il giudice può disporre accertamenti per verificare l’idoneità del minore a testimoniare.

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