L’avvocato risponde
Missiaggia a Storie Italiane su Rai 1: errore non indagare prima il marito Sebastiano
Non fu suicidio quello di Liliana Resinovich. Da una seconda perizia disposta dalla Procura di Trieste sul cadavere della donna ritrovato in un boschetto nel gennaio 2022, leggiamo la notizia che potrebbe trattarsi di omicidio, ribaltando il caso. Il corpo della donna venne rinvenuto non lontano dalla casa in cui viveva con il marito nel rione San Giovanni a Trieste a pochi passi dalla Scuole Allievi di Polizia.
Dai risultati della seconda perizia emergono lesioni sul corpo della maratoneta, mai riscontrate prima e su cui gli inquirenti dovranno indagare.
“Era stata richiesta l’archiviazione del caso. Per la Procura si trattava di suicidio – spiega l’Avvocato Maria Luisa Missiaggia nel corso del programma Storie Italiane su Rai Uno condotto da Eleonora Daniele (n.d.r. Missiaggia è stata ospite nella puntata del 16 ottobre 2024) – “il Giudice per le indagini preliminari, al contrario, evidenziato troppe le incongruenze. Per questa ragione ha quindi deciso di rimandare gli atti in Procura per nuovi approfondimenti, compresa una nuova perizia medico – legale.”
LA SECONDA PERIZIA SUL CADAVERE
Secondo la prima perizia il decesso di Liliana sarebbe avvenuto due o tre giorni prima del ritrovamento del cadavere.
“Qui emergono i primi dubbi; è mai possibile che una persona scomparsa un mese prima fosse stata viva per tutto quel tempo, tra l’altro senza cellulare, né soldi? – spiega l’Avvocato Missiaggia – come poi ho evidenziato anche nel mio intervento nel programma Storie Italiane, è stato commesso un grave errore anche negli esami tossicologici. La relazione parla di assunzione di aspirina, mentre – al contrario – si tratterebbe di mesalazina, sostanza che viene assunta da chi soffre di Morbo di Chron. Liliana prima del decesso è stata a casa di una persona affetta da questa malattia?”
I sacchetti di plastica che avvolgevano la testa di Liliana sono stati ritenuti compatibili con un suicidio. Anche se i laccetti non erano stretti intorno al collo per la prima perizia, Liliana sarebbe stata soffocata dal suo stesso respiro.
“Circostanza, anche questa, ritenuta evidentemente poco probabile anche dal GIP e che ha fatto sì che venissero disposti nuovi accertamenti. È stato perso del tempo prezioso”.
IL PERICOLO DI INQUINAMENTO DELLE PROVE
“Un inquinamento vi è già stato – sottolinea l’Avvocato Missiaggia – “il marito di Liliana (n.d.r. Sebastiano Visintin) – aveva venduto il suo cellulare ad un’amica pochi mesi dopo la morte della moglie. La prima perizia parlava di suicidio e, quindi, le opportune indagini sul marito, solo oggi indagato, sono state fatte in ritardo. Se qualcuno avesse voluto nascondere qualcosa avrebbe avuto tutto il tempo per farlo. Va ricordato che chi non è indagato non può essere sottoposto ad alcuna misura cautelare, circostanza che avrebbe evitato la cessione del cellulare, sequestrato solo dopo la decisione del GIP”.
Proprio durante la diretta di Storie Italiane è emerso che il giorno della scomparsa di Liliana il cellulare del marito sarebbe stato spento per tre ore.
“Un’altra anomalia. Per questo era essenziale sequestrare subito il cellulare. Spero che il ritardo della perizia non si ripercuota sul buon esito delle indagini, ma – va da sé – che siano stati commessi errori macroscopici”, conclude l’avvocato Missiaggia.