In situazioni ad alto livello conflittuale vi sono casi in cui un genitore con cui il minore va in vacanza, “per dispetto” ometta di dire all’altro dove stia andando.
La giurisprudenza ha ritenuto che in questi casi non vi siano gli estremi del reato, ma si possa ovviamente incorrere in sanzioni civili. Perciò colui che rifiuta di comunicare all’ex la località dove porterà i propri figli in vacanza non integra una figura di reato qualora all’interno della separazione si sia stabilito solamente di concordare il periodo di vacanza e non il luogo.
Il Tribunale di Rieti con la sentenza 15 giugno 2011 ha infatti stabilito che in una situazione in cui il padre aveva omesso di comunicare alla ex moglie il luogo in cui aveva portato i propri figli la situazione non fosse considerabile come reato: “(…) Ciò premesso, deve ritenersi che la condotta del D. non integri né il reato di cui all’art. 388 comma 2 c.p., né quello di cui all’art. 570 c.p.
Il comportamento dell’indagato ha senz’altro pregiudicato il diritto del coniuge a conoscere il luogo di villeggiatura dei figli: trattasi di una violazione piuttosto grave (oltre che priva di qualsiasi giustificazione, non rispondendo ad alcun apprezzabile interesse dell’indagato), atteso che avrebbe impedito, o reso assai difficoltoso, alla madre – nella malaugurata ipotesi di un malore od altro impedimento del padre – di riuscire sollecitamente a recuperare i propri figli o a mettersi in contatto con essi.
E tuttavia, non può essere accolta la tesi sostenuta nell’atto di opposizione secondo cui nel caso di specie l’indagato avrebbe omesso di fornire quel minimo di cooperazione necessaria a garantire l’esecuzione secondo buona fede del decreto di omologa emesso dal tribunale; in base a tale assunto, l’omessa comunicazione della località ove il D. intendeva trascorrere un periodo di villeggiatura con i figli avrebbe sostanzialmente eluso il punto 5 del decreto di omologa, che così recitava: «i genitori concorderanno i periodi che i figli trascorreranno rispettivamente con ognuno di essi durante le vacanze estive…».
(…) il punto 5 del decreto di omologa del Tribunale di Rieti prevede che i genitori debbano concordare soltanto i periodi in cui i figli trascorreranno le festività con ognuno dei genitori, il che costituisce un particolare tutt’altro che formale (o frutto di un approccio «burocratico» alla questione, come adombrato nell’atto di opposizione) atteso che l’aver limitato l’oggetto della negoziazione ai soli periodi di vacanza, fa sì che ciascuno dei genitori sia libero di scegliere la località di villeggiatura senza doverla concordare con l’altro coniuge.
Ciò non toglie che la V. aveva il diritto di sapere in quale località il marito aveva portato i figli in vacanza, ma tale diritto discendeva direttamente dall’art. 143 comma 2 c.c. – che stabilisce che dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione – e non dal provvedimento del giudice: trattasi di un diritto (quello alla collaborazione dell’altro coniuge nell’interesse della famiglia) esercitabile in ogni momento della vita familiare e che, con riguardo alla prole, non viene meno a seguito della separazione, essendo indubitabile che ciascuno dei genitori, anche in detta fase del rapporto, debba collaborare con l’altro nell’esclusivo interesse dei figli.
Di tale diritto è espressione quello di conoscere il luogo in cui si trovano i figli affidati o temporaneamente seguiti dall’altro genitore (se non altro per poter tempestivamente intervenire in caso di impedimento o difficoltà di quest’ultimo).
Nel caso di specie, pertanto, la violazione di tale diritto – che non è ricollegabile, come detto, al decreto di omologa della separazione – non dà luogo al reato di cui all’art. 388 comma 2 c.p., ma nemmeno al reato di cui all’art. 570 c.p. (il quale punisce la condotta di chiunque si sottragga agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge): poiché l’art. 143 comma 2 c.c., come abbiamo visto, distingue chiaramente gli obblighi di assistenza morale e materiale da quelli di collaborazione nell’interesse della famiglia, deve ritenersi che la violazione di questi ultimi, in applicazione del principio di tassatività del diritto penale, non rientri nella sfera applicativa della norma de qua, potendo avere conseguenze meramente civilistiche nella regolamentazione dei rapporti fra i genitori. (…)”.
È chiaro dunque come il fatto che non vi siano gli estremi del reato non significhi che il comportamento di omettere una tale comunicazione sia giusto o men che meno accettabile in quanto si incorre in ogni caso nella violazione del diritto dell’altro coniuge di conoscere il luogo dove i propri figli si trovano e che risulta sanzionabile dal punto di vista civile.
È poi affermato come ciò vada ad enorme discapito dei bambini per il cui bene i due genitori dovrebbero collaborare e non farsi delle inutili guerre.