“Avvocato, mia moglie insiste nel farmi sottoscrivere un accordo di separazione di cui io però non sono convinto anzi è un accordo che non mi riconosce nulla. Lei è una manager, io mi sono sempre occupato dei ragazzi. Ultimamente è diventata molto aggressiva. Cosa devo fare?”
La domanda ci dà l’occasione per analizzare una recente sentenza della Corte di Cassazione che si è pronunciata nel caso di un uomo che aveva firmato un accordo di separazione consensuale, poi omologato, e che poi aveva chiesto al Tribunale di dichiararsi l’annullabilità di quell’accordo poiché estorto con intimidazioni e minacce.
In particolare, il marito lamentava di aver sottoscritto un accordo di separazione nel quale non era previsto un assegno di mantenimento nonostante la differenza patrimoniale e di reddito tra lui e la moglie, che tra l’altro lo aveva allontanato dall’azienda di famiglia.
I giudici hanno ricordato i requisiti che debba avere la c.d. violenza morale, ovvero quel vizio che, ai sensi degli artt. 1434 e 1435 c.c., invalida il consenso.
Scrive la Corte “in materia di annullamento del contratto per vizi della volontà, si verifica l’ipotesi della violenza, invalidante il negozio giuridico, qualora uno dei contraenti subisca una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dalla controparte o da un terzo e di natura tale da incidere, con efficienza causale, sulla specifica capacità di determinazione del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio. Ne consegue che il contratto non può essere annullato ex art. 1434 c.c., ove la determinazione della parte sia stata indotta da timori meramente interni, ovvero da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l’oggettività del pregiudizio risalti quale idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte”.
Non sappiamo di quali condotte aggressive si sia resa protagonista la moglie di chi ci scrive ed il nostro studio legale ha bisogno di più elementi per una consulenza più approfondita ma sicuramente possiamo, in generale, tratteggiare i caratteri della violenza c.d. morale esercitata che, dal punto di vista giuridico, può portare all’annullamento di un contratto e quindi anche dell’accordo di separazione.
La minaccia deve infatti essere la causa specifica e concreta che ha portato la vittima a determinarsi a concludere esattamente quel negozio giuridico. In altre parole, se non ci fosse stata quella minaccia il contraente non avrebbe mai sottoscritto quel contratto.
Non potrà essere preso in considerazione, pertanto, un timore meramente interno o una valutazione personale di convenienza o comunque delle condotte (anche di un terzo) che però non sono idonee a spaventare e fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni ad un male ingiusto e notevole.
Dovrà invece essere valutato se la minaccia in sé e per sé è idonea a coartare la volontà dell’altro contraente, tenendo peraltro conto anche dell’età, del sesso e della condizione di quella persona (ed esempio estrazione sociale, livello culturale ecc., particolari storie personali).
Ricordiamo inoltre l’importanza della prova in giudizio e quindi dell’onere probatorio che grava sulla parte che voglia dimostrare la violenza morale e che pertanto potrà avvalersi di testimoni o potrà produrre in giudizio delle registrazioni che dimostrino il fine estorsivo.
La sentenza della Cassazione ci dà l’occasione di ricordare quanto sia importante un consenso libero e scevro da qualsiasi condizionamento e come sia preziosa, nella delicata fase di separazione, l’assistenza di un professionista che possa accompagnare il cliente nella valutazione dei propri interessi in vista della futura sistemazione dei suoi rapporti personali e patrimoniali.