Cos’è l’affidamento condiviso?
L’affidamento condiviso, a seguito della legge n. 54/2006 è diventato la prassi nell’ambito delle separazioni e dei divorzi; è, infatti, necessaria una specifica motivazione per far sì che venga invece concesso l’affidamento esclusivo a solo uno dei genitori. Oltre ad essere la prassi, l’affidamento condiviso è anche quello che è maggiormente apprezzato dal legislatore, in quanto risulta meno invasivo e garantisce un più sereno sviluppo della prole.
Nell’ambito dell’affidamento condiviso, durante il procedimento di divorzio o di separazione, l’affidamento spetta ad entrambi i genitori e deve essere gestito attraverso la cooperazione di ambedue tenendo in considerazione le primarie necessità del minore.
Che residenza avrà il minore?
Nell’ambito della valutazione compiuta dal giudice sulla residenza che il minore dovrà avere in caso di separazione si è espressa la Corte d’Appello di Ancona sez. II. Il 27/12/2016 stabilendo che: “(…) il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse dei minori il collocamento presso l’uno o l’altro genitore, a prescindere dalla conseguente e inevitabile incidenza negativa sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario (…)”.
E ancora il Tribunale di Milano sez. IX, il 19/10/2016: “Allorché sussista conflitto genitoriale e il giudice sia chiamato a stabilire il luogo in cui i minori debbano fissare la propria residenza, deve in particolare tenersi conto del tempo trascorso dall’eventuale avvenuto trasferimento, dell’acquisito delle nuove abitudini di vita, di cui è sconsigliabile il repentino mutamento, a maggior ragione se questo debba comportare un distacco dall’uno dei genitori con cui sia pregressa la convivenza stabile”.
Risulta dunque evidente l’inclinazione a porre in primo piano la serenità del minore e la necessità di sottoporlo al minimo stress possibile.
La residenza del minore sarà dunque stabilita in relazione a quale sia il genitore collocatario, favorendo, inoltre, una permanenza del minore all’interno della casa familiare senza andare quindi ad alterare più del necessario le sue abitudini.
Possono gli orari di lavoro dei genitori influire sull’affidamento e sulla residenza del minore?
Una particolare ordinanza della Corte di Cassazione al riguardo è la seguente: Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 18 ottobre 2019 – 13 febbraio 2020, n. 3652.
La questione verteva sul reclamo proposto dal signor M. con il quale si chiedeva lo spostamento della residenza della figlia nella casa del padre e l’affidamento paritetico.
In merito allo spostamento della residenza della minore, questo veniva richiesto in ragione degli orari di lavoro paterni, che, se confrontati con quelli materni, sembravano essere maggiormente congeniali alle esigenze della bambina. Al riguardo, però, sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno ritenuto che uno spostamento della residenza della bambina solamente basandosi sugli orari di lavoro dei genitori fosse non confacente all’interesse della minore e che fosse più importante una crescita serena ed equilibrata.
Crescita equilibrata che veniva garantita, anche considerando la tenera età della bambina, attraverso la convivenza della stessa con la madre, ma consentendole anche una ampia frequentazione con il padre. In ragione di tutto questo non poteva essere concesso né il cambio di residenza e né l’affido paritetico proprio per permettere una maggiore stabilità alla piccola.
In definitiva la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese.
È quindi giusto ritenere che, come emerge dall’orientamento della Corte, non può il semplice orario di lavoro di un genitore essere alla base di un cambio di residenza del minore, essendo il primario interesse del legislatore quello di curare gli interessi dello stesso minore, permettendogli, quindi, di avere una stabilità che ne permetta la corretta crescita e sviluppo.