A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia e dell’Avv. Maria Giulia Fenoaltea
“I miei figli hanno raggiunto l’indipendenza economica ed il mio ex ha chiesto la revoca dell’assegnazione della casa familiare: posso chiedere un aumento dell’assegno divorzile?”
Nel linguaggio giuridico per “casa familiare o coniugale” non si intente la residenza formale, bensì trattasi del centro di affetti, interessi e relazioni interpersonali della famiglia, ossia il luogo dove la stessa ha stabilito in via prevalente la propria vita insieme. La nozione di casa familiare prescinde dal titolo vantato dalla coppia sull’immobile, che può essere condotto in locazione, di proprietà dei coniugi o di uno solo di essi o anche semplicemente concesso in comodato da terzi.
Ciò posto, partiamo dalla norma di riferimento sulla assegnazione della casa familiare: l’art. 337 sexies del nostro codice civile, infatti, codifica alcune ipotesi di revoca dell’assegnazione della casa familiare e dispone che “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”. Inoltre, com’è ormai noto, esiste un’altra fondamentale e preminente ipotesi di revoca dell’assegnazione: il venir meno del presupposto della assegnazione della casa familiare (ossia la tutela dell’interesse prioritario dei figli minorenni ovvero maggiorenni non economicamente autosufficienti a conservare il proprio habitat familiare). Ebbene quando i figli si rendono economicamente indipendenti ed hanno una maturità tale da porter vivere lontano dai genitori la assegnazione della casa non ha più ragion d’essere poiché viene meno il suo presupposto.
Tali premesse già forniscono una risposta alla domanda poiché, qualsiasi valutazione inerente alla regolamentazione dei rapporti economici tra i genitori, è estranea al provvedimento con cui il Tribunale assegna la casa coniugale. A ben vedere, il giudice nell’assegnare la casa familiare ad uno dei genitori, non terrà conto, né del titolo di proprietà della stessa, né della parte economicamente più debole, ma farà rifermento unicamente al genitore maggiormente idoneo a coabitare in via prevalente con i figli.
Come si è espressa la Cassazione di recente sul punto?
Un recente caso affrontato dalla prima sezione civile della Suprema Corte trae origine dal ricorso proposto da una donna che lamentava la violazione dell’articolo 5, comma 6, della legge n. 890/1970; la signora, era insoddisfatta del quantum dell’assegno divorzile rideterminato in sede di appello, poiché la Corte non avrebbe considerato sul piano economico la perdita della casa coniugale, a seguito della raggiunta indipendenza economica del figlio. La difesa della donna insisteva sul fatto che la casa coniugale fosse una “utilità suscettibile di valutazione economica”, e di conseguenza, la perdita della assegnazione della stessa, doveva automaticamente vedere “ricalcolato” ed aumentato l’assegno mensile dell’ex assegnataria.
Tuttavia la Cassazione ha ritenuto infondato tale motivo di censura, poiché “la revoca dell’assegnazione della casa familiare al coniuge beneficiario dell’assegno divorzile non giustifica l’automatico aumento di tale assegno, trattandosi di un provvedimento che ha come esclusivo presupposto l’accertamento del venir meno dell’interesse dei figli alla conservazione dell’”habitat” domestico, in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dell’autosufficienza economica, o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario” (cfr. Cass. civ n. 9500/2023)”.
Risposta al quesito iniziale
In conclusione, tornando alla domanda inziale, la revoca della casa familiare di per sé non è un elemento sufficiente per giustificare l’aumento dell’assegno di divorzio, trattandosi di provvedimento fondato unicamente sul preminente interesse dei figli di non subire ulteriori pregiudizi dalla crisi genitoriale.
Viceversa, la soluzione per ottenere un aumento dell’assegno divorzile è quello di dimostrare al giudice di non aver subito incrementi reddituali e di dover supportare -obbligatoriamente- delle spese che non erano state previste in sede di quantificazione del predetto assegno.