A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia e dell’Avv. Maria Giulia Fenoaltea
Avvocato sono anni che la mia ex moglie vive insieme ai nostri figli nella casa familiare di mia esclusiva proprietà, quando potrò chiedere la revoca della assegnazione e rientrarne nel possesso?
Come saprà, la assegnazione della casa familiare ai sensi dell’art. 337 sexies c.c., è disposto tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Difatti, risponde solo all’esigenza dei figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare.
Se mancano questi presupposti viene meno l’applicazione dell’istituto in questione.
Se i suoi figli sono ancora minorenni o maggiorenni ma senza redditi, la casa familiare rimarrà a sua moglie; deve pertanto attendere la maggiore età e l’autosufficienza economica dei figli.
Tuttavia, esistono dei casi, nei quali la assegnazione della casa viene revocata anche se i figli sono ancora minorenni, vediamo come è possibile.
La casa familiare assegnata deve fungere da abitazione principale, nel senso che madre (o padre) e figli devono viverci stabilmente, non può fungere da pied-à-terre. A titolo di esempio la casa familiare potrebbe perdere la sua funzione qualora l’assegnatario ed il figlio trascorrano tutta la settimana in un’altra abitazione per ivi tornare unicamente nei fine settimana.
A titolo di esempio, espongo un caso recentemente risolto dalla Corte di Cassazione, quale esempio di revoca della assegnazione della casa.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 31 marzo 2022, n. 10453/2022 ha revocato l’assegnazione della casa familiare alla ex moglie dopo aver analizzato i presupposti in presenza di quali è legittima tale revoca.
La Corte precisa che, l’assegnazione della casa familiare all’ex coniuge affidatario, prevista dall’articolo 6, comma 6, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, persegue lo scopo di conservare l’ambiente domestico, inteso come centro degli effetti, consuetudini ed interessi in cui si esprime ed articola la vita familiare.
Ove manchi tale presupposto viene anche meno l’applicazione dell’istituto in questione.
Nel caso esaminato dalla Corte, la casa, di proprietà del marito, era stata assegnata alla moglie nel sono interesse del figlio.
Tuttavia, madre e figlio si erano trasferiti in una città diversa, nella quale la madre esercitava la sua attività lavorativa ed il figlio aveva intrapreso un percorso scolastico. La madre, tuttavia, si opponeva alla revoca dell’assegnazione deducendo di voler far ritorno alla città di origine, nella quale il figlio avrebbe iniziato il percorso scolastico, come da iscrizione già pagata dalla stessa.
Nonostante l’opposizione della madre, il trasferimento per oltre un anno in una città diversa ha interrotto la continuità delle abitudini e la casa familiare non si poteva più considerare abitazione principale, presupposto essenziale per la permanenza della assegnazione della casa.
Per tali motivi, la casa familiare ha cessato di essere tale, con conseguente preclusione della possibilità la reviviscenza del diritto all’assegnazione della casa, che è rientrata nel pieno possesso del padre proprietario.
Sul punto occorre però una precisazione, poiché nel caso affrontato dalla Corte, sia la madre che il figlio si erano trasferiti in altra città.
Diverso invece è il caso in cui il figlio, per motivi di studio, si trasferisce in un’altra città, e faccia saltuariamente ritorno nella casa familiare. In questo caso i presupposti alla base della assegnazione della casa permangono, poiché la abitazione rimane un “collegamento stabile con l’abitazione del genitore, benché la coabitazione non sia più quotidiana” (ex multis Cass. 11320/2005). In questi casi il trasferimento del figlio è temporaneo e corrispondente al percorso di studi, la casa familiare rimane sempre il punto di riferimento del figlio e pertanto permane il diritto del coniuge assegnatario”.
Quanto esposto per far comprendere che “mandare i figli a studiare all’estero ovvero in un’altra città italiana” non cambia il diritto di abitazione dell’assegnatario.