A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia e dell’Avv. Maria Giulia Fenoaltea
Vorrei chiedere al giudice l’assegnazione della casa familiare dove mio figlio non ha mai vissuto, è possibile?
L’assegnazione della casa familiare, come più volte specificato dalla Cassazione (Cfr. Cass. civ. 6 luglio 2004, n. 12309), è un istituto nato per garantire ai figli minorenni o maggiorenni, ma non economicamente sufficienti, il mantenimento dell’habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare.
L’assegnazione della casa è quindi un provvedimento diretto alla tutela dei figli affinché questi possano continuare a vivere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti e dove hanno radicato affetti e consuetudini di vita.
IL CASO
Una signora si è rivolta al nostro studio chiedendoci di insistere con il giudice per farle assegnare la casa familiare.
La situazione della nostra cliente si presentava complessa poiché la donna chiedeva che le venisse assegnata la casa dove la famiglia aveva vissuto unicamente per il primo anno di vita dei figli. Difatti, successivamente, i coniugi con i due figli minori (oggi di 11 e 12 anni) si erano trasferiti in altra abitazione sita in un altro Comune.
Abbiamo subito avvisato la signora che la richiesta di assegnazione di quella abitazione poteva essere rigettata dal giudice poiché non vi erano i presupposti richiesti dalla legge. Difatti, l’art. 337-sexies comma 1 c.c. indica quale criterio prioritario per l’assegnazione della casa coniugale l’interesse della prole a continuare a vivere nell’ambiente in cui sono cresciuti e a mantenere le consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate.
Ebbene, nel nostro caso i figli minori non erano cresciuti nella abitazione di quel Comune e tanto meno avevano radicato affetti, poiché anche tutta la parentela era situata nelle vicinanze della seconda casa familiare.
COME SI ORIENTA LA GIURISPRUDENZA?
Come stabilito a chiare lettere in un caso analogo, dall’ordinanza della Cassazione n. 14 settembre 2021, 24728, l’assegnazione della casa familiare, rispondendo all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo all’abitazione che ha costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza.
CONCLUSIONI
Per concludere, la nostra assistita, senza ulteriori cause giustificative, non potrà vedersi assegnata quella determinata casa familiare, bensì unicamente la seconda abitazione dove i bambini sono cresciuti. Quanto esposto pare in linea con l’intenzione del legislatore, che, nel disciplinare questo istituto, ha voluto preservare unicamente l’interesse della prole a continuare a stare nell’ambiente “maggiormente familiare”, nonostante la separazione dei genitori.