A sancirlo è una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, la 33463 del 18 Luglio 2018 ed è di particolare rilevanza in quanto segna una svolta nel modo di considerare la ludopatia e nel come approcciarsi alla stessa. La VI Sezione penale della Corte ha infatti stabilito, attraverso anche l’aiuto delle analisi medico scientifiche degli esperti in materia, come il disturbo da gioco d’azzardo sia un disturbo della personalità o disturbo del controllo degli impulsi destinato a degenerare e che dunque si debba escludere l’imputabilità dei soggetti affetti da seria ludopatia. Viene dunque dichiarato inammissibile il ricorso con il quale si cercava di modificare una decisione della Corte d’appello di Firenze che confermava l’impossibilità di imputare il crimine ad un soggetto ludopatico: “(…)In via preliminare va data qualificazione al disturbo da gioco d’azzardo per un percorso in cui il dato scientifico si coniughi efficacemente con i profili giuridici destinati a venire in rilievo, segnatamente, quanto alla capacità di intendere e volere dell’autore del reato e quindi sulla sua imputabilità (artt. 88 e 89 cod. pen.).
Il gioco d’azzardo patologico viene classificato per i più recenti approdi della nosologia medica (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali o DSM nei suoi successivi aggiornamenti) quale disturbo del controllo degli impulsi e definito come comportamento persistente, ricorrente e maladattativo che registra una compromissione delle attività personali, familiari o lavorative.
La giurisprudenza di legittimità chiamata ad interrogarsi sui disturbi della personalità per scrutinarne la rilevanza ai fini della imputabilità del reato ed alla loro più ampia ascrivibilità alla categoria della infermità mentale, capace di escludere o grandemente far scemare la capacità di intendere e di volere integrativa della prima (artt. 88 e 89 cod. pen.), si è trovata da tempo ad affermarne il rilievo.
Si è così detto che ‘ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i ‘disturbi della personalità, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di ‘infermità, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale.
All’indicata qualificazione si è ritenuto che consegua la non rilevanza ai fini dell’imputabilità di anomalie caratteriali o alterazioni della personalità che risultino tali da non presentare gli esposti caratteri e, ancora, gli stati emotivi e passionali che in quanto temporanei ed accidentali non sono destinati a definire un quadro di infermità come previsto dal codice penale (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317; in termini: Sez. 1, n. 52951 del 25/06/2014, Guidi, Rv. 261339; in materia di gioco d’azzardo, in termini sulla qualificazione: Sez. 2, n. 24535 del 22/05/2012, Bonadio, Rv. 253079).
Il disturbo della personalità registra una dipendenza dell’agente da situazioni e beni e può tradursi in una causa di esclusione dell’imputabilità là dove esso assuma connotati di intensità tali da escludere la capacità dell’agente di autodeterminarsi (…)
In applicazione degli indicati principi il disturbo da gioco d’azzardo è un disturbo della personalità o disturbo del controllo degli impulsi destinato, come tale, a sconfinare nella patologia e ad incidere, escludendola, sulla imputabilità per il profilo della capacità di volere (…)”.
Per tali motivi viene dichiarato inammissibile il ricorso, è infatti lo stesso articolo 85 del codice penale, con i suoi due commi, a stabilire che:
“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile.
È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere.”
È evidente come la mancanza della capacità di intendere e di volere faccia venir meno l’imputabilità del soggetto che non può dunque essere punito per la stessa mancanza di imputabilità.
La ludopatia viene dunque perfettamente equiparata ad una droga ed il ludopatico viene considerato come un tossicodipendente. La dipendenza creata dal gioco d’azzardo è infatti tale da influenzare fortemente la capacità di intendere e di volere, tanto da considerare il ludopatico come incapace.
È dunque chiaro come anche l’orientamento giurisprudenziale sia perfettamente in linea con il pensiero medico scientifico che considera la ludopatia come un vero e proprio disturbo dissociativo in grado di influire sulla capacità di intendere e di volere dei soggetti che ne sono affetti tanto da non rendere gli stessi imputabili nei procedimenti giuridici.
A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia e del dottor Ludovico Raffaelli