Appropriazione indebita: trattenere presso di sé i beni e denari dell’ex -dopo la separazione- costituisce reato.
Così si è espressa, in particolare, Cassazione penale, sez. II, sentenza 22/11/2018 n 52598.
Scatta appropriazione indebita se la moglie si rifiuta di restituire al marito i suoi beni dopo la separazione.
E’ quanto emerge dalla sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione del 22 novembre 2018, n. 52598.
In particolare, l’interversione del possesso, da cui decorre il termine per proporre la querela, si determina nel momento in cui al legittimo proprietario viene negato il diritto di riappropriarsi dei propri beni.
Ma che cos’è lì appropriazione indebita?
L’appropriazione indebita indica la condotta di chi si appropria di un bene altrui di cui ha già il possesso con una condotta intenzionale. Il reato in questione è disciplinato dall’articolo 646 del Codice penale, che recita:
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a € 1.032. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata. Si procede d’ufficio se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell’articolo 61.
In merito alla condotta di appropriazione indebita, il legislatore penale prevede delle scriminanti (delle circostanze che escludono l’applicazione della pena) se il fatto è commesso da:
• coniuge non legalmente separato;
• ascendente, discendente, affine in linea retta, adottato o adottante;
• fratello o sorella conviventi.
La difesa della donna sostiene che, in considerazione del tempo trascorso, il reato non sia configurabile, in quanto si ritiene tardiva la querela sporta dal marito dopo quasi due anni dal provvedimento di separazione che lo autorizzava a riappropriarsi dei beni personali.
Proprio per questo la sentenza n. 52598 del 22 novembre 2018 della Corte di Cassazione ha riconosciuto la punibilità della donna che rifiutava di restituire i beni all’ex coniuge poiché il comportamento delittuoso era stato posto in essere quando la separazione era già in vigore.
Dunque l’appropriazione indebita non può essere punita se il vincolo matrimoniale persiste
La Cassazione ha sancito che qualsiasi appropriazione di beni dell’ex coniuge che avvenga dopo la separazione, rientra nella condotta di appropriazione indebita ex articolo 646 del Codice penale. Pertanto la donna ha subito una condanna penale.
Riteniamo che l’udienza presidenziale da cui decorrono i termini della separazione per la proposizione del divorzio (un anno) costituisca il primo provvedimento a seguito del quale può scattare l’appropriazione di beni da parte del coniuge separato.
Anche in caso di conti in comunione dei beni infatti o di conto cointestato a firma disgiunta dell’Associazione professionale tra due coniugi anche Avvocati, a seguito dell’udienza presidenziale, ciascuno non può procedere al prelievo senza motivazione.
Attualmente lo Studio professionale Missiaggia si è occupato con successo di tali casi raggiungendo accordi a seguito di vittorie giudiziarie.