Con decreto emesso dal Tribunale per i Minorenni
dell’Emilia Romagna, veniva disposto l’affidamento
condiviso di una minorenne, ai due suoi genitori.
Si stabiliva altresì, che la stessa fosse collocata
p r e s s o l a m a d r e , p u r m a n t e n e n d o r e g o l a r e
frequentazione con il padre, nelle modalità da esso
determinate.
Prevale l’esigenza del minore alla stabilità dell’habitat
domestico e al rapporto, il più possibile continuativo con il
genitore collocatario. Contro il predetto decreto, proponeva
reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna, Sez. Civile
per i Minorenni, il padre della bambina, chiedendo in via
principale l’affidamento c.d. alternato della stessa, e in
subordine l’ampliamento dei periodi di frequentazione con la
figlia.
A dispetto di quanto richiesto, il Collegio giudicante,
confermava il provvedimento emesso dal primo giudice,
osservando che le richieste del genitore, orientate alla
realizzazione di un regime paritetico in relazione al tempo
che la minore avrebbe dovuto trascorrere con i due ex coniugi,
non rispondeva all’interesse della minore, nonché allo spirito
dell’istituito dell’affidamento condiviso.
Sollecitava, inoltre, ciascuno dei genitori a rivolgersi ad un
professionista per l’individuazione di un percorso in grado di
dare pacifica attuazione all’affidamento condiviso
nell’esclusivo interesse della figlia, dato l’elevato livello
di conflittualità presente tra i due. Si giungeva così,
dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, la quale con
l’ordinanza n. 25418 del 17 dicembre 2015, rigettava il
ricorso ivi proposto dal padre della bambina, avverso la
sentenza di secondo grado.
Niente da fare dunque per il genitore ricorrente. Anche i
Giudice di Legittimità confermavano il provvedimento emesso
dal giudice di primo grado che aveva negato la modifica del
regime di affidamento e delle modalità degli incontri
padre/figlia, sull’assunto che la “parità dei tempi non
rispondesse all’interesse del minore e allo spirito
dell’istituto dell’affidamento condiviso”.
A nulla valse neppure il richiamo, fatto dall’istante, alla
giurisprudenza della Suprema Corte europea, la quale in
diverse occasioni aveva sottolineato l’importanza del
principio di effettività e massima assiduità della
frequentazione tra il minore e il genitore non affidatario e
non collocatario.
Le esigenze di stabilità dell’habitat domestico del minore,
nonché il diritto di avere una relazione significativa e
costante con il genitore collocatario, sono questi i due
principi cardine che devono essere tutelati e che – a giudizio
della Suprema Corte – risultavano già pienamente soddisfatti
col primo provvedimento emesso dal Tribunale per i Minorenni.
Nessuna violazione, dunque, del diritto alla genitorialità e
nessun travalicamento del canone di esercizio in concreto
dell’affido condiviso – afferma la Corte –è da ravvisarsi
nelle sentenza impugnata. Tanto basta per rigettare il ricorso
del genitore e condannarlo al pagamento delle spese
processuali. La Corte in altre parole rigetta la domanda di
a f f i d o c . d . “ a l t e r n a t o ” p r o p o s t a d a l g e n i t o r e n o n
collocatario, facendo prevalere l’interesse del minore alla
stabilità dell’habitat familiare e domestico e alla
salvaguardia del rapporto, il più possibile continuativo e
stabile, con il genitore collocatario.
Come noto, l’affidamento alternato è quella forma di
affidamento che postula l’esercizio esclusivo “alternato” per
l’appunto, della potestà genitoriale da parte di quello fra i
due coniugi, che in quel lasso temporale ne risulti essere
l’affidatario. Cosa diversa è l’affidamento congiunto, ove
entrambi i genitori ex coniugi, assumono pari responsabilità e
pari poteri nella crescita e nello sviluppo psico-fisico dei
figli minori, con il vantaggio di garantire a questi ultimi,
la possibilità (non di poco conto!) di non perdere l’apporto
educativo di entrambi i genitori.
L’affidamento c.d.“alternato” è quella forma di affidamento
che ha maggiormente risentito e che ancora risente nella
pratica, delle difficoltà conseguenti ai possibili
perturbamenti all’equilibrio psicofisico e affettivo del
minore derivanti dalla circostanza ad esso connaturata di
essere spostato in continuazione, ora dalla casa della propria
madre ora a quella del padre e viceversa.
Tanto basta ad inibire gli operatori del diritto dal farne un
uso “avventato”. Al contrario, nella prassi giurisprudenziale
l’istituto non ha riscosso molto successo e, il suo utilizzo è
pressocchè raro e insolito. Preferibile è la forma
dell’affidamento condiviso, soprattutto quando fra i genitori
non sussiste un elevato grado di conflittualità, atteso che
ancora si ritiene che l’opzione in commento possa essere
frutto di un possibile accorso fra i genitori.
Soprattutto in passato si è sostenuto «tale misura fosse la
più vicina a quello “spirito di collaborazione che dovrebbe
informare di sé, come si è tante volte osservato, anche la
rottura dell’unione: non già nel miraggio di un ripristino
velleitario e forzato della vita in comune, ma allo scopo di
rendere meno traumatici i momenti di distacco (…) è evidente
allora che non si possa scegliere una tale forma di
affidamento quando persistano contrasti fra i coniugi ed il
minore per primo esprima il desiderio di un affidamento
e s c l u s i v o ; e i l p e s o d e i f a t t i d o v r e b b e p r e v a l e r e
sull’illuminato ma irrealistico “dover essere” giudizialmente
imposto». (BRECCIA).
A d o g g i , c i ò n o n o s t a n t e s i r e g i s t r a i n d o t t r i n a e
giurisprudenza un cambiamento di rotta. Si ritiene che la
scelta dell’affidamento congiunto non può e non deve essere
impedita dall’elevata conflittualità presente nel rapporto fra
i coniugi, ma sia da preferire comunque, atteso che proprio la
scelta dell’affidamento congiunto può rappresentare uno
strumento per abbattere il tasso di conflittualità fra gli
stessi.
Avv. Sabrina Caporale
Per approfondire l’argomento leggete questo articolo: http://studiodonne.it/wp-admin/post.php?post=8854&action=edit