Revoca dell’assegnazione della casa coniugale – Quando sussiste il presupposto dell’allontanamento o abbandono della casa coniugale dal coniuge affidatario

Con sentenza n.14348, emessa in data 9 agosto 2012, la Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dal sig. M.A. con il quale chiedeva la revoca dell’ assegnazione  della casa coniugale, di sua proprietà, affidata all’ ex coniuge, convivente con la figlia minorenne.
In fatto
Con decreto del 19-20 settembre 2007, il Tribunale ordinario di Messina omologava le condizioni di separazione consensuale tra P.C. e M.A.. Alla sig.ra P.C. veniva riconosciuto il diritto di godimento della casa familiare, di proprietà del marito, nella quale conviveva con la figlia minore S. affidatale.
Il 19 novembre 2009 il sig. M.A. ricorreva dinnanzi al Tribunale di Messina chiedendo la revoca dell’assegnazione   della casa familiare deducendo che la moglie e la figlia non abitavano stabilmente in tale appartamento, essendosi la sig.ra P. trasferita con la figlia presso la casa dei genitori.
La sig.ra P. , costituendosi in giudizio, dichiarava che, per esigenze lavorative, era  costretta ad “appoggiarsi” per cinque giorni alla settimana presso la casa dei genitori che si occupavano della bambina in sua assenza, continuando ad abitare stabilmente nella casa familiare.
Con decreto del 9 giugno 2009 il Tribunale respingeva il ricorso.
Avverso il decreto, il sig. M.A. proponeva reclamo.
Il 21 dicembre 2009 la Corte d’Appello di Messina respingeva il reclamo.
 Il sig. M.A. proponeva ricorso per Cassazione, che veniva rigettato dal Procuratore generale.
In diritto
Con tale sentenza la Corte ha ridefinito i presupposti necessari ai fini della richiesta di revoca del titolo di godimento della casa familiare riconosciuto ad uno dei coniugi separati, affidatario del figlio minore.
L’istituto dell’assegnazione della casa coniugale è attribuito tenendo conto dell’interesse del minore, art.155-quater cod. civ.,  corrispondendo all’esigenza di conservare ai figli di coniugi separati l’habitat domestico in modo tale da garantire il loro sviluppo psichico e fisico riducendo al minimo il trauma della separazione (Cass. n.14553 del 2011).
Lo stesso art. 155 quater cod. civ. prevede espressamente che: “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare ….”.  In queste ipotesi, venendo meno la funzione primaria dell’istituto dell’assegnazione ( la conservazione dell’ambiente domestico a tutela della prole), cadrà il vincolo di destinazione funzionale  e l’appartamento potrà tornare nella disponibilità del proprietario ( coniuge estromesso).
Nella specie, la Corte ha dichiarato che “l’abitazione coniugale non è stata abbandonata dal coniuge, che solo temporaneamente nel corso della settimana, per fondate ragioni lavorative, si appoggia in casa dei suoi genitori. Tale circostanza non snatura la funzione primaria della casa familiare, dove le due donne si recano ogni fine settimana e nei periodi di vacanza, ovvero quello di assicurare al minore la propria armoniosa crescita senza subire il trauma aggiuntivo dell’allontanamento definitivo del luogo ove ha trascorso i primi anni di vita”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 9 agosto 2012, n. 14348

Svolgimento del processo
che M.A., con ricorso del 19 novembre 2008, adì il Tribunale ordinario di Messina, chiedendo la modificazione delle condizioni della separazione consensuale dalla moglie P. C., omologata dallo stesso Tribunale con decreto del 19-20 settembre 2007, con la quale era stato convenuto, tra l’altro, che la figlia minore S. era affidata alla madre e che il godimento della casa familiare – di proprietà del marito – era attribuito alla P.;
che il M. dedusse, in particolare, che la moglie e la figlia di sei anni non abitavano più stabilmente nella casa familiare – sita nella frazione (OMISSIS), essendosi la P. trasferita con la figlia minore presso la casa dei propri genitori – sita in (OMISSIS), e chiese perciò la revoca dell’assegnazione;
che, costituitasi, la P. concluse per la reiezione del ricorso, dedusse che, lavorando come infermiera turnista nel reparto di terapia intensiva neonatale dell’Azienda ospedaliera (OMISSIS), era stata costretta ad “appoggiarsi” per cinque giorni alla settimana presso la casa dei genitori che provvedevano alla bambina (scuola, pasti) in sua assenza, e precisò tuttavia che lei stessa e la figlia abitavano stabilmente nella casa familiare tutti i fine settimana, i giorni festivi e la stagione estiva;
che il Tribunale adito – all’esito di istruzione probatoria documentale ed orale -, con decreto del 9 giugno 2009, respinse il ricorso;
che, a seguito di reclamo del M. cui resistette la P., la Corte d’Appello di Messina, con decreto del 21 dicembre 2009, respinse il reclamo;
che la Corte, per quanto in questa sede rileva, ha osservato: a)…
il provvedimento impugnato non merita le censure mosse dal reclamante dal momento che la compiuta istruttoria ha permesso di accertare che l’abitazione coniugale non è stata abbandonata dal coniuge affidatario della minore che solo temporaneamente nel corso della settimana, per fondate ragioni lavorative (ella è infermiera presso l’Ospedale (OMISSIS) e la casa familiare è ubicata in zona SUD della città a (OMISSIS)), si appoggia alla casa dei propri genitori che, viceversa, si trova in zona NORD e che possono aiutarla nella crescita della piccola S. senza negarle i necessari supporti di ordine logistico che sono fondamentali nello svolgimento dei bisogni quotidiani; b)… la circostanza che la bambina sia stata iscritta in una scuola di (OMISSIS) non comporta lo snaturarsi della funzione della casa familiare, ove le due donne si recano ogni fine settimana e nei periodi di vacanza, poichè il domicilio coniugale mantiene la sua funzione primaria che è quella di assicurare al minore la propria armoniosa crescita senza subire il trauma aggiuntivo dell’allontanamento definitivo dal luogo ove ha trascorso i primi anni di vita così come il riferimento all’aiuto economico che i genitori assicurano alla P. evitandole di ricorrere a persone stipendiate per la cura della bambina non significa considerare la casa familiare come un surrogato parziale dell’assegno di mantenimento dal momento che il Tribunale ha solo inteso fare riferimento a ragioni di equità che suggeriscono di assecondare una scelta della madre che non equivale ad abbandono della casa coniugale (del resto, la sistemazione precaria in casa dei nonni materni non assicurerebbe alla figlia della coppia la necessaria stabilità della quale ella necessita specie con il passare degli anni) e che, di conseguenza, non integra un fatto sopravvenuto che possa giustificare la invocata revoca della assegnazione della casa;
che avverso tale decreto, M.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;
che resiste, con controricorso, P.C.;
che il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
che, con il primo motivo (con cui deduce: Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione a quanto disposto dall’art. 155-quater c.c.), il ricorrente critica il provvedimento impugnato e – sulla premessa che la ratio dell’art. 155-quater cod. civ. sta nell’assicurare la conservazione dell’ambiente domestico ai figli – sostiene che i Giudici a quibus:
a) hanno omesso di considerare che, nella specie, le pacifiche circostanze di causa integrano la fattispecie di revoca di cui allo stesso art. 155-quater, comma 1, terzo periodo avendo la casa familiare perduto la sua naturale funzione di tutela della figlia minore, tenuto anche conto dei fondamentali principi enunciati sia dalla Corte di cassazione sia dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 308 del 2008; b) avrebbero dovuto decidere la fattispecie secondo il criterio della “prevalenza” della vita della prole presso la casa familiare o altrove;
che, con il secondo (con cui deduce: Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2691 c.c. e all’art. 112 c.p.c.) e con il terzo motivo (con cui deduce: Omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il ricorrente critica ancora il provvedimento impugnato, sostenendo che sia il Tribunale sia la Corte d’Appello hanno fondato la decisione sul solo interrogatorio libero della P., non ammettendo e non assumendo l’interrogatorio formale di quest’ultima e la prova testimoniale articolata, in tal modo impedendo l’esercizio del proprio diritto alla tutela giurisdizionale, violando i principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ed omettendo qualsiasi motivazione al riguardo;
che il ricorso non merita accoglimento; che il primo motivo è infondato;
che la fattispecie sottostante al presente ricorso consiste in ciò, che la controricorrente – separata consensualmente dal ricorrente, affidataria della figlia minore ed assegnataria della casa familiare -, in ragione del lavoro svolto (infermiera turnista nel reparto di terapia intensiva neonatale dell’Azienda ospedaliera (OMISSIS), sita a notevole distanza dalla stessa casa familiare) e delle necessità di accudimento della figlia minore (che frequentava l’asilo ed attualmente frequenta la scuola elementare), vive per cinque giorni della settimana presso la casa dei propri genitori (sita in vicinanza del luogo di lavoro), i quali possono assicurare detto accudimento (scuola, pasti), e torna presso la casa familiare nei fine settimana, nei giorni festivi e nel periodo estivo;
che tale fattispecie, sostanzialmente incontestata tra le parti, pone la questione se ad un comportamento siffatto, o di analogo contenuto, del genitore affidatario del figlio minore (o convivente con il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente) ed assegnatario della casa familiare consegua necessariamente, oppure no, l’estinzione del diritto al godimento della stessa e, conseguentemente, la revoca della sua assegnazione, ai sensi dell’art. 155-quater c.c., comma 1, terzo periodo, nella parte in cui dispone che Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare …;
che la risposta negativa si impone per le considerazioni che seguono:
a) in primo luogo, essendo ormai legislativamente stabilito che Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli (art. 155-quater c.c., comma 1, primo periodo), tale disposizione risponde all’esigenza, prevalente su qualsiasi altra, di conservare ai figli di coniugi separati l’habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (cfr., ex plurimis e tra le ultime, la sentenza n. 14553 del 2011); b) in secondo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 308 del 2008 – nel dichiarare non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155-quater c.c., comma 1, introdotto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 1, comma 2, (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), anche in combinato disposto con l’art. 4 della stessa legge, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., nella parte in cui prevede la revoca automatica dell’assegnazione della casa familiare nel caso in cui l’assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio -, ha affermato, in via generale, che dal contesto normativo e giurisprudenziale emerge che non solo l’assegnazione della casa familiare, ma anche la cessazione della stessa, è stata sempre subordinata, pur nel silenzio della legge, ad una valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all’interesse della prole, da tale principio deducendo, con riferimento specifico alla fattispecie, che l’art. 155-guater cod. civ., ove interpretato, sulla base del dato letterale, nel senso che la convivenza more uxorio o il nuovo matrimonio dell’assegnatario della casa sono circostanze idonee, di per se stesse, a determinare la cessazione dell’assegnazione, non è coerente con i fini di tutela della prole, per il quale l’istituto è sorto, e concludendo nel senso che La coerenza della disciplina e la sua costituzionalità possono essere recuperate ove la normativa sia interpretata nel senso che l’assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore; c) in terzo luogo, anche l’art. 155-quater c.c., comma 1, terzo periodo, nella parte in cui dispone che Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare …, deve essere interpretato, in conformità con i predetti principi, nel senso che, sebbene tali casi di revoca dell’assegnazione della casa familiare siano collegati ad eventi che fanno presumere il venir meno della esigenza abitativa, tuttavia la prova di tali eventi – che onera chi agisce per la revoca – deve essere particolarmente rigorosa in presenza di prole affidata o convivente con l’assegnatario ed attestare in modo univoco che gli eventi medesimi sono connotati dal carattere della “stabilità”, cioè dell’irreversibilità, ed inoltre nel senso che il giudice investito della domanda di revoca deve comunque verificare che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole affidata o convivente con l’assegnatario;
che i Giudici a quibus si sono sostanzialmente conformati a tali principi in quanto, nel sottolineare che, in presenza della su descritta fattispecie, la scelta della madre … non equivale ad abbandono della casa coniugale perchè determinata da serie ragioni sia di lavoro sia, conseguentemente, di accudimento familiare e scolastico della figlia minore nei relativi periodi di assenza presso la casa dei nonni materni, hanno correttamente ritenuto che l’allontanamento infrasettimanale dalla casa familiare non è connotato dal carattere della “stabilità” e, quindi, non integra la condizione essenziale per la revoca dell’assegnazione della casa familiare;
che il secondo ed il terzo motivo – unitariamente considerati – sono inammissibili;
che, infatti, il ricorrente – nel dolersi che i Giudici a quibus hanno fondato la decisione impugnata sul solo interrogatorio libero della controricorrente, non ammettendo e non assumendo l’interrogatorio formale di quest’ultima e la prova testimoniale articolata, in tal modo impedendo l’esercizio del proprio diritto alla tutela giurisdizionale, violando i principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ed omettendo qualsiasi motivazione al riguardo – non deduce nè argomenta circa il carattere “decisivo” delle circostanze articolate a prova orale (per interrogatorio formale e per testimoni), tale cioè da condurre ad una decisione diversa ed a sè favorevole ove tali prove fossero state ammesse ed assunte, essendosi limitato a trascrivere, nella descrizione dello svolgimento del processo di primo grado, i capitoli di prova, con ciò dando per dimostrato il loro carattere decisivo;
che le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

 

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