Affido condiviso e affido congiunto: prevale l’interesse del minore

Con la recente sentenza n. 16593/2008 la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al rapporto tra affidamento esclusivo e affidamento condiviso alla luce della normativa introdotta con la legge n. 54/2006.

Il fatto

Con sentenza dell’11 Aprile 2007 la Corte di Appello di Napoli confermava la decisione del Tribunale di primo grado con il quale era stata pronunciata la separazione personale tra P. e R., con addebito della stessa al sig. P. e affidamento del figlio minore e della casa coniugale alla signora R.

Il giudice di primo grado aveva disposto altresì a carico del P. un assegno mensile di mantenimento pari a € 750,00 a favore della R. e € 1.200,00 a favore del minore; la Corte Territoriale confermava anche tale punto della statuizione di primo grado.

Avverso la decisione di secondo grado il P. proponeva ricorso per cassazione, contestando l’addebito della separazione, l’affidamento esclusivo del minore alla madre, l’assegnazione alla stessa della casa coniugale e l’attribuzione dell’assegno a suo carico in favore della moglie e del figlio.

Con il primo motivo di ricorso il P. lamentava il rigetto in primo grado, confermato in appello, della sua istanza di ammissione di atti relativi a procedimenti penali intentati nei suoi confronti dalla ex moglie e conclusisi con provvedimenti di archiviazione; la Suprema Corte riteneva inammissibile tale doglianza in quanto l’efficacia probatoria degli atti in questione era stata esclusa dai giudici di primo e secondo grado secondo una valutazione di merito non suscettibile di riesame in sede di legittimità.

Per le medesime ragioni (difetto di autosufficienza, non aderenza e non pertinenza al quid decisum dei quesiti di diritto posti dal ricorrente), la Corte rigettava altresì il secondo e il terzo motivo di ricorso, con i quali il P. chiedeva sostanzialmente un inammissibile riesame di alcune risultanze dei processi di merito, in particolare di quelle circostanze che avevano portato all’addebito allo stesso della separazione per comportamenti violenti tenuti in presenza del minore, nonché delle risultanze processuali in base alle quali i giudici di merito avevano ritenuto non provata una presunta relazione omosessuale della moglie, addotta dal P. quale ragione di addebito alla stessa della separazione.

Le riflessioni della Cassazione su affido esclusivo e affido condiviso

Nel rigettare il quarto motivo di ricorso (violazione degli artt. 155 e 155 bis c.c.) la Suprema Corte ha enunciato ed illustrato i principi fondamentali cui è informata la disciplina relativa ai provvedimenti riguardo ai figli dei coniugi separati, alla luce delle modifiche apportate dalla l. 54/2006.

In particolare, la Cassazione ha richiamato il diritto dei figli alla bigenitorialità, ovvero a continuare ad avere un rapporto con entrambi i genitori dopo la separazione; ha evidenziato la centralità dell’affidamento condiviso nel nuovo assetto dei rapporti genitori-figli, in una netta cesura con il precedente sistema  che lo confinava a eccezione della generale regola dell’affidamento esclusivo.

La Suprema Corte ha poi sottolineato come alla regola generale dell’affido condiviso possa derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore; in mancanza di una tipizzazione delle circostanze dell’affido condiviso, spetta al giudice valutare se nel caso concreto l’interesse del minore sia meglio realizzato con l’affidamento esclusivo ad un genitore piuttosto che con l’affido condiviso ad entrambi, laddove uno di essi abbia in concreto dimostrato di non essere idoneo al ruolo di genitore affidatario.

Ha precisato la Suprema Corte che perché si possa derogare alla regola dell’affidamento condiviso non è sufficiente la mera conflittualità tra coniugi, naturale e fisiologica in qualsiasi vicenda di separazione, ma debba essere verificata una concreta inidoneità negativa di un genitore che renda in concreto l’affidamento condiviso contrario agli interessi del minore. In altre parole, l’affidamento esclusivo, alla luce della centralità attribuita dalla nuova normativa all’affido condiviso, deve fondarsi su una motivazione approfondita che tenga conto non solo in positivo delle qualità educative ed affettive del genitore affidatario ma anche e soprattutto della condotta pregiudizievole dell’altro genitore tale da sconsigliare l’affidamento ad entrambi.

Secondo la Cassazione tali principi sono stati rispettati dai giudici di merito, i quali hanno considerato da un lato la capacità educativa della madre e dall’altro il comportamento del marito che, al di là di una mera conflittualità tra coniugi, manifestava una inidoneità alla condivisione della potestà genitoriale incompatibile con la tutela del’interesse del minore.

La Suprema Corte rigettava infine gli ulteriori motivi di ricorso relativi alla spettanza dell’assegno di mantenimento in favore della moglie e alla assegnazione alla stessa della casa coniugale, in quanto i giudici di merito avevano assolto all’onere di una motivazione giuridicamente corretta ed esente da critiche sul piano della legittimità.

Il precedente giurisprudenziale

I principi di diritto enunciati dalla Cassazione nella sentenza in commento erano stati anticipati in una pronuncia di merito di poco precedente. Il Tribunale per i minorenni di Catanzaro, con decreto del 27.05.2008, aveva affrontato un caso analogo a quello sottoposto al vaglio del giudice di legittimità.

In particolare, il Tribunale aveva accolto l’istanza di affidamento esclusivo della madre di un minore in quanto l’affidamento congiunto avrebbe pregiudicato l’interesse dello stesso a causa della condotta razzista e perciò diseducativa del padre.

La motivazione dell’esclusione dell’affidamento condiviso è in linea con i principi illustrati dalla Cassazione, sebbene ad essa precedenti, sia sotto il profilo positivo (idoneità della madre) che sotto quello negativo (inidoneità del padre, in considerazione dei suoi precedenti penali per omicidio, del persistente etilismo, della condotta razzista assunta ai danni di tossicodipendenti ed omosessuali).

Affido esclusivo e affido condiviso

Dall’analisi congiunta delle due decisioni ora esaminate e tra loro quasi contemporanee, è possibile trarre dei principi generali in tema di rapporti tra affidamento condiviso e affidamento esclusivo.

In primis, occorre ribadire la centralità dell’affidamento condiviso nell’ottica di un sistema basato sulla bigenitorialità e sulla assoluta prevalenza dell’interesse del minore.

Proprio l’interesse del minore giustifica la possibilità che la regola dell’affido condiviso sia disattesa in presenza di particolari circostanze, adeguatamente motivate, che rendano preferibile l’affidamento a quel genitore che ha dimostrato idoneità educativa ed affettiva in assenza delle medesime garanzie nell’altro genitore.

Pur accordando una netta prevalenza all’affidamento condiviso, il legislatore ha comunque voluto mantenere nel sistema una sorta di “valvola di sicurezza” per le ipotesi in cui l’affidamento ad entrambi i genitori si risolverebbe in un pregiudizio per il figlio.

La centralità dell’affido condiviso impone tuttavia una valutazione ponderata degli elementi in gioco e una accurata motivazione nell’ipotesi in cui il giudice decida di discostarsi dalla regola generale; a tal proposito i principi cui il giudice deve attenersi possono così semplificarsi:

regola prioritaria è l’affido condiviso, ma solo quando ciò sia effettivamente rispondente all’interesse del minore;

la mera conflittualità tra i coniugi non è sufficiente di per sé a escludere l’affidamento condiviso;

occorre una valutazione in positivo sulle capacità educative e morali del genitore affidatario, condizione necessaria ma non sufficiente a disporre l’affidamento esclusivo;

occorre altresì una valutazione in negativo della inidoneità del genitore escluso, in presenza di circostanze oggettivamente gravi.

Il principio della bigenitorialità è finalizzato ad assicurare al minore una crescita serena nel rapporto con entrambi i genitori al di là della loro separazione, in omaggio alla riflessione per cui ci si separa dal proprio coniuge ma non dai propri figli; ma la ratio della norma non può essere applicata fino alle conseguenze estreme che ne vanificherebbero l’obiettivo primario: l’interesse del minore.

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