«Avvocato, siamo genitori di un bambino, ma non siamo sposati. Se dovessimo separarci, come funziona riguardo alla casa in cui vive nostro figlio? Potrei ottenere l’assegnazione della casa familiare anche senza matrimonio?»
«Il punto cruciale è l’interesse del minore! Il matrimonio non è essenziale per la tutela abitativa del bambino; è lui che deve essere messo al centro delle scelte che farà il giudice in sede di separazione».
Oltre il matrimonio: il diritto del minore alla casa familiare
Nel nostro ordinamento, la casa familiare è più che un semplice immobile: è il luogo di formazione, di affetti e di stabilità per i figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti. L’articolo 337-sexies del codice civile stabilisce che il godimento della casa familiare, anche in caso di crisi familiare, deve essere attribuito prioritariamente tenendo conto dell’interesse della prole. Non importa se i genitori siano sposati o meno; ciò che conta è garantire al figlio un habitat domestico stabile, che non venga compromesso da una separazione o da una crisi genitoriale.
La Cassazione ha ribadito questa impostazione in modo netto, ad esempio nella sentenza più recente del 25 settembre 2025 (Cass. Civ. n. 13128/2025), dove si afferma chiaramente che: «la decisione sull’assegnazione della casa familiare deve essere guidata unicamente dall’interesse del minore a conservare l’habitat domestico, a prescindere da qualsiasi valutazione sulle condizioni patrimoniali o sul vincolo matrimoniale tra i genitori». Tale pronuncia evidenzia come il figlio, anche se nato fuori dal matrimonio, abbia il diritto a vedere tutelata la sua stabilità abitativa e come la stessa debba essere messa al di sopra di ogni tipo di valutazione legata o meno al vincolo matrimoniale.
Come funziona l’assegnazione della casa familiare?
L’assegnazione ha una natura temporanea e funzionale: dura, solitamente, fino al venir meno dell’interesse del minore, cioè generalmente con il raggiungimento della maggiore età o l’acquisizione dell’autosufficienza economica. Fondamentale è che il genitore che ottiene la collocazione del figlio convivente possa rimanere nella casa che rappresenta il suo centro vitale, permettendo al minore di mantenere continuità affettive e abitudini quotidiane.
È importante sottolineare che lo squilibrio economico tra i genitori non può influenzare la decisione in merito all’assegnazione della casa familiare. La Cassazione ha più volte chiarito che eventuali disparità patrimoniali devono essere compensate attraverso altri strumenti, come l’assegno di mantenimento, e non tramite la semplice assegnazione dell’immobile. Con ciò, si evita che la casa diventi uno strumento di riequilibrio economico tra genitori, preservandone la funzione esclusiva di tutela del minore.
Il giudice, nel decidere, deve effettuare una valutazione dettagliata e aggiornata della realtà familiare e delle esigenze del minore, evitando automatismi basati sulla proprietà o sulla stabilità economica dei genitori. Ne deriva che anche la genitorialità di fatto, ancorché priva di matrimonio, comporta uguale diritto del minore a conservare un habitat stabile, così rafforzando un concetto di tutela che si fonda sul superiore interesse del bambino.
Oltre la giurisprudenza: una riflessione pratica e umana
La tutela in questi casi si arricchisce di un valore umano: la casa non è solo un bene materiale, ma un luogo di crescita e identità che deve essere protetto dal diritto. La sfida per chi opera nel settore diventa allora facilitare percorsi di consapevolezza nei genitori, affinché riconoscano e valorizzino il bene non come mezzo di contesa, ma come strumento di continuità per chi, in questa vicenda, è chiamato a ripartire: il figlio.
L’assegnazione della casa familiare, quindi, deve essere intesa come un presidio di tutela che alza il livello della protezione e fa emergere una coscienza civile più profonda, dove il diritto fa da garante a un bisogno essenziale di stabilità e amore, a prescindere dallo stato civile dei genitori.

