Quando il conflitto è in realtà violenza – come riconoscerla

“Avvocato sono una madre di un figlio di 10 anni. Ho denunciato mio marito che ha usato violenza nei miei confronti. Il giudice ha proposto un percorso di sostegno alla genitorialità con il mio ex ma io ho paura. Cosa posso fare?”

“Seguo moltissimi casi in cui il conflitto e la violenza si confondono ai danni delle persone anche di età minore. Appare strano che un Giudice abbia potuto proporre un percorso familiare se negli atti vi sono fatti violenti sottolineati dalla difesa.

Ne ho esaustivamente parlato in un articolo ora on line e diffuso da ADNKRONOS proprio per comunicare il vero significato della violenza e del conflitto”.

https://www.adnkronos.com/immediapress/separazioni-violente-come-riconoscere-la-violenza-lavv-maria-luisa-missiaggia-spiega-la-differenza-tra-conflitto-e-violenza-nella-coppia_6SVJiOvYnIVQx7k1hp4BAJ

Infatti, se il conflitto infatti genera:

  • problemi di comunicazione
  • incapacità di gestire le emozioni
  • divergenze sulla gestione economica o il mantenimento
  • disaccordo sui giorni o orari di frequentazione.

La violenza ha un protocollo da seguire che nulla ha a che vedere con il contatto e il rapporto con l’abusante sia in caso di intervenuta condanna che ove emergano condotte e fatti atti a dimostrare la condotta violenta.

No alla mediazione ex art. 473 bis n. 43 cc

No al percorso genitoriale congiunto

No all’udienza insieme ex art. 473 bis n. 42 cc come viene indicato espressamente nei decreti di prima udienza del Tribunale.

No a contatti tra le parti che possano poi creare false riappacificazioni.

“La riforma Cartabia lo prevede espressamente e i due processi, civile e penale “si parlano” – continua l’avvocato Missiaggia – “per una sinergia necessaria”.

Come distinguere il conflitto da una situazione di sopraffazione e violenza?

Riconoscere la violenza è il primo passo per contrastarla e tutelare i soggetti deboli, spesso le donne e i figli. Di fondamentale importanza è dunque la formazione specializzata dei legali, dei Servizi Sociali e di tutti gli operatori coinvolti a vario titolo nella crisi della famiglia.

Il Giudice, che è chiamato anche a stabilire un calendario di frequentazione, dovrebbe captare la presenza di elementi rivelatori della violenza e istruire il procedimento con le necessarie cautele.

L’avvocato specializzato nella famiglia è il primo a dover evidenziare fatti e comportamenti che possono essere inquadrati come reati.

Qual è il rischio della sottovalutazione della violenza?

Può succedere anche che, nonostante gli sforzi compiuti dal legale, gli episodi di violenza siano sottovalutati o declassati ad un generico conflitto tra le parti.

La sottovalutazione di episodi di violenza ha gravi conseguenze sia per i minori che per la madre con il rischio di reiterate condotte violente in danno dei figli, nei periodi di frequentazione, o in danno della madre, nel momento in cui vi è contatto tra i genitori nel momento del prelievo del minore dalla casa familiare o del riaccompagno.

Non solo, proprio perché si scambiano episodi di sopruso e vessazione per mero conflitto o disaccordo tra i genitori, vengono proposti percorsi di mediazione o di sostegno alla genitorialità di cui la vittima non ha alcun bisogno e che la costringono ad incontrare il violento.

Quando la donna già vessata viene colpevolizzata dalla società

Si chiama vittimizzazione secondaria.

È un fenomeno che si verifica quando una persona, già vittima di un reato o di una violenza (vittimizzazione primaria), subisce ulteriori danni psicologici, emotivi o sociali a causa delle reazioni e dei comportamenti di istituzioni, contesto sociale e degli stessi familiari. Questi danni non derivano direttamente dal reato subito, ma dalle modalità con cui la vittima viene trattata nel processo.

Sono le donne quelle a pagare di più il mancato riconoscimento della violenza, spesso additate come madri “malevoli” o disfunzionali poiché allontanano il figlio dal padre.  Tali considerazioni sulla madre spesso sono riportate anche negli atti processuali con palese intento denigratorio.

Cos’è la PAS?

La PAS (Sindrome di Alienazione Parentale) è proprio quella sindrome di cui soffrirebbero i minori e sulla quale si costruiscono le pretese disfunzionalità genitoriali della madre (ne avevamo parlato qui https://studiodonne.it/alienazione-parentale/ ).

Secondo questa teoria la madre userebbe tecniche psicologiche e manipolatorie per allontanare il figlio dal padre. Tale malattia non è stata mai riconosciuta dalla comunità scientifica.

Anche l’orientamento consolidato della Corte di cassazione è ormai volto ad escludere l’utilizzo di teorie pseudoscientifiche nei procedimenti familiari promuovendo invece un approccio basato sui dati concreti e sul benessere psicofisico dei minori.

Nella stessa Riforma Cartabia all’art. 473 bis n. 25 cc è espressamente indicato che il CTU  debba basare le proprie indagini e valutazioni sulle caratteristiche e personalità dei genitori su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica. Decreto fissazione udienza

Conclusioni

Ancora una volta scegliere un Avvocato specializzato e con esperienza concreta è fondamentale per evitare errori che possano compromettere l’esito di un processo.

In sintesi, il conflitto si supera con un professionista specializzato che educa alla comunicazione, la violenza si denuncia senza se e senza ma.

 

 

 

 

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