La adozione in casi particolari di un minore è un tipo di adozione cui si ricorre nei casi in cui i classici presupposti per l’adozione del bambino (quali lo stato di abbandono e una differenza di età tra i genitori adottivi e l’adottato compresa tra i 18 ed i 45 anni) non sono presenti. In questo particolare tipo di adozione, infatti, non vengono del tutto tagliati i legami con la famiglia d’origine, come accade con l’adozione tradizionale, ma è basata sul consenso tra le parti.
Quando è consentita l’adozione in casi particolari?
Basandosi sull’articolo 44 della Legge n. 184/1983 (Legge sull’adozione), anche i minori non dichiarati adottabili possono essere adottati al ricorrere di determinate condizioni: “I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7:
- da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
- dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
- quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;
- quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”.
Che effetti produce?
Gli effetti prodotti dalle adozioni in casi particolari non sono gli stessi delle adozioni classiche; possono definirsi più “limitati”. L’adottato, infatti acquisirà lo stato di figlio adottivo, ma conserverà anche i diritti e doveri nei confronti della propria famiglia d’origine, non acquisirà alcun legame di parentela rispetto ai familiari dell’adottante (nascono comunque gli impedimenti matrimoniali) ed otterrà, nei confronti dell’adottante, gli stessi diritti successori che spettano ad un figlio legittimo. L’adottante, invece, in questo caso, non avrà diritto successorio sul figlio adottivo, avrà il dovere di educare e mantenere il ragazzo ed avrà la responsabilità genitoriale nei suoi confronti.
Stepchild adoption, cosa succede in caso di relazione omosessuale?
È il caso di una coppia di donne unite civilmente ai sensi della L. n. 76/2016, che si sottopone alle tecniche di fecondazione eterologa medicalmente assistita per avere un bambino. Il figlio, dalla nascita in poi, viene curato e cresciuto da entrambe le donne, arrivando a considerarle entrambe come “mamme”. La madre non biologica cerca di adottare il bambino facendone richiesta al Tribunale dei minori e si vede la propria richiesta respinta sulla base del fatto che la madre biologica non aveva rinunciato alla responsabilità genitoriale sul minore e sulla base dell’impossibilità di affidamento preadottivo del minore stesso perché: “aveva già una madre”.
La Corte d’Appello accoglie il ricorso e lo ritiene fondato sulla base delle disposizioni dettate in materia di adozioni in casi particolari. Secondo la Corte, alla base di questa norma c’è la necessità di consolidare il rapporto tra minori e parenti o persone che si occupano della sua cura, nell’interesse stesso del bambino. È la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21651/2011 a sancire che l’adozione deve perseguire “il preminente interesse del bambino” ed il negare l’adozione ad una donna che svolge un ruolo strettamente equivalente a quello di genitore andrebbe contro tale interpretazione degli Ermellini.
È dunque fondamentale capire come venga tutelato e messo in risalto il rapporto che si viene ad instaurare tra il bambino e la persona che se ne prende cura per far sì che si possa configurare un’adozione e come la Giurisprudenza stia progressivamente virando su questo tipo di orientamento.
A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia, con la collaborazione di Ludovico Raffaelli