L’Assegno divorzile…..il tenore di vita pregresso alto non è l’unico parametro per la quantificazione – Divieto di eccesso di solidarietà.
Il CASO:
Il Tribunale ordinario di Firenze sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge n.898/70 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) come modificato dall’art.10 della legge n.74/87 (nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio). in riferimento alla violazione degli art. 2,3,29 della Costituzione.
Il Giudice Ordinario, nell’ambito di una causa di divorzio, aveva ritenuto rilevante e non manifestamente infondata le rimostranze del difensore del coniuge obbligato a corrispondere l’assegno di mantenimento, sostenendo che il “diritto vivente” non attribuisce più all’assegno di divorzio una funzione di assistenza del coniuge più debole da un punto di vista economico, bensì avrebbe con riferimento alla legge di cui si chiede l’incostituzionalità il solo scopo di mantenere vita natural durante lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio per l’ex coniuge, comportando, dunque, un travalicamento del dettato normativo e delle stesse intenzioni del legislatore.
Secondo il Tribunale di Firenze l’articolo citato dalla l. 898/70 valutando il tenore di vita tenuto durante il matrimonio come fattore per la determinazione dell’assegno sarebbe in contrasto con l’art. 2 della Costituzione “per eccesso di solidarietà” in quanto la tutela del coniuge debole non comporterebbe l’obbligo di consentire, ben oltre il contesto matrimoniale, il mantenimento delle medesime condizioni economiche godute durante matrimonio stesso; violazione dell’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della “ragionevolezza” perché, sminuendo la mera finalità assistenziale, finirebbe l’assegno di divorzio con l’attribuire l’obbligo di garantire senza limiti di tempo un tenore di vita agiato in favore del coniuge ritenuto economicamente più debole; mancato rispetto dell’art. 29 della Costituzione in quanto il tenore di vita pregresso sarebbe un elemento “anacronistico” inteso come obsoleto considerando l’evoluzione che ha avuto ai giorni nostri il concetto di divorzio, della famiglia e del ruolo dei coniugi.
LEGISLAZIONE
Con il divorzio ai sensi dell’art. 149 c.c. termina il rapporto matrimoniale, ossia si scioglie il matrimonio “civile” o cessano gli effetti del matrimonio concordatario.
In realtà il divorzio non comporta, almeno nel nostro ordinamento, un’estinzione assoluta di tutti gli effetti del matrimonio, con l’effetto che infatti dalla sua pronuncia sorgono delle situazioni giuridiche nuove, tra cui la più importante è l’assegno divorzile. Tale figura ricopre un ruolo preminente nell’ambito della normativa in materia di separazione e divorzio, poiché volta a regolamentare i rapporti economici tra gli ex coniugi. ,
La richiesta di dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 5, sesto comma, della l. 898/70 del Tribunale di Firenze è concentrata sul fatto che valutare come elemento il tenore di vita pregresso risulta palesemente contraddittorio, oltre che assolutamente irragionevole, posto che proietta il tenore di vita oltre l’orizzonte matrimoniale, prolungando all’infinito i vincoli economici derivanti da un rapporto, quello di coniugio, che non esiste più proprio a seguito del divorzio; molto spesso senza che ciò sia giustificato da una reale necessità di tutela di diritti ed interessi costituzionalmente garantiti.
A questo punto è da chiedersi è solo il tenore di vita mantenuto durante il matrimonio il parametro in base al quale il giudice ai sensi dell’art. 5, sesto comma, della legge 898/70 attribuisce l’assegno divorzile?
Sul punto, in base ad una attenta lettura della legge 898/70 la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di illegittimità sollevata dal Tribunale ordinario di Firenze. La Stessa nelle sue motivazioni ha ribadito e riportato l’orientamento consolidato dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha stabilito che il “parametro del “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” rileva, bensì, per determinare “in astratto … il tetto massimo della misura dell’assegno” (in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso), ma, “in concreto”, quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5”.
Gli altri criteri che vengono indicati dalla Corte sono la condizione e reddito dei coniugi, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, la durata del matrimonio, le ragioni della decisione.
La Corte con le sue pronunce (così testualmente, da ultimo, Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza 5 febbraio 2014, n. 2546; in senso conforme, sentenze 28 ottobre 2013, n. 24252; 21 ottobre 2013, n. 23797; 12 luglio 2007, n. 15611; 22 agosto 2006, n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040, ex plurimis) ha ulteriormente specificato come gli stessi elementi hanno un peso determinante nella quantificazione dell’assegno divorzile e che gli stessi agiscono come componenti di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono portare a una tale valutazione da parte del giudice di primo grado il quale può decidere di azzerare il valore dell’importo dell’assegno divorzile.
CONCLUSIONI
Con la sentenza del 11 febbraio 2015 n.11 la Corte Costituzionale ha respinto la richiesta d’incostituzionalità dell’art. 5 sesto comma della legge 898/70 e ha ribadito l’orientamento maggioritario giurisprudenziale in base al quale il tenore di vita pregresso non è l’unico parametro che il giudice deve considerare al momento dell’attribuzione dell’assegno divorzile ma che, nel calcolare o meno lo stesso, devono essere valutati altri fattori quali quelli indicati dalla legge 898/70.
Il giudice, in caso di divorzio nell’attribuzione dell’assegno divorzile, dovrà quindi valutare caso per caso l’ammontare dello stesso articolando la sua elaborazione in due fasi.
Nella prima dovrà compiere una quantificazione astratta dell’assegno, con riferimento all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità per ragioni oggettive, tenendo in considerazione il tenore di vita goduto in circostanza di matrimonio. Nelle seconda fase il giudice dovrà procedere alla determinazione concreta dell’assegno in base alla valutazione ponderata dei criteri indicati dall’art. 5 , sesto comma, che possono contenere o diminuire la somma considerata in astratto e in ipotesi estreme anche azzerarla quando la conservazione del tenore di vita avuta durante il matrimonio risulta incompatibile con gli altri elementi indicati dalla legge.
Corte Costituzionale
Sentenza 9 – 11 febbraio 2015, n. 11
Presidente Criscuolo – Redattore Morelli
Sentenza
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), promosso dal Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento vertente tra F.G. e M.P., con ordinanza del 22 maggio 2013, iscritta al n. 239 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti l’atto di costituzione di F.G., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2015 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi l’avvocato Filippo Donati per F.G. e l’avvocato dello Stato Paolo Marchini per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di un giudizio civile per scioglimento di matrimonio, l’adito Tribunale ordinario di Firenze ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione – ed ha, per ciò, sollevato, con l’ordinanza in epigrafe – questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), nell’interpretazione, che assume consolidatasi in termini di diritto vivente, per cui, in presenza di una disparità economica tra coniugi, «l’assegno divorzile […] deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio».
Ad avviso del rimettente, la norma, così censurata si porrebbe, infatti, in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto l’assegno di divorzio, pur avendo una finalità meramente assistenziale, finirebbe con l’attribuire l’obbligo di garantire per tutta la vita un tenore di vita agiato in favore del coniuge ritenuto economicamente più debole; con l’art. 2 Cost., sotto il profilo del dovere di solidarietà, in quanto la tutela del coniuge debole non comporterebbe l’obbligo di consentire, ben oltre il contesto matrimoniale, il mantenimento delle medesime condizioni economiche godute durante lo stesso matrimonio; con l’art. 29 Cost., in quanto risulterebbe anacronistico ricondurre l’assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, senza considerare l’attuale portata del divorzio, della famiglia e del ruolo dei coniugi.
2.– In questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità e, in subordine, la non fondatezza della questione.
3.– Opposte conclusioni (adesive alla prospettazione del Tribunale a quo) ha formulato, invece, la difesa del coniuge F.G., attore nel giudizio principale.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Firenze solleva, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), «nell’interpretazione di diritto vivente per cui […] l’assegno divorzile deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio».
Ad avviso del rimettente, il «diritto vivente», fatto oggetto di censura, violerebbe, infatti, l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, per la «contraddizione logica» che, quel giudice ravvisa, «fra l’istituto del divorzio, che ha come scopo proprio quello della cessazione del matrimonio e dei suoi effetti, e la disciplina in questione, che di fatto proietta oltre l’orizzonte matrimoniale il “tenore di vita” in costanza di matrimonio»; contrasterebbe, inoltre, “per eccesso” con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e violerebbe, infine, anche l’art. 29 Cost., «esprimendo una concezione “criptoindissolubilista” del matrimonio che appare oggi anacronistica».
2.– Della questione così sollevata il Tribunale a quo ha plausibilmente motivato la rilevanza, con riferimento alla rispettiva situazione economica, pregressa ed attuale, dei due coniugi: per cui non ha fondamento l’eccezione di inammissibilità, per tal profilo, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato.
3.– Sempre in punto di ammissibilità della riferita questione, non può addebitarsi al rimettente di non aver previamente verificato la possibilità di una interpretazione della normativa censurata, conforme ai parametri costituzionali da lui evocati.
L’obbligo di una siffatta verifica è, infatti, ineludibile per il giudice a quo solo «in assenza di un diritto vivente» (sentenze n. 190 del 2000, n. 427 del 1999, per tutte). Mentre, in presenza di una interpretazione del dato normativo consolidatasi – come nella specie si assume – in termini di “diritto vivente”, quel giudice ha la facoltà di uniformarvisi o meno (sentenze n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004), restando quindi libero, nel secondo caso, di assumere proprio quel “diritto vivente” ad oggetto delle proprie censure (ordinanza n. 253 del 2012).
4.– Nel merito, la questione non è fondata.
L’esistenza, presupposta dal rimettente, di un “diritto vivente” secondo cui l’assegno divorzile ex art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 «deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio» non trova, infatti, riscontro nella giurisprudenza del giudice della nomofilachia (che costituisce il principale formante del diritto vivente), secondo la quale, viceversa, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile.
La Corte di cassazione, in sede di esegesi della normativa impugnata, ha anche di recente, in tal senso, appunto, ribadito il proprio «consolidato orientamento», secondo il quale il parametro del «tenore di vita goduto in costanza di matrimonio» rileva, bensì, per determinare «in astratto […] il tetto massimo della misura dell’assegno» (in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso), ma, «in concreto», quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5.
Tali criteri (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) «agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto» e possono «valere anche ad azzerarla» (così testualmente, da ultimo, Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 5 febbraio 2014, n. 2546; in senso conforme, sentenze 28 ottobre 2013, n. 24252; 21 ottobre 2013, n. 23797; 12 luglio 2007, n. 15611; 22 agosto 2006, n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040, ex plurimis).
5.− L’erronea interpretazione della norma denunciata, da cui muove il rimettente, travolge conseguentemente, in radice, tutte le censure, in ragione di tale premessa, dallo stesso formulate.
Per Questi Motivi
la Corte Costituzionale
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, con l’ordinanza in epigrafe indicata.