stalking: quale tutela in sede civile?

Con ordinanza del 10 Ottobre 2007 il Tribunale di Cagliari affronta un argomento di stretta attualità e ancora poco discusso nelle aule dei tribunali soprattutto civili: lo “stalking”.

Lo stalking

Il c.d. “stalking” (che letteralmente significa “fare la posta”) è un fenomeno ben conosciuto nella cronaca ma ancora piuttosto ignorato dalla legislazione e dalla giurisprudenza, che può presentarsi sotto forme talmente varie ed eterogenee da rendere difficile la sua classificazione in una definizione unitaria e universale. Il comportamento dello “stalker” può assumere infatti le più varie forme, dalle più lievi come inviti insistenti, telefonate, messaggi, ricerca di contatti, alle più moleste come appostamenti sotto casa o nel luogo di lavoro, fino ai casi più gravi rappresentati da minacce e violenze fisiche e morali.

Solo alcuni di questi comportamenti assumono rilevanza penale, potendo integrare varie figure di reato (spesso molestie, violenza privata, violazione di domicilio) anche se la varietà delle possibili manifestazioni del fenomeno rende difficoltoso tracciare una linea netta tra ciò che è penalmente sanzionato e costituisce reato da ciò che è “solo” molesto.

Lo stalker può essere chiunque (amico, vicino di casa, collega di lavoro, non di rado un perfetto sconosciuto) ma nella maggioranza dei casi è un ex amante o una persona con la quale in passato è esistito un forte legame affettivo; non di rado le persecuzioni iniziano quando finisce un matrimonio o anche solo una relazione, scatenate dall’abbandono e dal rifiuto di ulteriori rapporti affettivi o di amicizia.

Perché possa parlarsi di stalking è necessario però che ricorrano determinate condizioni: i comportamenti molesti diventano atti persecutori quando sono intenzionali, reiterati nel tempo, insistenti e indesiderati, non bastando a tal fine il mero fastidio ma occorrendo un netto rifiuto, una situazione di disagio, un ragionevole senso di timore, ansia o paura.

La carica fortemente lesiva dello stalking si coglie in tutta la sua evidenza qualora si consideri che finisce col condizionare ogni aspetto della vita personale e professionale della vittima, ne limita la libertà e ne viola la privacy, la costringe spesso a cambiare percorsi, orari, abitudini, a non uscire da sola, a non rispondere al telefono.

Oltre agli eventuali danni patrimoniali deve ritenersi risarcibile anche il danno esistenziale da stalking,proprio per gli effetti fortemente limitativi della libertà personale che esso produce e per l’impossibilità di continuare a vivere secondo le proprie abitudini ed i propri desideri.

Non sempre però i giudici si dimostrano sensibili a tali problematiche in tema di danno esistenziale, oscillando spesso tra i due estremi del risarcimento dei danni bagatellari da un lato alla radicale negazione di tutela in ipotesi evidenti di danno dall’altro.

L’ordinanza del Tribunale di Cagliari

Con l’ordinanza in commento il Tribunale di Cagliari ha riconosciuto la notevole potenzialità lesiva dello stalking ma al contempo ha negato tutela alla vittima rigettandone le richieste.

Il comportamento lesivo subito dalla vittima consisteva in pressanti molestie, anche telefoniche e telematiche, pedinamenti, appostamenti non solo sotto casa ma anche nei luoghi abitualmente frequentati dalla donna, continue richieste di contatto indesiderato con comunicazioni spesso di tono ingiurioso e minaccioso.

La vittima ha invocato tutela in sede civile lamentando, da un lato, le scarse probabilità di successo di ottenere in sede penale una tutela immediata ed efficace, e dall’altro, una grave lesione dell’onore e del decoro nonché del proprio diritto alla riservatezza, sotto il profilo di una pressante intrusione indesiderata nella sua vita privata con gravi conseguenze sul suo stato di salute fisico e psichico.

In considerazione della asserita sussistenza di un danno ingiusto ex art. 2043, la vittima ha proposto istanza di tutela risarcitoria ed inibitoria chiedendo ai giudici in via cautelare di imporre al suo persecutore l’astensione da ogni comportamento intrusivo e molesto (ingiurie, minacce, richieste di contatto sotto qualsiasi forma, anche telefonica o telematica).

Il Tribunale ha rigettato la richiesta cautelare in quanto il provvedimento inibitorio richiesto dalla parte “non troverebbe riscontro in nessuna norma dell’ordinamento positivo”, e non certo nella tutela d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.

Il rigetto dell’istanza è fondato dai giudici sulla base di due considerazioni.

In primo luogo, la tutela pretesa dalla vittima altro non sarebbe che quella offerta dagli articoli 342 bis e ter del codice civile in relazione agli ordini di protezione contro la violenza familiare, tutela ritenuta dal giudice cagliaritano non invocabile al di fuori della famiglia e non applicabile analogicamente al di fuori di essa, in considerazione della natura eccezionale delle norme e dell’effetto fortemente coercitivo della loro applicazione.

Il Tribunale sostiene inoltre che proprio la riforma del 2001 in tema di abuso all’interno del nucleo familiare dimostrerebbe l’assenza di una generale tutela cautelare del tipo di quella invocata nel caso di specie, “poiché altrimenti ragionando si dovrebbe ammettere che la normativa sugli ordini di protezione sia stato un intervento legislativo superfluo volto a disciplinare una specifica ipotesi già compresa nell’ambito della generale tutela inibitoria attuabile con il ricorso all’art. 700 c.p.c.”.

In secondo luogo, la tutela cautelare è negata perché si tratterebbe comunque di una tutela fittizia, che non metterebbe la ricorrente al riparo dai comportamenti lesivi in quanto, vertendosi in un’ipotesi di obbligazioni di fare infungibili, senza la spontanea collaborazione dell’obbligato (stalker) non potrebbe esservi alcuna coercizione giudiziale.

Né tale obiezione appare al giudice cagliaritano superabile con il ricorso all’art. 388 c.p., norma di matrice penal-pubblicistica la cui funzione sarebbe quella di tutelare l’autorità delle decisioni giudiziarie garantendo la fruttuosità della sentenza definitiva attraverso un rafforzamento dello strumento cautelare civile la cui elusione viene così assistita anche da sanzione penale; la necessità di ricorrere a tale norma varrebbe proprio a dimostrare l’inutilità in sede civile dell’intervento di urgenza richiesto, che verrebbe a ridursi ad una “mera raccomandazione” rivolta al persecutore!

Una decisione che fa discutere

La decisione del Tribunale di Cagliari presenta innanzitutto una contraddizione interna: da un lato si afferma la forte potenzialità lesiva dello stalking, difficilmente contrastabile con lo strumento del risarcimento del danno o con le sanzioni del diritto penale; dall’altro si nega la tutela inibitoria, perché comunque si rivelerebbe inutile.

Appare prima facie evidente la sussistenza di entrambi i presupposti cui il nostro ordinamento subordina la tutela cautelare: il fumus boni iuris (è evidente la lesione della libertà di autodeterminazione della vittima) ma soprattutto il periculum in mora, rappresentato dalla innegabile inidoneità del giudizio ordinario a garantire l’effettività della tutela, posto che nelle more del giudizio i comportamenti persecutori avrebbero continuato ed aggravato la lesione escludendo in radice la possibilità di un risarcimento in forma specifica (unica forma di risarcimento cui tende la vittima dello stalker, il cui obiettivo primario è senz’altro la cessazione delle molestie e delle persecuzioni).

Nonostante il riconoscimento della lesività della condotta il giudice nega tutela; e lo fa con argomentazioni che non appaiono del tutto convincenti.

In primo luogo, il carattere di specialità della normativa in tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari non può costituire un ostacolo all’applicabilità della norma di carattere generale di cui all’art. 700 c.p.c, la cui ragione di esistere risiede proprio nella necessità di tutelare tutte quelle situazioni in relazione alle quali il legislatore non ha (o non ha ancora) previsto una disciplina specifica, salvo ovviamente verificare nel caso concreto la sussistenza dei due presupposti del pericolo imminente e della probabile esistenza del diritto.

Con il secondo motivo di diniego, il giudice cagliaritano si colloca nel solco di quella giurisprudenza secondo la quale il provvedimento non coercibile è inammissibile perché inutile, orientamento al quale è possibile muovere più di un’obiezione.

In primo luogo, occorre ricordare che nel nostro ordinamento esistono e sono pacificamente applicate norme che prevedono provvedimenti aventi ad oggetto un obbligo di fare infungibile (lo stesso art. 342 ter, per esempio); in secondo luogo, non è possibile escludere a priori che l’ordine emesso da un giudice di cessare la condotta persecutoria possa effettivamente fungere da deterrente per lo stalker, considerata l’estrema varietà di casi e situazioni, di gravità e intensità variabile, che possono presentarsi nella pratica.

E’ possibile ravvisare in ogni caso un interesse della vittima ad ottenere la tutela cautelare, a prescindere dalla sua concreta efficacia.

Il precedente giurisprudenziale

In altri casi i giudici hanno riconosciuto la forte potenzialità lesiva dello stalking e conseguentemente hanno riconosciuto alla vittima il risarcimento del danno biologico e morale.

E’ quanto disposto dalla Corte di Appello di Bologna, seconda sezione civile, con la sentenza n. 720 del 2008, con la quale dopo ben tredici anni di molestie e minacce la vittima di uno stalker si è vista finalmente riconoscere il diritto al risarcimento di 56.000 euro.

La Corte ha riconosciuto infatti il grave danno subito dalla vittima per lunghissimo tempo, costretta a subire i pedinamenti e le pressioni del suo molestatore che l’aveva ridotta a vivere in uno stato di costante paura rendendole difficile il compimento degli atti quotidiani più banali.

La sentenza della Corte di appello (che confermava quella già resa in primo grado) seguiva la condanna in sede penale per molestie, conclusasi con il patteggiamento a due mesi di reclusione, il che conferma ulteriormente la necessità di affiancare alla tutela penale anche quella tutela civile, di fronte ad un atteggiamento ostinatamente persecutorio.

Il disegno di legge

E’ stato approvato alla Camera il 29 gennaio 2009 un disegno di legge  che prevede pene fino a 4 anni di reclusione per molestie reiterate (stalking), che possono essere aumentate se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato/divorziato (o da persona che sia stata legata da relazione affettiva) ovvero ai danni di un minore, di donna in stato di gravidanza o di soggetto disabile.

In particolare, il provvedimento introduce nel nostro codice penale il reato di stalking (articolo 612-bis, atti persecutori), relativo cioè al comportamento di chi “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Fino a quando non è proposta querela (che va presentata entro il termine di 6 mesi) è inoltre previsto che la persona offesa possa esporre i fatti al questore il quale può ammonire oralmente l’autore della condotta e valutare “l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizione”.

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