Il danno dell’alcool e delle dipendenze

«LA NOTTE ormai le impedisco di entrare in casa. E’ talmente sbronza e fuori di sé che mi fa paura. Sì, ho detto paura. E guardi che per una mamma lasciar fuori di casa la propria figlia è terribile, vuol dire vivere un inferno. Poi ho chiamato la polizia, “cercatela, vi prego!”. L’ha trovata il suo fidanzato, l’unico che riesce ancora a starle vicino: era seduta accanto alla Fontana, nella piazza centrale del Paese. Non si reggeva in piedi. Una barbona, ecco. Una barbona di 17 anni, così l’ha ridotta l’alcol». Anna è una donna forte ma quando parla di sua figlia Virginia (il nome è di fantasia) il tono della sua voce sfuma. Anna scaccia via le lacrime e poi riprende il racconto.
«La prima sbronza mia figlia la prese che non aveva ancora 14 anni. Ci chiamò un amico a metà pomeriggio: “venite a prenderla, l’ho incontrata al parco, stava con altri ragazzi, erano tutti ubriachi”. Mio marito fa il muratore, quel giorno stava lavorando in cantiere. Andammo a prenderla, lui le diede due schiaffi e fini lì. Cose da ragazzi, pensammo, non demmo peso alla cosa. Noi, del resto, viviamo ai Castelli Romani, qui ci sono le fraschette, si fa la vendemmia, il vino fa parte della tradizione, sbevacchiano più o meno tutti. A chi non piace un bicchiere di vino buono?».

L’esorcista. Diciamo pure che Anna e suo marito, tutt’e due cinquantenni, non sono astemi ma quasi. Insomma, l’esempio cattivo, non è venuto da loro. Non hanno capito che, bicchiere dopo bicchiere, sotto i loro piedi si stava spalancando una voragine. Hanno chiesto aiuto a quelle che loro chiamano «le istituzioni», che poi sarebbero gli esperti e l’assistenza sanitaria. Ma hanno anche pensato di rivolgersi all’esorcista, il prete del paese che conosce bene Virginia e che gli esorcismi li pratica. Per fortuna, questa volta, si è rifiutato.
Dal giorno della prima sbronza la ragazza non è stata più stata la stessa. Problemi a scuola, rispostacce ai professori, una ragazza avvitata, chiusa in se stessa a doppia mandata. «Le abbiamo cambiato 3 scuole diverse ma non è riuscita a finire le Medie. Abbiamo provato allora a darle delle regole, prima con la dolcezza, poi con le punizioni. Niente da fare, sempre peggio».

Aria buona. «Il nostro è un piccolo paese – continua il suo racconto Anna – si respira l’aria buona che viene dai monti e dal mare. Ormai però qui c’è rimasta solo quella. L’aria. Servizi zero. Non sappiamo a chi rivolgerci, e viviamo in questo inferno da 3 anni». «Controllarla? E’ inutile, Virginia fa quello che vuole, scappa, e noi non possiamo chiuderla sottochiave. I bar? La conoscono tutti, ormai, e fanno finta di niente, quasi tutti continuano a darle da bere. E comunque ci sono sempre i supermercati dove se compri l’alcol nessuno ti chiede quanti anni hai».
Virginia ha capelli neri e occhi verdi. Virginia, diciamolo, è bella. Anche se ora è magra e ha un’espressione sofferta che grida vendetta e ci fa sentire tutti un po’ colpevoli. La bottiglia a un certo punto non l’è bastata più. E’ arrivata la droga. «Una volta le abbiamo fatto fare quei narcotest che si vendono in farmacia. Gridava come una pazza, non voleva». Dalle analisi è venuto fuori tutto di tutto. Si fa prima a dire quello che Virgina quella notte non aveva nel sangue: Virgina non si si buca.

Adolescenza. L’adolescenza è uno dei periodi più complicati e impenetrabili della vita. Tempeste ormonali e sentimentali in un corpo che cambia giorno per giorno. Secondo Davide Bainbrige, un giovane neuroscienziato che ama le provocazioni, questa fase della vita è quella in cui siamo più simili agli animali. Da qui la conclusione che «gli adolescenti non sono un flagello umano ma la vetta autentica dell’esistenza». Ha ragione lui. Quante prime volte, quante emozioni uniche e irripetibili in questa fase della vita? Invece l’adolescenza molto spesso viene rimossa. Dimenticata, classificata come l’età dei brufoli, dei capricci e dell’egoismo.

Cartelle cliniche. «Disturbo della condotta adolescenziale»; «collasso etilico», «trattamento sanitario obbligatorio», «spirito anti-sociale»; «disturbi alimentari»; «scarso controllo dell’ira»; «atteggiamenti vendicativi nei confronti della madre». Ecco cosa dicono le cartelle cliniche di Virgina. Una faldone alto un metro.
Una famiglia semplice, senza storie di alcol né separazioni. Un fratello più piccolo di 5 anni. «Virginia non è mai stata gelosa del fratello – racconta la madre – anche se, forse, a pensarci bene, quando mi svegliavo per allattarlo, dopo un po’ cominciò a svegliarsi anche lei. Restava vicino a noi, si ciucciava il dito come quando era più piccola. Non posso pensarci… ora fa la stessa cosa ma con la bottiglia…»
Virgina eccelleva nello sport. Giocava centravanti in una squadra di calcio femminile molto quotata, giocava tanto bene che «la chiamavano bomber». Una ragazza “normale”, insomma. Come recuperarla dal suo abisso interiore?

Maria Luisa Missiaggia è avvocato matrimoniale, esperta nella dipendenza e codipendenza affettiva di coppia. Spiega: «Il sistema più funzionante è rivolgersi agli Alcolisti anonimi che purtroppo, però, non prevedono una sezione-giovani. La società, dunque, è impreparata, non ha un cura per mali di questo genere. I giovani bevono per vincere paure e inibizioni. E contrariamente a quello che si pensa, nei piccoli centri – continua l’avvocato Missiaggia – l’accesso all’alcol e alla droga è più facile. Ai Castelli Romani c’è la cultura del vino ma non la cura della patologia. L’alcol crea dipendenza come la droga ma non è vietato e i giovani più di altri, sono esposti ai miti della pubblicità: la biondona di turno che perde il vestito sorseggiando una birra, il giovane attore che beve il suo drink sul suo yacht».

Più 20%. Quando scoppia la crisi per calmare Virginia non basta più una sola fiala di Valium. Ora ce ne vogliono almeno due. E non si può andare avanti a colpi di sedativi e di psicofarmaci. A chi rivolgersi allora se lo Stato non c’è? «Nei nostri centri di riabilitazione cresce la domanda, brutto a dirsi ma questa è la verità – spiega Pinuccia Cambieri, dell’associazione Narconon Sud Europa, che si occupa di prevenzione e riabilitazione – dallo scorso anno a oggi possiamo stimare l’aumento intorno al 20%. E per i giovanissimi resta sempre il grosso quesito di entrare in centri di riabilitazione. Sono ragazzi di qualsiasi estrazione sociale, alla ricerca di una libertà che invece stanno perdendo diventando giorno dopo giorno schiavi. Molti di loro li ritroveremo, purtroppo, verso i 30 anni, alcolizzati».

Sbronze senza carezze. La cultura del vino si è trasformata in un altro rito: la cultura della sbronza. «Il fenomeno della dipendenza viene spesso sottovalutato o affrontato dopo anni di sbornie, quando la persona è ormai in uno stato di degrado avanzato o tamponato addirittura con antidepressivi e psicofarmaci», continua la Cambieri. Se nostro figlio beve cosa fare? «Bisogna intervenire anche prima, con informazione e educazione e la scuola tuttavia deve a sua volta appoggiarsi ad esperti esterni. Purtroppo in questi ultimi tempi si sta verificando una richiesta di aiuto da parte di familiari che non hanno abbastanza dati e informazione sull’alcol».
E Virginia? E’in cura al Sert. A febbraio compirà 18 anni e forse sarà più facile per lei entrare in una comunità di recupero. Per psicologi e psichiatri rimane una ragazza borderline, una che tutti i giorni rischia la vita. «L’altra notte è tornata sbronza, l’ho fatta entrare. Tremava dal freddo. Ma se tento di farle una carezza si mette ad urlare».

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