Circostanze sopravvenute e art. 9 l. 898/1970

Con la recentissima sentenza n. 1595/2008 la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, la misura e la modalità dei contributi stabilite dal giudice in sede di pronuncia della cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’art. 9 della legge 1 Dicembre 1970 n. 898.

Le decisioni di merito

Con sentenza del 9 gennaio 2002 il Tribunale di Viterbo pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da M. e F., stabilendo l’affidamento dei due figli minori della coppia alla madre e fissando in lire 400.000 mensili la misura dell’assegno divorzile e in lire 1.000 mensili la misura del contributo al mantenimento dei figli, oltre al 50% delle spese scolastiche e sanitarie.

Il M. presentava ricorso per la modifica delle condizioni di divorzio, adducendo a motivazione della richiesta il mutamento della situazione personale ed economica delle parti idonea a giustificare la modifica delle statuizioni.

In particolare, il M. chiedeva la revoca dell’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile e la riduzione del contributo mensile a favore dei figli, motivando la richiesta con la circostanza che la moglie era stata assunta con contratto di lavoro a tempo determinato presso il Comune di Viterbo.

Il ricorrente chiedeva altresì la riduzione del periodo di quindici giorni stabilito dal giudice da trascorrere con i figli in occasione delle vacanze estive, in quanto per motivi di lavoro non avrebbe potuto usufruire di un periodo di ferie così lungo.

Il Tribunale di Viterbo e successivamente la Corte di Appello cui il M. aveva proposto reclamo rigettavano le richieste di modifica delle condizioni di divorzio.

Il giudice di secondo grado motivava il rigetto del reclamo con il mancato assolvimento, da parte del M., dell’onere probatorio relativo alla presenza di circostanze sopravvenute idonee ad alterare gli equilibri raggiunti dalle parti con la statuizione del tribunale, e pertanto tali da giustificare la modifica delle condizioni di divorzio.

In particolare, la Corte territoriale affrontava due questioni: la prima relativa alla modifica delle condizioni economiche di divorzio, la seconda attinente invece alle modalità di frequentazione dei figli minori.

Sotto il primo profilo, la Corte di Appello riteneva sostanzialmente invariata la situazione economica della F. rispetto a quella sulla cui base erano state definite le condizioni economiche del divorzio, non essendo intervenute nel frattempo modifiche tali da giustificare l’applicazione dell’art. 9 l. 898/70.

Il reddito percepito dalla sig.ra F. nei due anni successivi alla sentenza di divorzio infatti era inferiore a quello dell’anno 2001, assunto dal Tribunale come parametro per la commisurazione dell’assegno divorzile e del contributo per i figli minori.

Per quanto riguarda la richiesta del ricorrente di ridurre il termine di quindici giorni da trascorrere con i figli durante le vacanze, il giudice di secondo grado sottolineava come il periodo di affidamento prolungato non debba obbligatoriamente coincidere con l’astensione dal lavoro del padre per ferie, in quanto scopo della stabilita frequentazione è quello di favorire i rapporti tra i minori e il genitore non affidatario e non quello di far trascorrere ai figli un periodo di vacanza.

La Corte d’Appello rigettava pertanto l’istanza anche sotto tale profilo, perché ritenuta pregiudizievole per l’interesse dei minori.

Il ricorso per cassazione

Il M. ricorreva pertanto in Cassazione ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, lamentando violazione di legge, contraddittorietà della motivazione e omessa pronuncia in merito a un punto essenziale della controversia.

La Corte d’Appello avrebbe tratto le sue conclusioni in contrasto con le risultanze processuali. Negli atti processuali relativi al giudizio di divorzio infatti la sig.ra F. risultava disoccupata; i dati relativi alle somme percepite negli anni 2001, 2002 e 2003 pertanto sarebbero stati in contrasto con le risultanze oggettive poste a base del rigetto del reclamo.

L’assunzione della F. presso il Comune di Viterbo pertanto, lungi dal comportare la sostanziale invarianza della situazione economica della stessa, avrebbe provocato invece un rilevante miglioramento della sua condizione patrimoniale, tale da giustificare la revisione della statuizione di divorzio.

La Corte di Appello avrebbe inoltre addotto a sostegno del rigetto una motivazione difforme da quella contenuta nel provvedimento di primo grado, con il quale era stato effettivamente riconosciuto un mutamento delle condizioni patrimoniali della F., pur ritenuto non idoneo a comportare la riduzione dell’assegno a carico del M. in quanto mutamento esiguo e temporaneo.

Il ricorrente si doleva inoltre del fatto che la Corte Territoriale aveva omesso totalmente di considerare la riduzione della capacità patrimoniale dello stesso a seguito della nascita di un altro figlio.

Per quanto riguarda le statuizioni relative alle modalità di frequentazione dei minori durante le vacanze estive, il ricorrente osservava come la mancata formazione del giudicato sulle stesse rendesse in esperibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 della Costituzione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte ha esaminato in primo luogo le condizioni di operatività dell’art. 9 della legge sul divorzio, la quale richiede non solo che siano intervenute medio tempore delle modifiche delle condizioni patrimoniali degli ex coniugi (“giustificati motivi”), ma esige altresì che tali mutamenti siano idonee ad incidere sull’assetto delineato dal provvedimento giudiziale, attraverso un giudizio comparativo delle condizioni economiche attuali di entrambe le parti.

La Suprema Corte ha inoltre ribadito quanto sostenuto dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ossia che la ratio dell’assegno divorzile consiste nella necessità di assicurare in ogni tempo il mantenimento di un tenore di vita adeguato alla pregressa posizione economico sociale dell’ex coniuge.

Sulla scorta di tale considerazione la Corte ha ritenuto legittima la valutazione del giudice di secondo grado, basata sulla sostanziale identità della condizione economica della F. prima e dopo la sentenza di divorzio.

La Cassazione ha rilevato inoltre che il ricorrente, al di là della formale configurazione del ricorso, non abbia in realtà contestato violazioni di legge o carenza di motivazione, ma si sia limitato a sollecitare un riesame nel merito precluso al giudice di legittimità.

La Suprema Corte ha tuttavia accolto il ricorso nella misura in cui la decisione impugnata non ha tenuto conto in alcun modo del peggioramento delle condizioni patrimoniali del ricorrente a seguito della nascita di un figlio dalla nuova unione.

La censura è svolta sia sotto il profilo sostanziale sia sotto quello processuale.

Dal punto di vista sostanziale, la Cassazione rileva come i giustificati motivi cui la legge subordina  la revisione delle condizioni di divorzio ben possano consistere anche nella effettiva riduzione della capacità patrimoniale dell’obbligato a seguito della nascita di un figlio generato dalla successiva unione, con la precisazione che il nuovo dovere di mantenimento dell’obbligato deve essere valutato tenendo conto di tre fattori:

·        le potenzialità economiche della nuova famiglia in cui il bambino è stato generato;

·        la necessità di garantire comunque ai figli nati dalla precedente unione la soddisfazione dei loro bisogni economici e il rispetto delle responsabilità genitoriali;

·        l’effettiva capacità economica dell’obbligato stesso, anche alla luce dell’apporto del nuovo partner.

Dal punto di vista processuale la Suprema Corte ha invece affermato che non rileva la circostanza che il mutamento addotto a giustificazione della richiesta sia stato addotto per la prima volta in sede di reclamo; non si tratterebbe infatti di nuova domanda, ma solo di nuova valutazione di elementi di fatto attinenti ad una domanda che già costituisce oggetto del giudizio.

In considerazione delle motivazioni esposte, il giudice di legittimità ha disposto la cassazione del provvedimento impugnato.

I precedenti giurisprudenziali

In merito alla revisione delle disposizioni relative all’assegno divorzile, la Suprema Corte si colloca in un solco già tracciato dalla precedente giurisprudenza di legittimità ribadendo principi già consolidati in armonia con il dato letterale dell’art. 9 l. 898/70, peraltro chiaro ed univoco nel delineare i presupposti cui il legislatore ha inteso subordinare la revisione delle condizioni fissate dal giudice.

E’ ormai consolidato infatti l’orientamento della Corte di Cassazione, ribadito in una recente decisione, secondo cui “Il provvedimento di revisione dell’assegno divorzile – previsto dall’art. 9 della legge n. 898 del 1970 – postula non soltanto l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la idoneità di tale modifica a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti. Nella particolare ipotesi in cui il motivo di revisione si palesi di consistenza tale da condurre alla revoca dell’assegno divorzile, è indispensabile procedere, poi, al rigoroso accertamento della effettività dei predetti mutamenti e verificare l’esistenza di un nesso di causalità tra essi e la nuova situazione patrimoniale conseguentemente instauratasi, onde dedurne, con motivato convincimento, che l’ex coniuge titolare dell’emolumento abbia acquisito la disponibilità di mezzi idonei a conservargli un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio o che le condizioni economiche del coniuge obbligato si siano a tal punto deteriorate da rendere insostenibile l’onere posto a suo carico. Pertanto, in sede di revisione, il giudice non può procedere a una nuova e autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se e in che misura le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale.” (Cassazione n. 6/2008; in senso conforme, Cassazione n. 10133/2007).

Ai sensi della norma in commento infatti il Tribunale competente, su motivata istanza di parte, può disporre la revisione della misura e della modalità dei contributi di cui agli articoli 5 e 6 della legge n. 898/70 in caso di sopravvenienza di “giustificati motivi” dopo la sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

E’ affidata pertanto al giudice una duplice valutazione:

·        effettiva sopravvenienza di circostanze nuove in epoca successiva allo scioglimento del vincolo coniugale;

·        oggettiva idoneità di tali circostanze a incidere sull’equilibrio precedentemente fissato dall’autorità giudiziaria e tali da giustificare una revisione delle disposizioni.

Nel caso deciso da Cassazione 1595/2008, la Corte ha valutato due circostanze sopravvenute: il lavoro svolto dalla ex moglie del ricorrente alle dipendenze del Comune e la nascita di un figlio dall’ unione del ricorrente con la nuova compagna. Solo l’ultima delle due circostanze è stata ritenuta idonea ad incidere significativamente sulla condizione economica dell’obbligato, giustificando in tal modo la cassazione della decisione che aveva respinto la richiesta riduzione dell’assegno.

In una fattispecie analoga, invece, la Suprema Corte aveva ritenuto non idonea a modificare gli equilibri fissati nella decisione di divorzio la medesima circostanza della sopravvenienza di un figlio dalla nuova unione (Cassazione n. 12121(2004).

In quell’occasione, i giudici di legittimità ritennero il sopraggiunto obbligo di mantenimento di un figlio motivo non sufficiente ad escludere in toto la corresponsione dell’assegno alla ex moglie, pur valutando la circostanza come “motivo ragionevole di contenimento dello stesso”.

 

Osservazioni conclusive

 

Ai fini della possibilità di ottenere una modifica delle condizioni economiche del divorzio in applicazione dell’art. 9 l. 898/70, non è possibile (e il legislatore ha infatti evitato di farlo) la previa tipizzazione delle circostanze al sopravvenire delle quali l’assegno di mantenimento può essere escluso o ridotto; occorre valutare caso per caso se e in che misura siano sopravvenute nuove circostanze successivamente allo scioglimento del vincolo di coniugio, per poi verificare se esse siano effettivamente tali da alterare l’equilibrio economico fissato dalle precedenti statuizioni e giustificare una nuova determinazione dell’assegno o la sua radicale esclusione.

Al pari della sopravvenienza di un figlio, neppure la circostanza che la ex moglie non si adoperi per la ricerca del lavoro e dell’indipendenza economica è stata ritenuta di per sé sufficiente ad escludere l’assegno di mantenimento. La Suprema Corte (sentenza n. 12121/04) ha infatti affermato che “la teorica possibilità del coniuge privo di reddito di reperire un’occupazione non elide il dovere di solidarietà (persistente fra i coniugi anche dopo la separazione: cfr. Cass. 5253/2000, 13666/1999, 4094/1998, 2349/1994) ed il conseguente obbligo di condivisione dei beni e di sostegno verso il coniuge più debole, mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento (ricorrendone gli altri presupposti di legge), nella misura indicata dalle circostanze.

La valutazione delle circostanze sopravvenute è compiuta dai giudici sia di merito che di legittimità con una “intensità” diversa a seconda che la richiesta del ricorrente sia diretta ad ottenere una riduzione dell’assegno ovvero la sua esclusione; in tale ultima ipotesi, infatti, occorre contemperare gli interessi in gioco attraverso una ricostruzione dell’equilibrio economico degli ex coniugi, soprattutto quanto tali circostanze consistano nella sopravvenienza di figli.

Nel caso deciso da Cassazione n. 12121/2004, i giudici di legittimità avrebbero dovuto forse dare maggior peso alla nascita di un altro figlio dalla nuova unione dell’obbligato rispetto al dovere di solidarietà fra coniugi, considerato anche, nella fattispecie, il ritorno della moglie nella agiata famiglia di origine.

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