L’assegno divorzile trova il suo fondamento nell’adempimento del dovere di solidarietà post-coniugale che viene richiesto in favore del coniuge più debole che ha concorso alla vita spirituale e materiale della famiglia.
Il legislatore, con l’introduzione dell’istituto dell’assegno divorzile ha voluto in un certo senso “ricompensare” l’attività svolta in favore della famiglia, difatti, il quantum dell’assegno periodico da somministrare a favore del coniuge debole, è subordinato anche al contributo personale ed economico dato alla conduzione familiare.
Il diritto all’assegno divorzile è previsto dall’articolo 5 della legge sul divorzio n. 898/1970, che al sesto comma stabilisce che: “il tribunale dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
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L’articolo 5, comma 6, della legge sul divorzio n. 898/1970, stabilisce che il tribunale con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
La valutazione del tribunale è subordinata alla valutazione di una serie di elementi, tra i quali:
La sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite ha sancito il superamento dei principali criteri con i quali veniva determinato l’assegno divorzile stabilendo che: “questa Corte ritiene di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio[…]. L’art. 5 c. 6 attribuisce all’assegno di divorzio una funzione assistenziale, riconoscendo all’ex coniuge il diritto all’assegno di divorzio quando non abbia mezzi “adeguati” e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Il parametro dell’adeguatezza ha, tuttavia, carattere intrinsecamente relativo ed impone un giudizio comparativo. […] Il fondamento costituzionale dei criteri indicati nell’incipit della norma conduce ad una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei mezzi e dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti espressamente al giudice della famiglia a questo specifico scopo. Tale verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, c.6, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare […] Il richiamo all’attualità, avvertito dalla sentenza n. 11504 del 2017, in funzione della valorizzazione dell’autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi deve, pertanto, dirigersi verso la preminenza della funzione equilibratrice-perequativa dell’assegno di divorzio. Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari”.
La sentenza in commento, infatti, fra le principali novità, ha stabilito:
1) Il definitivo abbandono del criterio del tenore di vita dei coniugi che per circa 30 anni è stato utilizzato come parametro di determinazione dell’assegno divorzile.
2) Il superamento della struttura bifasica del procedimento di determinazione dell’assegno divorzile, abbandonando la distinzione fondata sulla natura attributiva o determinativa dei criteri richiamati dall’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio;
3) Il riconoscimento di una natura composita dell’assegno divorzile, che alla funzione assistenziale unisce quella perequativa e compensativa. Sul punto, infatti, il Tribunale Firenze, sez. I, con la recentissima sentenza del 02/10/2020, numero 2104, ha stabilito che in sede di scioglimento del vincolo coniugale ed in tema di attribuzione di assegno divorzile, occorre non tanto ripianare tout court gli squilibri economici tra gli ex coniugi, bensì evitare arricchimenti in favore della parte che ha direttamente e/o mediatamente beneficiato, durante il matrimonio, dell’opera morale e materiale, non remunerata, dell’altro coniuge. Ed inoltre, la cassazione si è espressa più volte stabilendo che: “l’assegno divorzile all’ex coniuge economicamente più debole deve assicurare un contributo compensativo-perequativo per il dimostrato sacrificio rispetto alle proprie aspirazioni e prospettive economiche fatto in ragione della conduzione della vita familiare e della costituzione del patrimonio della famiglia. A fornire questa precisazione è la Cassazione per la quale, dunque, per i figli resiste il principio del tenore di vita goduto nel corso del matrimonio dei genitori. Nel caso di specie, è stata ritenuta giustificata la richiesta di 3mila euro al mese per il figlio sedicenne abituato ad una vita agiata” (Cassazione civile sez. I, 23/07/2020, n.15773).
4) L’equiparazione dei criteri previsti all’art. 5, sesto comma, della Legge n. 898/1970;
5) La previsione di una concezione concreta del criterio di “adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi”, in relazione allo specifico contesto coniugale. Sul punto la recentissima Cassazione civile sez. I, 23/07/2020, con la sentenza n.15773, stabiliva che: “In sede di divorzio, ai fini della determinazione dell’assegno in favore dell’ex coniuge occorre tenere conto dell’intera consistenza patrimoniale di ciascuno dei coniugi e, conseguentemente, ricomprendere qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica, compreso l’uso di una casa di abitazione, valutabile in misura pari al risparmio di spesa che occorrerebbe sostenere per godere dell’immobile a titolo di locazione”.
6) La valutazione complessiva della storia coniugale;
7) La necessità di una prognosi futura, determinando l’assegno in base all’età e allo stato di salute dell’avente diritto, nonché alla durata del vincolo coniugale;
8) La valutazione dell’effettiva capacità lavorativa del coniuge richiedente. E sul punto la Cassazione civile sez. VI, 04/09/2020, n.18522 stabilisce che: “in tema di diritto all’assegno divorzile, l’attitudine dell’ex coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata una effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già sulla base di mere valutazioni astratte e ipotetiche”. Ancora, anche la Cassazione civile sez. VI, 09/09/2020, con la sentenza n.18681, sancisce che “alla luce della nuova elaborazione ermeneutica dell’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, deve essere riconosciuto il diritto all’assegno divorzile, nell’ipotesi di effettiva e concreta non autosufficienza economica del richiedente, anche ove non possano essere valutati gli altri criteri, ancorché equiordinati, previsti nella norma, in virtù del rilievo primario dei principi solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari, sempre previo preliminare esame comparativo delle condizioni economico-patrimoniali delle parti”.
La capacità patrimoniale della famiglia d’origine è un criterio di cui tener conto nel computo dell’assegno divorzile?
Infine, spesso capita che il patrimonio della famiglia d’origine dei coniugi venga utilizzato per valutare la capacità reddituale del coniuge obbligato, tuttavia, la più recente Cassazione ha smentito tale aspetto evidenziando che: “ai fini della determinazione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, deve essere esclusa la rilevanza dell’entità dei patrimoni delle famiglie di appartenenza ovvero del loro apporto economico ai coniugi, in quanto trattasi di ulteriore criterio non previsto dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970” (Cass. civ. sez. 15773/2020).
Nuove regole per l’assegno di divorzio: “Limitazione temporale”.
L’assegno divorzile può essere erogato anche in un’unica soluzione, cd. “una tantum”, unicamente su accordo delle parti e sempre che sia ritenuta equa dal tribunale.
Tuttavia, quando viene stabilita la corresponsione dell’assegno divorzile “una tantum” vengono in rilievo alcune preclusioni:
L’assegno divorzile non spetta alla parte in tre ipotesi:
Infine è la legge a stabilire che l’obbligo di erogazione dell’assegno cessa se il coniuge beneficiario dovesse contrarre matrimonio.
Il tenore di vita non è l’unico parametro per la revoca dell’assegno divorzile
Il diritto all’assegno divorzile, dove venga stabilito nella sentenza di divorzio, spetta sin dal momento nel quale la stessa passa in giudicato, tuttavia, è possibile richiedere al giudice di rideterminarlo in qualunque momento, se dovessero sopraggiungere apprezzabili modifiche dei rispettivi redditi.
La Cassazione è infatti unanime nel ritenere che: “l’assegno di divorzio, in assenza di esplicita domanda diversa, decorre dal passaggio in giudicato della sentenza. L’assegno divorzile ha decorrenza, se non è stata presentata domanda diversa, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza e non da quello della domanda di primo grado, particolarmente nel caso in cui la sentenza non presenti adeguata motivazione sul punto” (Cassazione civile sez. I, 17/09/2020, n.19330).
Il diritto di ricevere l’assegno divorzile termina quando il beneficiario passa a nuove nozze ovvero con il decesso dell’obbligato, tuttavia in quest’ultimo caso il tribunale, su istanza dell’interessato potrà attribuire un assegno periodico a carico dell’eredità.
L’assegno di mantenimento, disposto a vantaggio del coniuge economicamente più debole viene disciplinato dall’art 156 c.c, mentre l’assegno divorzile ha una disciplina diversa trovandosi in una legge ad hoc.
La differenza fra i due istituti, oltre che terminologica, è soprattutto di carattere sostanziale.
Difatti, i presupposti dell’assegno di mantenimento sono legati alla sussistenza di un rapporto di coniugio, mentre con la cessazione degli effetti civili del matrimonio (ossia con il divorzio) il rapporto di coniugio è cessato. Questa circostanza rileva in particolar modo per la determinazione dei due assegni, in riferimento al criterio di “tenore di vita”. In sede di quantificazione dell’assegno di mantenimento, infatti, è determinate il criterio del tenore di vita, mentre, in ambito divorzile è tutt’oggi oggetto di vivace dibattito giurisprudenziale.
L’assegno divorzile, può essere pagato anche da terzi, come previsto per l’assegno di mantenimento a seguito di separazione personale, ed al beneficiario viene anche accordata la possibilità, senza ricorrere al giudice, di richiedere in modo diretto al datore di lavoro dell’obbligato sino alla metà di quello che gli spetta, avendo addirittura un’azione esecutiva nei confronti dello stesso datore, in caso d’inadempimento (art. 8 legge n. 898/1970). Difatti, il versamento diretto del mantenimento da parte del datore di lavoro è uno degli strumenti maggiormente idonei a garantire l’adempimento delle obbligazioni di mantenimento nei confronti del coniuge, ex coniuge o dei figli, in quanto consente di superare l’inerzia del debitore senza dover attivare singole procedure esecutive a fronte di ogni inadempimento.