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I video dello stupro diffusi sui social e proiettati in aula, a processo due studenti

Il caso di Vasto: una cronaca che scuote le coscienze

La vicenda di Vasto ha colpito profondamente non solo una comunità, ma l’intera opinione pubblica nazionale. Tutto ha inizio due anni fa, quando una ragazza di appena tredici anni viene indotta da una coetanea a recarsi, dopo aver fumato uno spinello, presso l’abitazione di due ragazzi poco più grandi. In quello che le indagini definiscono uno stato di incoscienza, la giovane viene abusata sessualmente da uno dei ragazzi, mentre l’altro riprende l’intera scena con il cellulare. Da lì, la crudeltà dell’accaduto si è spostata rapidamente sul piano digitale: il video dello stupro, inizialmente condiviso in una chat di classe, diventa presto virale sui social network, trasformando una violenza privata in una pubblica umiliazione. Il trauma è tale da costringere la giovane e la sua famiglia a lasciare la città e cambiare scuola, nel tentativo di ricominciare lontano da sguardi e pregiudizi.

Dallo schermo dell’aula al dibattito pubblico: la proiezione dello stupro come “seconda violenza

Durante una delle più recenti udienze nel Tribunale per i minorenni dell’Aquila, la proiezione del video in aula ha suscitato un silenzio angoscioso, interrotto solo dal pianto incontenibile della madre della vittima. La stessa ragazza non era presente, un’assenza che riflette la volontà, dettata da esigenze di protezione e salute psicologica, di non esporla ulteriormente al ricordo e alla pubblicità del trauma. Questo momento segna un particolare snodo di riflessione: lo spazio giudiziario diventa teatro della doppia sofferenza, fisica e psicologica, amplificata dalla potenza devastante dell’immagine che si rinnova davanti a giudici e pubblico.

Stupro diffuso sui social: quando la tecnologia moltiplica il danno

La drammaticità del caso di Vasto si annoda con una delle sfide più complesse della società contemporanea: la velocità e la pervasività della rete. In pochi click, un atto privato e criminale infrange il confine tra vittima e pubblico, alterando profondamente il concetto stesso di dignità personale e di recupero dal trauma. La circolazione incontrollata di immagini di uno stupro sui social rende la giustizia più ardua, perché la vittima è costretta a confrontarsi con giudizi, curiosità morbosa e l’impossibilità di “dimenticare”, all’interno di una comunità spesso più attenta al fatto mediatico che alla sofferenza individuale.

Il valore della privacy nel processo

La giurisprudenza italiana invita ad arginare l’uso indiscriminato delle immagini, imponendo una particolare cautela nei procedimenti che riguardano minori e materiale così sensibile. In tal senso, la Cassazione ha puntualizzato che “l’assunzione di prove di natura audiovisiva deve essere circoscritta a quanto strettamente indispensabile, onde evitare che il processo si trasformi in occasione di ulteriore sofferenza per la persona offesa”. Il fine ultimo non può mai essere la spettacolarizzazione dell’evento, ma il rispetto profondo della dignità della vittima, anche al costo di sacrificare, entro certi limiti, la completezza dell’accertamento processuale. Questa consapevolezza impone a giudici, avvocati e operatori, anche tecnici, un approccio orientato prima di tutto a non aggravare la condizione emotiva della parte lesa.

Una giustizia non solo riparativa, ma empatica

Il caso di Vasto ammonisce sulla necessità di ripensare la funzione della giustizia in epoca digitale. Se fino a ieri il processo era scenario di verità e tutela, oggi è chiamato a diventare anche spazio di ascolto, protezione e comprensione profonda dei meccanismi che rendono la violenza più lacerante quando si fonde con la dimensione pubblica e tecnologica.

 

Proprio per questo, diventa essenziale la formazione di tutti i soggetti coinvolti, giudici inclusi, affinché si affermi una cultura della delicatezza, volta a impedire che il diritto risarcisca solo in astratto, lasciando però alla vittima il peso della sua esposizione sociale e psicologica. È la misura con cui, in futuro, si valuterà la maturità della giurisdizione italiana di fronte alle insidie della rete.

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