IL FATTO
Il caso riguarda un padre che, seppure parzialmente, ometteva di concorrere al mantenimento dei tre figli minori. Egli, libero professionista ed esercente attività notarile con un reddito mensile superiore ai 20.000,00 euro, deliberatamente, a pochi mesi dalla sottoscrizione di una separazione consensuale ove si obbligava a concorrere nella misura di euro 12.500,00 al mese, decideva autonomamente di corrispondere soltanto euro 3.000,00 al mese. A nulla erano valsi i vari solleciti dell’ex coniuge e del legale della stessa così come a nulla erano valse le varie procedure esecutive intraprese nei suoi confronti atteso che, artatamente, lo stesso aveva proceduto a svuotare tutti i conti correnti e ad intestare tutti i suoi beni immobili ad una società, di cui è socio unico, in stato di liquidazione. Alla luce di tale reiterato inadempimento dell’ex coniuge, la madre dei tre minori al fine di tutelare l’interesse degli stessi, si vedeva costretta, suo malgrado, a depositare nei suoi confronti presso la Procura della Repubblica di Roma denuncia querela ex art. 570 c.p. e art. 12 sexies legge 898/1970. Sulla base delle indagini svolte, e soprattutto a seguito delle continue violazioni degli obblighi di mantenimento da parte del genitore obbligato, il Tribunale Penale di Roma, riteneva fondata l’azione penale ed alla pubblica udienza dell’1 luglio 2014 pronunciava sentenza di condanna per essere lo stesso incorso nel reato di cui all’art. 12 sexies l. 898/1970, condannando altresì l’imputato a risarcire l’ex coniuge, che intanto nel procedimento de quo si era costituita parte civile, per i danni civili cagionati dal reato accertato.
IL DIRITTO
La pronuncia del Tribunale di Roma in esame appare interessante, in quanto chiaramente afferma che è penalmente sanzionabile il coniuge che, in violazione agli obblighi ad esso imposti in sede di separazione – o anche di divorzio – omette, anche solo parzialmente, di concorrere al mantenimento dei figli.
In Italia i casi di mancato pagamento dell’assegno di mantenimento sono una realtà purtroppo molto diffusa. Troppe volte, infatti, gli ex coniugi e/o i figli si trovano a dover combattere in sede civile e in sede penale con l’altro coniuge per vedersi garantito il diritto a ricevere le somme necessarie al loro mantenimento.
Vi è da sottolineare anche che gli strumenti messi a disposizione dal nostro ordinamento non sempre intervengono con la dovuta tempestività e dunque spesso non riescono ad evitare il grave pregiudizio che da tali condotte ne deriva.
Non concorrere al mantenimento dei propri familiari, nel nostro ordinamento, costituisce reato e può integrare sia la fattispecie prevista dall’art. 570 del codice penale che quella prevista dall’art. 12 sexies della legge sul divorzio 898/70.
L’art. 570 c.p., espressamente statuisce che “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti; di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge.
L’ulteriore ipotesi criminosa del tutto autonoma rispetto a quella prevista dall’art. 570 c.p., è quella dell’ art. 12 sexies l.898/70, che costituisce ipotesi di reato omissivo proprio che, consistendo espressamente nell’inosservanza dell’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a titolo di mantenimento in favore dei figli, integra violazione di uno specifico provvedimento imposto per via giudiziaria.
La sentenza del 1 luglio 2014 del Tribunale di Roma appare in linea non solo con la legge, ma anche, e soprattutto, con i più recenti orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte (Cfr. fra tutte Cass. Pen., Sezione VI, 21 settembre 2001, n. 37419), in quanto dà la possibilità al Giudice di comminare non solo sanzioni pesanti, quale la multa e la reclusione, ma altresì tutela la parte civile costituita con provvisionali di entità economica elevata come nel caso di specie dove vediamo comminata una provvisionale di euro 36.000,00 nell’interesse dei minori.
Per di più, ai fini del riconoscimento della responsabilità penale, appare sufficiente accertare l’effettiva capacità economica dell’obbligato ad adempiere all’obbligazione, con esclusione della violazione solo nel caso in cui l’obbligato versi in stato di indigenza.
Auspicabile è tuttavia incrementare la certezza di un diritto che favorisca nella tempistica la tutela dei soggetti deboli e garantisca anche preventivamente un adempimento esatto delle obbligazioni assunte, magari anche attraverso strumenti di garanzia che evitino la adizione di sedi giudiziarie sempre più ingolfate e poco agevoli. Perché c’è da dire che proprio nel caso di specie, nonostante la condanna e la provvisionale il condannato, ove decidesse di reiterare il reato, lo potrebbe fare con serenità per almeno altri due anni in attesa di altre denunce penali e di un’esecuzione civile per il recupero del mal tolto.