Qual è il peso dell’infedeltà oggi, di fronte a un matrimonio che si sgretola sotto lo sguardo di migliaia di spettatori? La vicenda che ha coinvolto Kristin Cabot, immortalata da una kisscam durante una partita negli Stati Uniti, offre uno spunto per riflettere sulle implicazioni giuridiche – e non solo mediatiche – di una rottura coniugale.
Il quadro normativo tra Italia e Stati Uniti
Nel diritto italiano, la fedeltà tra coniugi resta, almeno sulla carta, uno dei doveri fondamentali del matrimonio (art. 143 c.c.). Può l’infedeltà, ancora oggi, incidere realmente sull’esito di una separazione o di un divorzio? La risposta va cercata non solo nei principi astratti, ma nel modo in cui i tribunali interpretano le norme alla luce dei casi concreti.
Nel sistema italiano, il tradimento può essere causa di addebito della separazione o del divorzio, ma la Cassazione è da tempo rigorosa: “l’infedeltà non dà luogo automaticamente all’addebito, occorrendo che si provi il nesso causale tra la condotta e la crisi matrimoniale” (cfr. Cass., ord. n. 13643/2023). Non basta quindi la scoperta di un episodio come quello della kisscam per togliere il mantenimento o modificare gli equilibri patrimoniali: bisogna sempre dimostrare che è stato proprio quel comportamento a far venire meno la fiducia tra i coniugi.
Al contrario, negli Stati Uniti, le regole variano da Stato a Stato. In gran parte dei casi, il sistema del “no-fault divorce” ha svuotato la rilevanza dell’infedeltà: chi vuole il divorzio non deve più dimostrare la colpa dell’altro. Solo nella minoranza di Stati in cui la colpa conta ancora, l’infedeltà può influire su assegni e suddivisione dei beni, ma la tendenza generale va verso la marginalizzazione del tradimento come elemento “premiante” o “punitivo”.
Il “caso kisscam” e la questione della privacy
Tornando alla vicenda Cabot, occorre domandarsi se la diffusione di un video della kisscam possa comportare problemi giuridici di altro genere, come la violazione della privacy.
Negli Stati Uniti, la partecipazione a eventi pubblici implica quasi sempre il consenso a essere ripresi, specialmente in contesti come gli stadi. Tuttavia, se l’immagine o il video vengono poi usati in modi che ledono la reputazione o travalicano la normale esposizione pubblica, possono sorgere responsabilità, anche se la soglia per configurare una vera lesione della privacy è alta. In Italia, invece, la protezione della riservatezza è più rigorosa: la diffusione di immagini senza consenso può essere sanzionata, specie se avviene mediante canali (social, stampa, piattaforme online) che amplificano la notorietà del fatto. I giudici valutano caso per caso quanto fosse legittima l’aspettativa di riservatezza e quale sia stato l’effetto concreto della diffusione sull’altrui dignità.
Le prove dell’infedeltà: il ruolo dei messaggi e delle immagini
Il contenzioso sul tradimento, oggi, si gioca spesso tutto sulle prove digitali: chat, messaggi, fotografie, video. A tale proposito, la Cassazione, con l’Ordinanza n. 1254/2025, ha di recente dichiarato: “I messaggi di testo, anche prodotti mediante screenshot, costituiscono prove documentali ai sensi dell’art. 2712 c.c., se non disconosciuti espressamente dalla parte contro cui sono prodotti”. In altre parole, chi produce screenshot di chat o SMS in giudizio potrà vederli valutati come veri e propri documenti, a meno che l’altro coniuge non li disconosca formalmente. È un segnale che i tempi cambiano: la tutela della privacy e la possibilità di accesso alle “tracce digitali” devono sempre bilanciarsi, e sarà il giudice a decidere di volta in volta quanto peso dare alle nuove tecnologie nella sfera più privata.

Il ruolo dell’avvocato
Per chi assiste, come avvocato, un cliente coinvolto in una crisi matrimoniale segnata da infedeltà visibile “pubblicamente” – oggi non più solo a tavola o nei corridoi di casa, ma davanti a una platea potenzialmente planetaria – le strategie difensive devono tener conto della complessità del rapporto tra vita privata e visibilità. Sconsiglio sempre di puntare tutto sull’effetto “shock” di una prova spettacolare: in Italia conta molto di più la dimostrazione del legame tra quella prova e la vera e propria rottura affettiva, non l’umiliazione pubblica o il clamore mediatico.
Inoltre, chi si ritrova oggetto di un video diffuso senza consenso ha tutto il diritto di valutare azioni in sede civile per la tutela della propria riservatezza, soprattutto se da tale diffusione sono derivate conseguenze gravi nella vita quotidiana, professionale o relazionale.
Il divorzio Cabot, d’altronde, è uno specchio dei tempi: nel cortocircuito tra diritto di famiglia, privacy ed esposizione social, i casi di infedeltà finiscono sempre più spesso “sul palco” dei media e dei social network, rendendo indispensabile un approccio giuridico che sappia bilanciare la tutela della vita privata con la necessità di garantire un giudizio equo e rispettoso della dignità delle persone coinvolte.
