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Nel processo di famiglia se le parti chiedono l’ascolto del minore, deve sempre essere disposto?

«Avvocato, nel procedimento per l’affidamento di mia figlia, io e il mio ex coniuge abbiamo chiesto che la bambina venga ascoltata dal giudice. È un suo diritto? Il giudice è sempre obbligato a disporre l’ascolto?»

«La questione è molto attuale e centrale nei procedimenti di famiglia. L’ascolto del minore è un diritto riconosciuto dalla legge e dalla Convenzione di Strasburgo, ma non si tratta di un obbligo assoluto e incondizionato per il giudice. Vediamo insieme i principi normativi e i più recenti orientamenti giurisprudenziali.»

Nel processo di famiglia se le parti chiedono l’ascolto del minore, deve sempre essere disposto?
Nel processo di famiglia se le parti chiedono l’ascolto del minore, deve sempre essere disposto?

Il quadro normativo e la funzione dell’ascolto

La normativa italiana, anche in recepimento dei principi internazionali, attribuisce grande rilievo al diritto del minore ad essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano. L’art. 473-bis.4 c.p.c. prevede che il giudice debba ascoltare il minore capace di discernimento, valorizzando la sua opinione nelle decisioni che incidono sulla sua vita. Tuttavia, la legge non impone un obbligo assoluto e incondizionato: il giudice deve sempre ponderare se l’ascolto sia effettivamente utile e non rischi di arrecare un pregiudizio psicologico.

La riforma Cartabia ha rafforzato la centralità dell’ascolto, ma ha anche chiarito che il giudice conserva un margine di discrezionalità, dovendo valutare la maturità, lo stato emotivo e il contesto familiare del minore prima di portare avanti tale scelta.

L’ascolto come strumento di tutela, non come automatismo

La giurisprudenza più recente ha evidenziato che il diritto all’ascolto non può essere inteso come un qualcosa di automatico o meccanico. È ormai consolidato che il giudice debba motivare la scelta di non procedere all’audizione solo se questa possa determinare un ulteriore turbamento o ansia per il bambino. In particolare, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 17 giugno 2025, n. 16333, ha affermato: “Non può ritenersi obbligatorio l’ascolto del minore ogniqualvolta vi sia richiesta delle parti, dovendo il giudice valutare, con motivazione specifica, se tale ascolto possa esporre il minore a ulteriore ansia e turbamento, specie in situazioni di forte conflitto familiare o di particolare vulnerabilità del minore stesso”.

Nel processo di famiglia se le parti chiedono l’ascolto del minore, deve sempre essere disposto?
Nel processo di famiglia se le parti chiedono l’ascolto del minore, deve sempre essere disposto?

In altre parole, l’ascolto deve essere funzionale alla tutela del minore e non può mai trasformarsi in un’occasione di ulteriore pressione psicologica, soprattutto nelle situazioni in cui il minore sia già esposto a tensioni familiari o a dinamiche conflittuali tra i genitori.

Criteri applicativi e implicazioni pratiche

Nella prassi, il giudice valuta una serie di elementi prima di decidere sull’ascolto:

  • Età e maturità: In genere, si ascoltano i minori che abbiano compiuto 12 anni, o anche più giovani se ritenuti capaci di discernimento.
  • Stato emotivo: Se il minore manifesta disagio, ansia o è coinvolto in dinamiche di manipolazione, il giudice può ritenere opportuno evitare l’audizione diretta.
  • Contesto familiare: In presenza di forti conflitti o rischio di strumentalizzazione, la prudenza impone una valutazione attenta dell’opportunità dell’ascolto.
  • Motivazione: Qualora il giudice decida di non ascoltare il minore, deve darne conto con una motivazione puntuale e specifica.

In alternativa, il giudice può anche acquisire gli elementi necessari tramite consulenze tecniche, servizi sociali o altre fonti indirette, per non esporre il minore a ulteriori pressioni.

L’ascolto del minore rappresenta una conquista fondamentale del diritto di famiglia moderno, ma non può essere trasformato in un passaggio obbligato in ogni procedimento. La vera sfida per il giudice e per gli operatori del diritto è quella di bilanciare il diritto all’espressione del minore con la necessità di proteggerlo da ulteriori traumi e pressioni. Solo un approccio attento e personalizzato, capace di cogliere le sfumature della situazione familiare, può garantire che l’ascolto sia davvero uno strumento di tutela e non un ulteriore fattore di disagio. In questo senso, la serenità e l’equilibrio psicologico del minore devono sempre prevalere su ogni altra esigenza processuale, anche quando la richiesta di ascolto proviene da entrambe le parti.

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