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Separazione e disaffezione: nessun addebito se la crisi nasce dalla fine del sentimento

«Salve Avvocato, sto pensando di separarmi da mia moglie. Non riesco più a provare i sentimenti che avevo nei suoi confronti, mi dispiace, non è colpa sua, sento proprio una sorta di disaffezione… Cosa succederebbe in questo caso? Come funzionerebbe la separazione?»

«Capisco bene la sua situazione e la sua sincerità. È importante sapere che la legge e la più recente giurisprudenza riconoscono che la crisi di coppia può nascere anche dalla semplice perdita del sentimento, senza che vi siano colpe o comportamenti gravi da parte di uno dei coniugi. Vediamo insieme cosa prevede la normativa e cosa ha stabilito la Cassazione proprio su questo punto.»

Il quadro normativo: la crisi coniugale e la separazione

L’art. 151, comma 1, c.c. stabilisce che la separazione personale può essere pronunciata quando si verificano fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Non è dunque necessario che uno dei coniugi abbia commesso una violazione specifica degli obblighi matrimoniali: la legge tiene conto anche delle situazioni in cui la convivenza diventa insostenibile per ragioni di natura affettiva, come la disaffezione.

La Cassazione Civile n. 13858/2025: la disaffezione come causa della crisi

L’ordinanza della Cassazione Civile n. 13858 del 24 maggio 2025 affronta proprio il caso di una crisi matrimoniale determinata dalla perdita del sentimento, anche in assenza di colpe specifiche. La Suprema Corte afferma che «la crisi del rapporto coniugale può derivare anche da una progressiva disaffezione, non necessariamente riconducibile a comportamenti colpevoli o violazioni degli obblighi matrimoniali». In altre parole, la separazione può essere concessa anche quando la causa della rottura è semplicemente la fine del legame affettivo.

La Corte sottolinea che «la disaffezione, quale progressivo raffreddamento del legame, può costituire di per sé causa sufficiente di intollerabilità della convivenza, anche se non accompagnata da comportamenti oggettivamente censurabili». Il giudice, quindi, non deve indagare sulle ragioni profonde della crisi, ma solo verificare se la comunione spirituale e materiale sia venuta meno in modo irreversibile.

L’addebito della separazione: presupposti e limiti

 

L’addebito della separazione, previsto dall’art. 151, comma 2, c.c., richiede che sia accertata una violazione degli obblighi coniugali (come la fedeltà, l’assistenza morale e materiale, la coabitazione, la collaborazione nell’interesse della famiglia) e che tale violazione sia stata la causa determinante della crisi. L’ordinanza chiarisce che «la semplice disaffezione, anche se manifestata unilateralmente, non integra di per sé una violazione degli obblighi coniugali tale da giustificare l’addebito della separazione». In assenza di comportamenti specificamente lesivi, la separazione dovrà essere pronunciata senza addebito.

L’onere della prova e il ruolo del giudice

Spetta al coniuge che chiede l’addebito dimostrare che la violazione degli obblighi matrimoniali sia stata la causa della rottura del rapporto, e non la sua conseguenza. La Cassazione ribadisce la necessità di una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi e del contesto in cui si è sviluppata la crisi, evitando automatismi o presunzioni.

 

«Come vede, la legge e la giurisprudenza più recente riconoscono che la fine del sentimento e la disaffezione, anche se unilaterale, sono motivi sufficienti per ottenere la separazione, senza che ciò comporti un addebito di colpa a carico suo o di sua moglie. Il giudice prenderà atto della rottura del legame e pronuncerà la separazione senza sanzionare nessuno dei coniugi, a meno che non emergano comportamenti gravi e specifici che abbiano causato la crisi. In questi casi, la serenità e la chiarezza con cui si affronta il percorso di separazione sono fondamentali, sia per tutelare i propri diritti che per mantenere un clima di rispetto reciproco.»

 

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