Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass.Pen.sez.III n.48516/2009) ha accolto il ricorso con cui un padre chiedeva la concessione e la conseguente applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto in relazione al reato di violenza privata, commesso nei confronti della moglie bloccata per strada con la sua automobile, con l’accusa di aver impedito illegittimamente al padre di vedere e parlare con il proprio bambino per più di un mese.
Il fatto
Il Tribunale di Pisa in primo grado dichiarava il sig. M.S. colpevole dei reati di sequestro di persona, tentata violenza privata, violenza privata, violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia ai danni della sua ex convivente, condannando lo stesso alla pena di anni sei di reclusione.
La Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza di primo grado, concedendo però le attenuanti generiche, riducendo così la pena della reclusione.
L’imputato decideva di presentare ricorso in Cassazione deducendo la carenza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata analisi dei tabulati telefonici, non esaminati nel merito dei due gradi del procedimento.
In secondo luogo lamentava la carenza e illogicità della motivazione in relazione alla erronea valutazione delle acquisizioni probatorie in contrasto con le dichiarazioni rese dalla persona offesa, nonchè l’erronea valutazione della consulenza tecnica di parte relativamente al concetto di lesioni.
Lamentava infine la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in merito alla mancata presenza di una causa di giustificazione, avendo chiesto l’applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto con riferimento al reato di violenza privata commesso nei confronti della ex moglie, bloccata per strada con la sua automobile, solo per poter incontrare e parlare con il proprio bambino che per più di un mese gli era stato impedito di vedere.
La decisione
Con la sentenza n. 48156/09 la Corte di Cassazione sez. penale ha accolto il ricorso proposto dal ricorrente, annullando la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.
Queste le censure più rilevanti.
La Suprema Corte sottolinea l’illogicità della motivazione con cui il giudice di merito aveva ritenuto superfluo l’analisi dei dati risultanti dai tabulati telefonici attraverso i quali sarebbe stato possibile smentire alcune affermazioni rese dalla persona offesa: per giurisprudenza costante, infatti, queste devono essere vagliate con opportuna cautela e possono essere assunte quale unica fonte di prova solo se sottoposte al vaglio della credibilità oggettiva e soggettiva, valutazione che la Corte di Appello aveva omesso di fare.
La motivazione della sentenza di secondo grado risulta altresì carente in ordine al rigetto della sussistenza della scriminante dell’esercizio del diritto, richiesta con riferimento al comportamento del ricorrente che aveva tagliato la strada alla sua ex moglie, costringendola a fermarsi.
La Corte di Appello si era limitata ad affermare che l’azione compiuta dal ricorrente” travalicava i limiti delle facoltà a lui concesse”, senza esprimere censure di merito nè spiegarne i motivi.
Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto di dover riconoscere al ricorrente l’applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto, in quanto la condotta da lui compiuta in un impeto d’ira, era stata causata solo dall’intento di esercitare il diritto di vedere il proprio figlio che per circa un mese non aveva potuto incontrare a causa del comportamento illegittimo della ex moglie.
Osservazioni
Ancora una volta i figli al centro dei conflitti fra i coniugi.
Nella fattispecie, all’attenzione della Suprema Corte, v’è un padre esasperato dal comportamento illegittimo della sua ex convivente e per conseguenza disposto ad imporsi con la forza e a rischiare anche di commettere un reato pur di vedere il proprio figlio defraudato ingiustamente del suo rapporto con il padre.
Sempre più spesso infatti i minori diventano vittime inconsapevoli ed innocenti dei difficili rapporti fra genitori, i quali incapaci di gestire con serenità e maturità la fine del loro matrimonio o convivenza,cercano di colpire l’altro coniuge mettendo in atto vere e proprie rappresaglie che in realtà finiscono per danneggiare solo i più piccoli.
La Suprema Corte, nel caso in esame, ha assolto il padre dall’accusa di violenza privata in relazione al fatto accaduto, ma circostanza ben più importante, ha riconosciuto in suo favore l’applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto (art.51 c.p.), con ciò sottolineando che la sua condotta non ha costituito reato ma anzi è stata la naturale conseguenza di un atteggiamento esasperato proprio dall’ingiusta privazione del rapporto con il figlio.
La sentenza di certo non vuole incentivare nè incoraggiare comportamenti che possano integrare reato ma sicuramente vuole riconoscere l’importanza del rapporto parentale che si realizza anche e soprattutto attraverso l’esercizio del diritto di visita che deve essere sempre garantito, nel rispetto del minore, a prescindere dallo scioglimento del vincolo matrimoniale o della convivenza dei genitori.
Proprio per evitare la strumentalizzazione di questi comportamenti che, come si è già detto, danneggiano per lo più i minori, sarebbe auspicabile che i coniugi adoperassero altre forme di risoluzione dei conflitti, come per esempio la mediazione, veicolo di grande valore il cui obiettivo principale è proprio il raggiungimento della bigenitorialità, nonchè la salvaguardia delle responsabilità genitoriali nei riguardi dei figli.
La mediazione, ancora troppo spesso sottovalutata in Italia, permette non solo di fornire soluzioni pratiche e concrete ai coniugi ma suggerisce anche percorsi di supporto psicologico che si possono anche rivelare di grande ausilio per il nucleo familiare.