Con sentenza emessa il 7 gennaio 2014 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per aver violato i diritti di una coppia di genitori non riconoscendo agli stessi la possibilità di iscrivere all’Anagrafe i loro tre figli con il cognome materno anzichè quello paterno.
Nel 1999, anno di nascita della primogenita, i coniugi Cusan e Fazzo avanzavano richiesta di iscrizione nei registri dell’anagrafe della figlia con il cognome della madre. L’ufficio dell’anagrafe rifiutava la richiesta.
I coniugi facevano ricorso dinnanzi al Tribunale di Milano per poter attribuire alla figlia il cognome della madre. Il Tribunale rigettava la domanda sostenendo che “ benchè non vi sia alcuna disposizione giuridica perché un neonato sia registrato con il nome del padre, questa regola corrisponde a un principio ben radicato nella coscienza sociale e nella storia italiana”.
Successivamente, i coniugi ricorrevano dinnanzi alla Corte d’Appello. La Stessa Corte rigettava il ricorso confermando la sentenza di primo grado.
Pertanto, la coppia si rivolgeva alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lamentando la violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo* . La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per aver la Stessa violato il diritto di non discriminazione tra i coniugi in coordinato disposto con il diritto al rispetto della vita familiare e privata statuendo che “se la regola che stabilisce che ai figli legittimi sia attribuito il cognome del padre può rivelarsi necessaria nella pratica, e non è necessariamente una violazione della convenzione europea dei diritti umani, l’inesistenza di una deroga a questa regola nel momento dell’iscrizione all’anagrafe di un nuovo nato è eccessivamente rigida e discriminatoria verso le donne”. Difatti, la possibilità di aggiungere il cognome materno a quello paterno ( introdotta dal D.P.R. N.396 del 2000, poi modificato da D.P.R. 24/2/2012) non garantisce l’eguaglianza tra i coniugi. Pertanto, la Corte europea ritiene necessario un intervento legislativo in materia diretto ad adottare riforme conforme alla normativa europea.
La sentenza in commento ha riconosciuto espressamente il diritto di scelta del cognome.
Già nel 2006 la Corte di Cassazione era intervenuta sull’argomento con sentenza n. 16093, con la quale sottolineava che l’esistenza nell’ordinamento italiano di una regola che impone il cognome paterno ai figli di una coppia sposata è il risultato di una visione patriarcale della famiglia non conforme alla concezione europea e pertanto sollecitava l’intervento del Legislatore.
A tal proposito, basti ricordare le raccomandazioni del 1995 e del 1998 del Consiglio d’Europa con le quali lo stesso ha sottolineato la necessità di eliminare qualsiasi previsione discriminatoria tra madre e padre realizzando la piena eguaglianza tra le due figure genitoriali in tema di scelta del cognome del nascituro.
In questa materia, gli Stati europei hanno adottato una disciplina conforme alla normativa europea prevedendo la possibilità per i genitori di scegliere quale cognome del figlio tra quello della madre o del padre o di entrambi, come accade in Francia ed in Germania, mentre in Spagna vige la regola del “doppio cognome” ovvero il nascituro porta il primo cognome di entrambi i genitori, e nel Regno Unito, oltre alla possibilità di scegliere tra i cognomi dei due genitori, quest’ultimi possono assegnare al figlio un cognome diverso dai loro.
La proposta di Studiodonne
Con la sentenza in commento, che diventerà definitiva tra tre mesi, l’Italia è obbligata ad adottare riforme legislative o di altra natura volte ad eliminare qualsiasi tipo di discriminazione presente tra le due figure genitoriali per il cognome dei figli.
Per potersi conformare alla disciplina e legislazione europea, lo Studio suggerisce di intervenire ricollegandosi alla disciplina già vigente in Italia per la procedura di cambio cognome, ovvero il DPR DPR 3 NOVEMBRE 2000, N. 396, così come è stato modificato dal D.P.R 24/02/2012.
Il D.P.R citato consente di rivolgersi alla Prefettura per cambiare il cognome prevedendo che: “..Chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta.” *. Questo strumento, che ad oggi permette solo di aggiungere il cognome materno a quello paterno e quindi non è sufficiente a garantire l’eguaglianza tra le due figure genitoriali, potrebbe eliminare qualsiasi tipo di discriminazione se venisse ampliato il suo ambito di applicazione.
Nello specifico, si ritiene che il concetto di “cambiare il cognome” ben si presta a ricomprendere non solo la possibilità per chiunque ne faccia richiesta di modificarlo con un altro diverso da quello del genitore, ma anche l’opportunità di cambiare il cognome paterno con quello della madre.
D’altra parte se solo una mera consuetudine patriarcale ha impedito che potesse essere accolta la richiesta di due genitori ad iscrivere la figlia con il cognome materno, stante l’assenza della norma espressa al riguardo nel nostro ordinamento, ben potrebbe la Prefettura, in virtù del DPR 396/2000 in combinato disposto con quello del 24 febbraio 2012, attribuire alla dizione “cambiamento del cognome” anche la possibilità che all’Anagrafe il nuovo nato possa avere quello della madre in cambiamento di quello paterno.
Riferimenti normativi
· Art. 8 DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE:
1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui
Art. 14 DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE:
Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione
· Art. 89 D.P.R 3 NOVEMBRE 2000, N. 396 – MODIFICAZIONI DEL NOME E COGNOME
