“Avvocato, ho saputo che la mia ex moglie, alla quale verso l’assegno divorzile, vorrebbe anche una parte del mio TFR, ora che sono andato in pensione. Ma è davvero così automatico? Anche se parte di quel TFR l’avevo già destinata ad un fondo pensione prima del divorzio?”
“Una domanda più comune di quanto si potrebbe pensare. Possiamo chiarire grazie alla recentissima sentenza della Cassazione n. 20132 del 18 luglio 2025, che ha tracciato punti fermi sul tema del diritto dell’ex coniuge ad una quota dell’indennità di fine rapporto.”
Il diritto dell’ex coniuge ad una quota del trattamento di fine rapporto trova il proprio asse nell’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970: quando sussistono i requisiti della titolarità dell’assegno divorzile e dello stato libero (non risposato), il coniuge beneficiario può ottenere il 40% dell’indennità relativa agli anni di matrimonio, a patto che l’indennità sia effettivamente corrisposta all’ex coniuge obbligato.
Tradizionalmente, quindi, il diritto è subordinato a due condizioni: il beneficiario non deve essere passato a nuove nozze e deve effettivamente percepire l’assegno divorzile. L’esigibilità, peraltro, sorge solo nel momento in cui il TFR viene liquidato, non già maturato o solo teoricamente dovuto.
I principi affermati dalla Cassazione
La sentenza n. 20132/2025 affronta un caso particolarmente spinoso: l’ex marito aveva destinato l’intero TFR maturato ad un fondo di previdenza complementare prima che iniziasse la causa di divorzio, bloccando di fatto le aspettative della ex moglie sulla relativa quota. La Corte di cassazione ha statuito in modo molto chiaro: “Il conferimento dell’indennità di fine rapporto in un fondo di previdenza complementare, effettuato prima della proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, esclude l’applicazione dell’art. 12-bis legge n. 898/1970, con la conseguenza che l’ex coniuge non può vantare diritti sulla quota del TFR conferita.”
In altri termini, la Cassazione pone come discrimine la tempistica del conferimento. Se il TFR viene destinato a previdenza integrativa prima che parta la causa di divorzio, perde la funzione perequativa prevista dalla norma. È la scelta previdenziale a “blindare” la somma, che non sarà più suscettibile di divisione. La Corte aggiunge anche: “Le eventuali prestazioni di previdenza complementare conseguite per effetto dei conferimenti, possono essere prese in considerazione ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile, ma non sono soggette a divisione come il TFR ordinario.”
Questa posizione tiene conto delle trasformazioni del sistema pensionistico e del valore crescente degli strumenti integrativi, evitando interpretazioni estensive che non tengano conto dell’evoluzione normativa e sociale.

Profili applicativi e operativi
Per chi si trova a gestire queste situazioni — sia dalla parte del beneficiario che del debitore — la sentenza offre indicazioni chiare:
- Il momento del trasferimento del TFR è cruciale: se avvenuto prima dell’avvio della causa di divorzio, il diritto alla quota è escluso.
- Il giudice, tuttavia, dovrà considerare le somme acquisite tramite previdenza complementare come parametro per la revisione dell’assegno divorzile: non divisione diretta, ma incidenza sulla misura dell’assegno.
- Si consolida così una tutela “indiretta”, che interviene sul riequilibrio tra le parti senza tradursi in una quota automatica sul TFR passato alla previdenza.
La prassi consiglia, dunque, attenzione e tempestività: chi teme di veder perdere una quota del proprio TFR può legittimamente estrometterlo dalla disciplina del divorzio conferendolo in strumenti integrativi prima del procedimento, nei limiti della liceità e della trasparenza.
