«Avvocato, dopo tanti anni di matrimonio, mi sono ritrovata senza un lavoro stabile perché ho scelto di occuparmi della famiglia mentre mio marito ha continuato a lavorare e a costruirsi una carriera. Ora che stiamo divorziando, mi chiedo se questa disparità economica, nata da decisioni prese insieme, possa giustificare il riconoscimento dell’assegno divorzile.»
«La sua situazione è tutt’altro che isolata e la giurisprudenza più recente si è espressa con chiarezza proprio su questo punto. Vediamo insieme quali sono i criteri che guidano oggi i tribunali nella valutazione dell’assegno divorzile.»
Qual è la funzione dell’assegno divorzile?
L’assegno divorzile, previsto dall’art. 5 della legge n. 898/1970, ha subito negli anni una profonda evoluzione interpretativa. Non si tratta più di garantire semplicemente il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma di riconoscere e compensare le conseguenze economiche delle scelte condivise dai coniugi durante la vita matrimoniale.
La Corte di Cassazione ha, infatti, ormai chiarito che la funzione dell’assegno non è solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa. Ciò significa che il giudice deve valutare se la disparità economica tra le parti sia il risultato di decisioni comuni, come la scelta di uno dei coniugi di rinunciare a opportunità lavorative per dedicarsi alla famiglia. Proprio in merito a questo la recente ordinanza della Cassazione, Sez. I, 24 giugno 2025, n. 16917, ha ribadito un principio fondamentale: «L’assegno divorzile va riconosciuto quando la rilevante disparità economica tra i coniugi sia riconducibile alle scelte condivise di conduzione della vita familiare, che abbiano inciso sulle opportunità professionali e reddituali di uno dei due, in favore della realizzazione del progetto familiare.» Questa impostazione valorizza il contributo dato dal coniuge che ha sacrificato la propria crescita professionale per il benessere della famiglia, riconoscendo che tali scelte, spesso invisibili, hanno un impatto concreto e duraturo sulle prospettive economiche individuali.
Nella pratica cos’è che succede?
Nella prassi, il giudice deve provare a ricostruire la storia familiare per comprendere se la situazione di squilibrio sia effettivamente frutto di scelte condivise. Alcuni elementi che possono fornire degli indizi sono:
- Durata del matrimonio e delle scelte condivise: più lunga è la convivenza e più marcato è il sacrificio (ad esempio, rinuncia al lavoro per molti anni), maggiore sarà il peso riconosciuto a queste circostanze nella valutazione dell’assegno.
- Contributo alla formazione del patrimonio familiare: il lavoro domestico, la cura dei figli e il supporto al percorso professionale dell’altro coniuge sono elementi che il giudice deve considerare.
- Prova del sacrificio: spetta al coniuge richiedente dimostrare, anche tramite documentazione e testimonianze, che le sue scelte sono state orientate dall’interesse familiare e non da ragioni personali o contingenti.
- Nesso causale: occorre accertare che la disparità economica attuale sia effettivamente conseguenza delle scelte compiute in costanza di matrimonio e non di eventi successivi o di scelte autonome.
L’assegno divorzile, oggi, non è più quindi uno strumento di mera assistenza, ma una forma di riconoscimento e compensazione per chi ha investito energie e risorse nella costruzione del progetto familiare, rinunciando a opportunità personali. La valutazione del giudice deve essere concreta, attenta alla storia della coppia e alle reali dinamiche che hanno portato allo squilibrio.
Non deve essere assolutamente considerato un automatismo: la disparità economica va letta alla luce delle scelte comuni, delle rinunce e dei sacrifici documentati. Solo così l’assegno divorzile può assolvere alla sua funzione di equità e giustizia sostanziale.