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Chi ottiene l’annullamento del matrimonio ha diritto all’assegno divorzile?

«Avvocato, ho ottenuto l’annullamento del mio matrimonio concordatario dalla Sacra Rota. Ora mia moglie chiede l’assegno divorzile. È possibile che io debba ancora mantenerla nonostante il matrimonio sia stato dichiarato nullo?»

«La questione che mi pone è tutt’altro che rara e, negli ultimi tempi, è stata oggetto di importanti chiarimenti da parte dei tribunali. Non sempre la nullità del matrimonio comporta automaticamente la fine di ogni obbligo economico, soprattutto se nel frattempo è intervenuta una sentenza di divorzio definitiva. Proviamo a fare chiarezza insieme.»

Il quadro normativo e le questioni di fondo

Nel nostro ordinamento, il divorzio e la nullità del matrimonio sono due istituti distinti, ciascuno con effetti propri. Il divorzio mette fine agli effetti civili del matrimonio e può dar luogo, tra l’altro, al riconoscimento di un assegno divorzile in favore del coniuge economicamente più debole. La nullità, invece, agisce retroattivamente, come se il matrimonio non fosse mai esistito. Tuttavia, quando la nullità viene riconosciuta dopo che il divorzio è già passato in giudicato, si pone il problema di quale dei due effetti debba prevalere. A riguardo, la pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (sent. n. 1067/2025) ha chiarito che «il riconoscimento della nullità non elimina automaticamente l’obbligo dell’assegno divorzile se la pronuncia di divorzio è già divenuta irrevocabile».

Il caso affrontato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere

Su questo punto, la sentenza n. 1067/2025 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere offre una risposta molto chiara. Nel caso esaminato, la nullità ecclesiastica era stata riconosciuta solo dopo che la sentenza di divorzio era diventata definitiva. Il Tribunale ha stabilito che la nullità non fa venir meno automaticamente il diritto all’assegno divorzile già riconosciuto. In altre parole, il giudicato civile sul divorzio resta fermo e non può essere scardinato da una successiva pronuncia ecclesiastica, anche se questa opera retroattivamente. Il motivo è semplice: una volta che il diritto all’assegno si è consolidato, non sarebbe giusto privare il coniuge economicamente più debole di una tutela già acquisita, soprattutto se ha agito sempre in buona fede.

Questa posizione trova ulteriore conferma anche nella giurisprudenza della Cassazione. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9004/2021, hanno sottolineato che l’assegno divorzile non è legato alla validità formale del matrimonio, ma al concreto squilibrio economico che può essersi creato durante la convivenza. In sostanza, ciò che conta è la realtà della vita vissuta insieme, non la perfezione degli atti formali. Se uno dei due coniugi ha sacrificato opportunità lavorative o ha contribuito in modo determinante alla crescita della famiglia, la legge ritiene giusto riconoscere una tutela economica, anche se il matrimonio viene poi dichiarato nullo.

La centralità del concetto di buona fede

Naturalmente, non mancano le eccezioni. Se il coniuge che chiede l’assegno ha agito in mala fede, ad esempio nascondendo la causa di nullità, il diritto all’assegno viene meno. Inoltre, se la nullità viene riconosciuta prima del divorzio e non si dimostra un reale squilibrio economico, l’assegno può essere negato. Un altro aspetto importante riguarda la durata della convivenza: l’assegno dovrà essere commisurato non tanto alla durata formale del matrimonio, quanto a quella effettiva della vita comune.

La tendenza più recente della giurisprudenza sembra, dunque, andare oltre il formalismo, guardando con maggiore attenzione alla sostanza delle relazioni familiari. L’assegno divorzile non è una sorta di premio per il matrimonio, ma uno strumento di tutela per chi, in buona fede, ha costruito un percorso di vita insieme e si trova in una posizione di debolezza economica al termine di quella esperienza.

In sostanza, ottenere l’annullamento del matrimonio non significa, di per sé, essere esonerati da ogni obbligo economico verso l’ex coniuge. La protezione della parte più debole e la buona fede restano i criteri guida, anche quando il matrimonio viene meno non solo di fatto, ma anche sul piano giuridico.

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