«Avvocato, sono preoccupato per la casa in cui viviamo. Dopo la separazione, temo che il giudice possa assegnarla a mia moglie solo perché ha un reddito inferiore al mio, anche se i nostri figli sono ormai grandi. Conta di più la situazione economica o l’interesse dei figli?»
«È una domanda molto frequente e centrale nelle vicende di separazione. La legge e la giurisprudenza pongono al centro l’interesse dei figli, ma è importante comprendere come e quando le condizioni economiche dei genitori possano incidere nella decisione del giudice. Analizziamo insieme i principi applicabili e i più recenti orientamenti giurisprudenziali.»

Il quadro normativo: la centralità dell’interesse della prole
L’assegnazione della casa familiare, disciplinata dall’art. 337-sexies c.c., è orientata in modo prioritario alla tutela dell’interesse dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti. La norma è decisamente chiara nell’indicare che il godimento della casa è attribuito tenendo prioritariamente conto delle esigenze della prole, con l’obiettivo di garantire la continuità dell’habitat domestico e delle relazioni affettive che vi si sono sviluppate.
Questo principio è stato più volte ribadito dalla Cassazione, la quale ha affermato che “l’assegnazione della casa coniugale non rappresenta una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio, né un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole, ma è espressamente condizionata soltanto all’interesse dei figli” (Cass. n. 18603/2021).
L’orientamento giurisprudenziale: deve prevalere l’interesse dei figli
La giurisprudenza più recente si è espressa in modo netto sul punto, escludendo che lo squilibrio economico tra i genitori possa costituire di per sé motivo per l’assegnazione della casa familiare. In particolare, la Cassazione ha precisato che “la casa familiare può essere assegnata solo in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti e solo se ciò risponde alle loro concrete esigenze” (Cass. n. 13138/2025). In assenza di figli conviventi che necessitino di tutela, la casa non può essere assegnata al genitore economicamente più debole solo per riequilibrare le condizioni patrimoniali tra le parti.
Il ruolo delle condizioni economiche: un profilo secondario
Sebbene la situazione patrimoniale dei genitori non sia irrilevante, essa assume rilievo solo in via indiretta. Infatti, una volta accertata la sussistenza dei presupposti per l’assegnazione della casa familiare in favore del genitore collocatario, il giudice tiene conto di tale assegnazione nella determinazione dell’assegno di mantenimento o di eventuali altre obbligazioni economiche fra le parti. In altre parole, il riequilibrio patrimoniale tra i coniugi viene perseguito attraverso strumenti diversi, ma non può mai costituire il fondamento per l’assegnazione della casa stessa.
E nella pratica? Cosa succede?
Nella prassi, non sono rari i casi in cui uno dei coniugi, trovandosi in condizioni economiche svantaggiate, chieda l’assegnazione della casa familiare anche in assenza di figli minori o non autosufficienti. Tuttavia, sia la legge che i tribunali sono concordi nel negare tale possibilità, proprio per evitare che l’istituto venga snaturato e trasformato in uno strumento di compensazione patrimoniale. L’assegnazione della casa familiare, infatti, ha una funzione esclusivamente protettiva nei confronti della prole e non può essere utilizzata per riequilibrare le condizioni economiche dei genitori.
È importante, quindi, che i genitori comprendano che la tutela dell’interesse dei figli rappresenta il criterio guida per il giudice, mentre le questioni patrimoniali saranno affrontate separatamente, attraverso la regolazione dell’assegno di mantenimento o altri strumenti previsti dall’ordinamento.
La disciplina dell’assegnazione della casa familiare, così come interpretata dalla giurisprudenza, impone agli operatori del diritto e alle parti coinvolte una profonda riflessione sulla natura stessa della crisi familiare. Il giudice, chiamato a decidere, non può limitarsi a un calcolo aritmetico di patrimoni o a una valutazione astratta delle condizioni economiche, ma deve interrogarsi sulla funzione sociale e affettiva che l’abitazione rappresenta per i figli.
In questo senso, l’assegnazione della casa familiare diventa il simbolo di una tutela che guarda oltre il diritto di proprietà e si radica nella necessità di garantire ai minori una continuità di vita e di relazioni. È una scelta che, pur lasciando sullo sfondo le legittime aspettative economiche dei genitori, afferma la centralità della dimensione relazionale e della responsabilità genitoriale.
Per gli avvocati, ciò significa non solo fornire consulenza tecnica, ma anche accompagnare i clienti in un percorso di consapevolezza: la casa familiare, nella crisi della coppia, non è più (o non è soltanto) un bene materiale, ma un luogo di memoria, di crescita e di identità per i figli. In questa prospettiva, la vera sfida è aiutare le parti a superare la logica del “chi vince e chi perde”, favorendo soluzioni che, pur nella complessità della vicenda patrimoniale, sappiano restituire dignità e centralità ai legami familiari.
