Dimettersi dal lavoro e dunque rimanere disoccupati non sempre dà diritto all’assegno divorzile.
La Corte di Cassazione con la recentissima ordinanza depositata lo scorso 7 febbraio 2018 n. 3015 del 2018, ha stabilito che l’ex coniuge che si dimette dal lavoro, optando per una scelta di vita del tutto personale, non può pretendere la maggiorazione dell’assegno divorzile.
IL CASO
Una donna “senza costrizioni, né problematiche fisiche o logistiche” lasciava la carriera da avvocato e successivamente anche il posto part-time, e, chiedeva, tra le altre cose, ai giudici di aumentare il suo assegno divorzile da euro 800,00 ad euro 3.800,00, per conservare il suo tenore di vita matrimoniale.
Tuttavia la signora, poteva contare su introiti fissi derivanti dalla locazione di un appartamento di proprietà, pertanto, in parte, manteneva la sua indipendenza economica.
La richiesta della signora di incrementare l’assegno, che l’ex marito le corrispondeva dopo la fine del matrimonio durato sei anni e preceduto dalla nascita di un figlio, ormai maggiorenne e convivente con il padre, veniva respinta sia dal Tribunale che dalla Corte D’Appello di Roma nel 2015.
In seguito anche la Cassazione, confermava la decisione emessa dalla Corte di Appello di Roma.
L’ordinanza n. 3015/2018 della Corte di Cassazione affermava che “la conservazione del tenore di vita matrimoniale non costituisce più un parametro di riferimento utilizzabile e a giustificare l’attribuzione dell’assegno – spiega la Sesta sezione civile – non è quindi di per sé lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all’epoca del divorzio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l’assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, ma la mancanza della indipendenza o autosufficienza economica di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa“.
La soglia dell’indipendenza economica, spigano i giudici, viene valutata riguardo alle indicazioni provenienti” dalla “coscienza collettiva” nel dato “momento storico”, senza fissarla “alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità“.
I Giudici, quindi, devono fare le loro scelte valutative, al passo con i tempi, “in un ambito necessariamente duttile, ma non arbitrariamente dilatabile“.
Oramai non basta sostenere di aver sacrificato la carriera per la famiglia: bisogna dimostrare quale contributo si è dato, con questa scelta, alla formazione del patrimonio “familiare” e “comune”.
Ebbene, la ex moglie che, per libera scelta, ha deciso di lasciare la sua professione per un impiego part-time, dimettendosi in seguito anche da questo, non può ottenere l’incremento dell’assegno di divorzio dall’ex marito.
Difatti, in base all’orientamento suggerito della Suprema Corte con la ordinanza ‘Grilli’ l’assegno divorzile non è più parametrato al tenore di vita matrimoniale, bensì scatta solo se l’ex non è economicamente indipendente.
Per questi motivi i Giudici della Suprema Corte hanno respinto le pretese della signora, confermandole l’assegno da 800 euro, anche, perché l’ex marito non ha chiesto di eliminarlo né di diminuirlo.
Lo Studio Missaggia fornisce un servizio di consulenza legale online al cliente che intende informarsi sulle vicende relative al diritto di famiglia.