A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia e della Dottoressa Vanessa Bellucci.
Come noto, in Italia la pratica della maternità surrogata è vietata dalla legge 40/2004.
L’art. 12 identifica tale pratica come un reato punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino ad 1 milione di euro.
Per tale ragione, numerose sono le coppie che, non potendo avere figli, si recano in Paesi esteri ove tale pratica è consentita.
Tuttavia, una volta rientrati in Italia, se l’ufficiale di stato civile scopre che il bambino è nato all’estero a seguito di maternità surrogata, i genitori non potranno ottenerne il riconoscimento e rischieranno, come detto, di essere puniti con pesanti sanzioni; in più, se nessuno dei due è genitore biologico, e l’autorità italiana scopre l’inganno, il minore rischia di essere dichiarato in stato di adottabilità. Se invece il bambino è figlio di almeno uno dei due, allora solo questo sarà riconosciuto come genitore, mentre l’altro potrà chiedere l’adozione del figlio del coniuge (cd. Stepchild adoption).
E se a ricorrere alla maternità surrogata fosse una coppia gay?
E’ proprio questo il caso che ha fatto tanto scalpore in questi ultimi giorni, affrontato dalla Corte d’Appello di Trento.
In linea teorica, infatti, se una coppia omosessuale si presenta all’ufficiale di stato civile per il riconoscimento del figlio di uno dei due, risulterà evidente che soltanto uno potrà essere genitore biologico e dunque solo quest’ultimo potrà ottenerne il riconoscimento; per l’altro, secondo la legge italiana ed in considerazione della mancata approvazione della stepchild adoption per le coppie non eterosessuali, non c’è speranza. O forse è meglio dire non c’era!
L’ordinanza della Corte d’Appello di Trento, del 23 febbraio 2017, in riferimento ad una coppia di uomini che aveva avuto due gemelli ricorrendo alla pratica della maternità surrogata negli U.S.A., ha statuito un principio molto importante per l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in corso in questi ultimi anni.
La Corte territoriale ha stabilito l’assoluta irrilevanza delle tecniche cui si sia fatto ricorso all’estero, rispetto al diritto del minore al riconoscimento dello status filiationis nei confronti di entrambi i genitori che lo hanno voluto al mondo, nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa.
Il procuratore generale ed il ministero dell’Interno avevano espresso la loro contrarietà all’accoglimento della domanda rilevando:
a) la vigenza della legge Cirinnà che non consente un’interpretazione in senso favorevole della questione;
b) che il secondo padre dei minori, non avendo alcun legame biologico con gli stessi, non poteva vantare alcuna pretesa al riconoscimento.
Il Giudice investito della questione, ha superato le obiezioni suddette ritenendo che la vera questione da sciogliere fosse l’efficacia del provvedimento del giudice straniero (che ha accertato l’esistenza di una relazione di genitorialità tra i due gemelli ed il padre non biologico), all’interno dell’ordinamento italiano.
Il Giudice trentino ha deciso di riconoscere validità al certificato di nascita di uno stato estero recante l’indicazione di due genitori dello stesso sesso. La motivazione risiede nel principio della tutela del superiore interesse del minore e nel significato di responsabilità genitoriale. La Corte d’Appello asserisce che non vi è tutela nel negare a due gemelli il diritto alla bigenitorialità riconosciuto ad ogni figlio; prosegue ritenendo che nel nostro ordinamento non vi è alcun modello di genitorialità fondata esclusivamente sul legame biologico genitore/figlio, mentre ben più importante è il concetto normativo di responsabilità genitoriale che si manifesta nella espressa volontà di far nascere, allevare ed accudire i figli.
La Corte di merito ha dunque aperto la strada ad un’interpretazione favorevole al concetto di famiglia in cui vi siano figli, indipendentemente dal legame genetico con i genitori, guardando con favore anche all’interpretazione analogica dell’istituto della c.d stepchild adoption (ovvero all’adozione del figlio del partner).
Riguardo quest’ultimo punto, merita menzione anche l’operato svolto dalla Dr.ssa Melita Cavallo, già Presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma, che da sempre si batte per il diritto delle coppie gay all’adozione dei minori. La Dr.ssa Cavallo partendo dalla legge 184 del 1983 (art 44 lett. d), riguardante le adozioni in casi particolari, ha deciso di estendere analogicamente tale norma alle coppie non eterosessuali, per tutelare al meglio il supremo interesse dei minori.