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Sindrome di alienazione parentale e falsi abusi su minori

IL FATTO

Con sentenza del 17 gennaio 2008 la Corte di Appello di Catania confermava la condanna alla pena di 3 anni di reclusione inflitta in primo grado al sig. X per fatti di violenza sessuale in danno della figlia minore; avverso tale decisione X proponeva ricorso in Cassazione sostenendo la insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in contrasto con le risultanze processuali.

Sosteneva il ricorrente che le affermazioni della minore, di anni 7, erano la conseguenza delle sofferenze subite in seguito alla separazione dei genitori, ma soprattutto erano causate dall’atteggiamento di alienazione e di ostilità posto in atto dalla madre.

Le doglianze del ricorrente si basavano sostanzialmente sulla discordanza tra la decisione della Corte di Appello e le conclusioni delle consulenze disposte dal pubblico ministero e dalla parte offesa, le quali convergevano nell’escludere che i disegni della bambina fossero indicativi di un trauma di abuso e che vi fosse segno della violenza subita, rimarcando al contrario il profondo coinvolgimento della bambina nelle vicende di separazione, con chiaro atteggiamento di rigidità e assenso di emotività.

Secondo il ricorrente i giudici di secondo grado avrebbero disatteso il costante monito giurisprudenziale in merito al rischio che il minore non distingua il vissuto dall’immaginato, finendo con l’adottare comportamenti ripetitivi e compiacenti nei confronti del genitore alienante.

Dopo aver premesso alcune osservazioni in merito al giudizio di legittimità, rilevando come questo sia diretto a verificare la correttezza e la logicità della motivazione in relazione agli elementi probatori e non a “sovrapporre” una nuova valutazione in merito all’affidabilità delle fonti di prova, la Cassazione riscontrava nella sentenza impugnata vizio di motivazione e pertanto ne pronunciava l’annullamento con rinvio.

LE MOTIVAZIONI

La Suprema Corte ha rilevato come “il raffronto tra le ragioni del ricorrente ed i contenuti della sentenza censurata facciano effettivamente emergere un punto sul quale l’argomentare dei giudici di merito sembra ripiegarsi su se stesso risolvendosi in una mera affermazione di principio autonoma e non consequenziale al ragionamento pregresso o a precisi principi psicologici”.

In particolare, la responsabilità dell’imputato in primo grado era stata fondata sui seguenti elementi:

  • attendibilità della minore;
  • ripetute indagini psicologiche;
  • assenza di contraddittorietà negli esiti delle consulenze, che da un lato escludevano l’influenzabilità della minore da parte della madre e dall’altro che il padre fosse un pedofilo;
  • l’età della bambina (sette anni) che rendeva inverosimile l’ipotesi che la minore avesse in realtà riportato cose viste fare da altri in videocassetta trasformandole in abusi sessuali personalmente subiti.

La Cassazione ha tuttavia ritenuto che tali elementi non fossero tali da fugare ogni dubbio, in particolare con riferimento alla circostanza che lo stesso consulente del Pubblico Ministero aveva segnalato che la bambina manifestava un coinvolgimento emotivo maggiore con riferimento alle violenze poste in essere dal padre nei confronti della madre, ed un coinvolgimento quasi nullo in ordine agli atti sessuali asseritamene subiti in prima persona; inoltre la bambina non mostrava i segni di un trauma dovuto a molestie sessuali.

La Cassazione ha affermato che la conclusione del giudice di seconde cure “si risolve in un’affermazione sostanzialmente apodittica che non dà conto delle emergenze fin li attentamente analizzate e riportate e, soprattutto, fa un’asserzione circa la conformità dell’atteggiamento della bimba rispetto alla psicologia infantile, non adeguatamente confortata da pareri tecnici (…) la conclusione dei giudici non si sostanzia in un argomento logico inattaccabile ma lascia spazio a perplessità restando fermi dati incontrastati (e puntualmente richiamati anche dalla sentenza) quali l’assenza i segni riconducibili ad un evento traumatico i il fatto che i racconti della bambina fossero espressivi di un disagio da essa elaborato, più per i ripetuti litigi dei genitori e per l’abbandono del padre, che non per gli abusi sessuali (da lei descritti quasi incidentalmente a margine del racconto degli atti di violenza sulla madre)”.

La Suprema Corte ha premura di non mettere in discussione la buona fede della madre e dei parenti materni della piccola vittima, e tuttavia paventa l’ipotesi che la “solidarietà”chiaramente espressa dalla bambina nei confronti della madre avrebbe richiesto una motivazione più attenta e articolata, anche alla luce dell’esperienza (richiamata da costante giurisprudenza) per la quale i bambini diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni etero-indotte e che, se interrogati con domande inducenti, tendono a conformarsi alle aspettative dell’interlocutore.

Il difetto di motivazione, in altre parole, discende dal fatto che la Corte di Appello:

  • ha dato per scontato che le affermazioni della minore nascessero da episodi realmente vissuti, senza valutare ipotesi alternative di apprendimento di quelle nozioni e situazioni presuntivamente escluse nel bagaglio di esperienza di una bambina di sette anni; in particolare, non era stata neppure presa in considerazione l’ipotesi che la bambina avesse visionato videocassette a contenuto pornografico, pur essendone accertata la presenza in casa e la capacità della minore di usare il videoregistratore;
  • ha trascurato le potenziali interferenze della forte conflittualità familiare e la possibile alienazione genitoriale in atto.

OSSERVAZIONI

La principale manifestazione della sindrome di alienazione parentale è la campagna di denigrazione da parte del figlio nei confronti del genitore non affidatario a seguito dell’indottrinamento da parte dell’altro genitore; la SAP viene considerata una violenza emotiva, un abuso psicologico sul minore, perché la sistematica campagna di denigrazione può indurre alla rottura permanente dei rapporti con il genitore alienato nonché comportare sul minore gravi ripercussioni psicologiche.

La sentenza della Corte di Cassazione in commento solleva ancora una volta dubbi e perplessità in merito ad un tema di estrema delicatezza, quale quello dei presunti abusi su minori che in realtà consistono in manifestazioni della sindrome di alienazione parentale.

L’insidiosità del problema dei rapporti tra alienazione genitoriale ed abusi sessuali è duplice: da un lato, si corre il rischio di “liquidare” reali abusi sessuali quali manifestazioni fantasiose di un bambino alienato; dall’altro, si corre l’altrettanto grave rischio di marchiare e punire con l’accusa più grave e infamante per un genitore comportamenti frutto di fantasie e invenzioni raccontate solo per compiacere il genitore alienante.

Gli psicologi sostengono che è possibile comprendere quando un minore è stato realmente vittima di abuso sessuale e quando invece è vittima di alienazione parentale: il minore alienato dipende dal genitore alienante, lo asseconda, lo compiace; il minore sessualmente abusato il più delle volte è dipendente dal genitore abusante, a causa del “segreto” che li unisce; è assente la campagna di denigrazione, non c’è rapporto di dipendenza affettiva dall’altro genitore.

Nel bambino con sindrome di alienazione genitoriale si presenta quello che viene definito “fenomeno del pensatore indipendente”, per cui il bambino (soprattutto se in età pre-adolescenziale) afferma di aver elaborato da solo la campagna di denigrazione, senza influenza dell’altro genitore.

Nella sindrome di alienazione genitoriale è presente una chiara presa di posizione a favore del genitore affidatario, ed è assente per contro qualsiasi senso di colpa nel minore; il bambino abusato invece il più delle volte si sente colpevole, e mostra un atteggiamento ostile nei confronti del genitore affidatario, che non ha saputo proteggerlo.

Pur tenendo presenti le conclusioni raggiunte dagli psicologi, occorre evitare pericolose generalizzazioni: i giudici e gli operatori del settore sono chiamati a vagliare attentamente caso per caso le ipotesi di denunciati abusi su minori, tenendo conto delle circostanze concrete, al fine di verificare se di reale abuso si tratti ovvero di gravi conseguenze di un’alienazione parentale in atto.

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