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Punto di partenza per separazione con addebito:
si parla di separazione con addebito – o anche di separazione per colpa – quando è possibile imputare la fine del matrimonio ad uno dei due coniugi.
L’addebito non viene dichiarato d’ufficio dal giudice della separazione, ma deve essere richiesto da uno dei due coniugi al fine di far valere la responsabilità dell’altro coniuge per la fine del matrimonio.
L’addebito consiste esattamente nell’affermazione che la fine dell’unione coniugale è stata causata da uno dei coniugi con un comportamento che ha reso intollerabile la prosecuzione della convivenza coniugale.
Il comportamento che determina il sorgere della responsabilità deve consistere nella violazione di uno o più doveri coniugali (di fedeltà, di coabitazione, di collaborazione nell’interesse della famiglia, e via dicendo, che saranno analizzati in maniera più dettagliata nel proseguo della trattazione).
L’addebito non può essere chiesto né dichiarato in un accordo di separazione consensuale, neppure nell’ambito della separazione mediante negoziazione assistita o dinnanzi al sindaco.
Questo perché una responsabilità può essere accertata da un giudice ma non stabilita di comune accordo tra marito e moglie.
L’addebito richiede necessariamente una separazione giudiziale.
Dunque, l’addebito si ha quando il giudice della separazione accerta che uno dei coniugi ha violato uno o più doveri coniugali, causando una situazione di impossibilità a continuare la vita in comune.
Attenzione, però. Non basterà dimostrare che il coniuge a carico del quale si chiede la pronuncia ha violato uno degli obblighi derivanti dal matrimonio, ma occorrerà altresì dare la prova che quel comportamento ha determinato la fine del rapporto.
Chiaramente, spetta all’avvocato raccogliere in modo attento e scrupoloso tutti gli elementi e i mezzi di prova per dimostrare quanto sopra.
Chi vuole presentare domanda di separazione coniugale deve rivolgersi, nell’ordine, ad uno di questi tribunali:
Durante il procedimento è obbligatoria la partecipazione di un pubblico ministero, il quale avrà la competenza di presentare delle nuove prove, fare delle richieste o impugnare una sentenza quando lo ritenga opportuno.
Partiamo con il dire che la domanda di separazione con addebito si propone con ricorso.
Detto ricorso deve contenere :
Il Presidente del Tribunale accoglie il ricorso e, nei cinque giorni successivi al deposito dello stesso, fissa con decreto:
1) la data (entro novanta giorni dal deposito del ricorso) dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé;
2) il termine per la notificazione del ricorso a cura del coniuge che l’ha promosso e del decreto al coniuge convenuto;
3) il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare la memoria difensiva e i documenti.
L’udienza di comparizione si svolge davanti al Presidente del Tribunale e devono presenziare entrambi i coniugi con l’assistenza dei rispettivi legali.
In questa udienza possono verificarsi due situazioni:
Se compaiono entrambi i coniugi il Presidente tenterà la conciliazione tra le parti e se si riconciliano viene redatto processo verbale e la causa si estingue, ma se la conciliazione non riesce, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a quest’ultimo.
A questa udienza il Presidente emette con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti che reputa opportuni
L’ordinanza è immediatamente esecutiva (cioè costituisce un titolo per attivare l’esecuzione forzata, ossia un procedimento per la soddisfazione dei diritti del coniuge), modificabile e revocabile in ogni momento con successiva ordinanza del giudice istruttore, appellabile con reclamo presso la Corte d’Appello entro 10 giorni.
La fase successiva, ovvero quella davanti al Giudice Istruttore è molto simile ad un processo ordinario con la differenza che il giudice può assumere d’ufficio nuove prove relative alla prole.
Nel caso in cui, oltre all’istanza di separazione, ci siano altre questioni da trattare (divisione del patrimonio ecc.) il giudice può emettere una sentenza non definitiva di separazione con la quale sentenzia immediatamente la separazione e fa proseguire la causa solo per risolvere le residue questioni.
Il giudizio si conclude con una sentenza di separazione emessa dal Tribunale che può essere impugnata come una sentenza ordinaria (ossia può essere richiesta una rivisitazione della sentenza ad altro giudice).
Il Tribunale emette sentenza relativa alla separazione, che può essere anche non definitiva nel caso in cui il processo debba continuare per la definizione delle questioni economiche e di quelle relative alla richiesta di addebito e all’affidamento dei figli.
Per ottenere l’addebito occorre provare sia il comportamento negativo, sia la derivazione da esso di una crisi coniugale irreversibile.
La regola generale, in tema separazione con addebito, si basa sul nesso di causalità tra la trasgressione ai doveri matrimoniali incombenti sui coniugi e la rottura del loro rapporto.
Ciò significa che, affinché il giudice possa pronunciare la separazione con addebito, non basta la sola violazione dei doveri enunciati dall’art. 143 cod. civ., ma occorre anche accertare se tale violazione abbia avuto efficacia causale nel determinare la crisi coniugale e quindi che sia la causa del venir meno dell’affectio coniugalis tra i coniugi, senza il verificarsi della quale la loro vita matrimoniale sarebbe proseguita serenamente.
Difatti, a parere dei giudici di piazza Cavour, con la sentenza del 29 Gennaio 2014 n. 1893., la separazione è addebitabile al coniuge che abbia posto in essere un comportamento lesivo dei doveri matrimoniali, qualora venga provata la sussistenza di un nesso di causalità tra tale comportamento e la rottura del rapporto matrimoniale, caratterizzato da una vita serena ed agiata, fino al verificarsi di tale episodio.
La dichiarazione di addebito comporta, quindi, l’imputabilità al coniuge, trasgressore ai doveri matrimoniali, di aver posto in essere volontariamente e consapevolmente un comportamento contrario a tali doveri, determinando la crisi del rapporto coniugale.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 151 c.c., il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio.
Può esserci addebito della separazione per tradimento, quando questo (ovvero il tradimento) abbia causato la separazione.
È da escludere l’addebito quando il tradimento sia intervenuto successivamente alla crisi coniugale.
Ed invero, gli Ermellini, con la sentenza del 19 Luglio 2013, Sent. n. 17741, ribadiscono il principio secondo il quale: “l’infedeltà di un coniuge può essere rilevante al fine dell’addebitabilità della separazione solo quando sia stata la causa della frattura del rapporto coniugale e non quando risulti che essa non abbia avuto incidenza negativa sull’unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza tra i coniugi, come quando si accerti una rottura tra i coniugi già esistente prima del tradimento, e quindi, una situazione autonoma ed indipendente dalla successiva violazione al dovere di fedeltà tra i coniugi”.
Altra causa che giustifica l’addebito è l’allontanamento del coniuge dalla casa familiare.
È richiesta la prova specifica che la trasgressione e dunque l’allontanamento ovvero la dimostrazione che sia stata la causa o quantomeno la concausa della rottura del rapporto tra i coniugi, non bastando la mera violazione dell’obbligo a coabitare, essendo invece necessario che la crisi matrimoniale sia dovuta esclusivamente all’allontanamento dalla casa familiare, dimostrando che prima di tale momento i rapporti tra i coniugi proseguivano in maniera normale.
I giudici di piazza Cavour con la sentenza del 13 Dicembre 2013, Sent. n. 27923 hanno chiarito che il volontario abbandono della casa coniugale è causa di addebito, in quanto conduce all’impossibilità della convivenza, tranne nel caso in cui si dimostri che l’abbandono è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge ovvero quando l’abbandono è dipeso da una crisi matrimoniale già intervenuta e quindi in conseguenza di tale fatto.
L’assistenza morale e materiale è uno dei doveri incombenti sui coniugi a seguito del matrimonio, la cui violazione può dar vita ad una pronuncia di separazione con addebito.
L’obbligo di assistenza morale e materiale consiste nell’impegno dei coniugi a rispettarsi, a sostenersi reciprocamente e a comprendersi nella vita quotidiana.
Si configura la violazione di tale obbligo nel caso di:
Queste appena menzionate sono alcune della possibili cause, laddove sussista una stretta relazione con la fine del matrimonio.
L’ex lavora? Nella separazione sì all’assegno di mantenimento.
L’addebito non ha alcuna ripercussione per quanto riguarda l’affidamento dei figli.
A riguardo, la Cassazione con la sentenza n. 17089 del 2013 ha chiarito che “la condotta contraria ai doveri matrimoniali da parte di uno dei coniugi, a cui è addebitata la separazione, non contrasta con il collocamento del figlio presso lo stesso, dal momento che la violazione ai doveri nascenti dal matrimonio non si traduce necessariamente anche in un pregiudizio per l’interesse del figlio, non nuocendo al suo sviluppo né compromettendo il rapporto con il genitore medesimo” .
Il coniuge cui è stata addebitata la separazione perde il diritto a ricevere un eventuale assegno di mantenimento conservando però il diritto agli alimenti sussistendone i presupposti.
Questo significa che il coniuge a cui sia stata addebitata la colpa della separazione potrà percepire somme di denaro (alimenti) soltanto nel caso in cui si trovi in una situazione di bisogno.
È bene precisare come assegno di mantenimento e alimenti assolvono due finalità diverse, ovvero il primo vuole garantire all’altro coniuge un determinato tenore di vita, l’altro assolve alla funzione di garantire assistenza al coniuge che non riesce a soddisfare i bisogni primari.
Il coniuge separato con addebito perde i diritti di successione inerenti allo stato coniugale, conservando solo il diritto a un assegno vitalizio, laddove, all’apertura della successione, godesse già dell’assegno alimentare a carico di quest’ultimo.
La pronuncia della separazione con addebito non esclude la possibilità di chiedere anche il risarcimento dei danni patiti, in conseguenza del comportamento contrario a doveri nascenti dal matrimonio.
Quando la colpa del coniuge è così grave da avere leso l’onore e la reputazione del partner, oppure da avergli cagionato un vero pregiudizio, ad esempio, psicologico, è possibile ottenere, oltre all’addebito, anche il contemporaneo riconoscimento del risarcimento dei danni.
Ad avviso dei giudici di Piazza Cavour, i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione esclusivamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, come l’addebito della separazione.
La chiara violazione di questi obblighi, se cagiona la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può avere gli estremi dell’illecito civile e dare luogo a un’azione autonoma rivolta al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 cod. civ. (Cass. Civ., 15 Settembre 2011, Sent. n. 18853).
Ciò in quanto i comportamenti contrari ai doveri matrimoniali ledono la dignità e la personalità dell’altro coniuge, considerati quali diritti inviolabili, producendo in tal modo un danno ingiusto e come tale risarcibile in base ai principi della responsabilità civile.
Non si può dare un esempio preciso di quali sono i costi che vengono addebitati al coniuge responsabile della separazione, giova evidenziare che dovrà farsi carico di alcuni importanti costi:
La sentenza di addebito di separazione non comporta automaticamente anche il risarcimento dei danni all’altro coniuge incolpevole. Tuttavia, se quest’ultimo ha subìto danni biologici, esistenziali o morali, può intentare una nuova causa a parte affinché gli sia riconosciuto il risarcimento dei danni subiti. Per ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla parte lesa non è sufficiente la sola violazione dei doveri matrimoniali. Per integrare una responsabilità risarcitoria e definire in particolar modo i danni non patrimoniali devono sussistere una serie di presupposti che elenchiamo di seguito:
La Cassazione in particolare afferma:
“Nel caso specifico di infedeltà bisogna dimostrare che questa abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge oppure a comportamenti che, oltrepassando i limiti dell’offesa di per sé insita nella violazione dell’obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto”.
Inoltre va precisato che è possibile ottenere il risarcimento anche se i coniugi siano giunti ad una separazione consensuale e che si può portare avanti l’azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio anche in mancanza di addebito della separazione.
Alla parte a cui sarà addebitata la separazione spetterà il pagamento delle spese processuali.
Le prove raccolte in violazione della privacy
In sede penale una prova assunta illegittimamente (cioè in violazione di una norma di legge o di un diritto fondamentale) non è ammissibile; in sede civile: la valutazione circa l’utilizzabilità della prova assunta in maniera illecita è rimessa alla discrezionalità del Giudice.
In ambito penale, la visione da parte di un coniuge della corrispondenza diretta esclusivamente all’altro, senza il suo consenso espresso o tacito, configura il reato di sottrazione di corrispondenza (art. 616 comma 1 cod. pen.).
Lo stesso principio vale per i messaggi di posta elettronica, scambiati tramite e-mail, Messenger, Skype o Facebook, e per gli sms, che sono veri e propri mezzi di corrispondenza: la violazione della riservatezza che copre questo genere di comunicazioni private integra il reato di accesso abusivo a sistema informatico (art. 615 ter cod. pen.).
Con riguardo a Facebook, tuttavia, la Corte di Cassazione penale ha chiarito che i “post”, le condivisioni e le foto pubblicate non sono coperte dal diritto alla riservatezza perché costituiscono informazioni rese volontariamente pubbliche ed accessibili a tutti (se il profilo è pubblico) o quanto meno ad un certo gruppo di conoscenti (se il profilo è impostato con alcune restrizioni).
Accade spesso nelle cause di separazione allegare documenti attestanti l’infedeltà,
orbene, secondo una sentenza del Tribunale di Roma quando si tratta di marito e moglie, la privacy subisce un affievolimento proprio per via del fatto che la coppia coabita sotto lo stesso tetto ed è naturale che gli oggetti, come lo smartphone, siano esposti alla possibile condivisione, apertura o lettura, nonostante non sia stata espressamente autorizzata (sent. n. 6432/2016).
Occorre comunque fare molta attenzione e ricordare che esistono diversi mezzi a disposizione delle parti per contestare le pretese avversarie o per provare una determinata circostanza, ad esempio: l’ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ. e il sequestro ex art. 669 bis e seguenti cod. proc. civ., e che il ricorso a mezzi che violano i diritti altrui è da considerarsi rimedio estremo da utilizzare con cautela.
La Corte di Cassazione con la sentenza numero 7464 del 15 marzo 2019 ha ribadito che “al coniuge separato, che non riceve assegno di mantenimento, spetta la pensione di reversibilità dell’ex coniuge”.
Quanto ribadito con questa ultima sentenza della Cassazione, era un principio già espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 1975.
Appare evidente come entrambe le sentenze stiano li a ribadire l’irrilevanza che il coniuge separato non percepisca l’assegno di mantenimento perchè in ogni caso l’INPS è tenuta ad accogliere la domanda di pensione di reversibilità presentata. Nella sentenza della Corte di Cassazione si elimina, quindi, la norma che esclude dal diritto della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa o con addebito, che in ogni caso viene equiparato sotto ogni aspetto al coniuge superstite.
In definitiva, la pensione di reversibilità è riconosciuta:
Caso diverso, invece, quello del coniuge divorziato senza diritto all’assegno di mantenimento: in quel caso, infatti, il diritto alla pensione di reversibilità non sussiste.
Il termine per vedere nero su bianco la parola fine è un anno.
Detto termine inizia a decorrere dalla prima udienza davanti al presidente del Tribunale.
Il termine di un anno è richiesto con la separazione giudiziale.
Occorre ribadire che, con la separazione consensuale, il termine per richiedere il divorzio è di 6 mesi.