“Buongiorno Avvocato, mi sto separando da mio marito, abbiamo due bambini piccoli. Lui ha sempre pagato il mutuo cointestato della nostra casa, adesso rivuole indietro la mia quota parte per un totale di oltre 10.000,00 € può farlo? Lui si occupava del mutuo e io di molte altre cose, questa era la nostra normalità. La ringrazio.”
La domanda della nostra cliente ci dà l’occasione per analizzare un principio ribadito dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 5385/2023.
In quel caso il marito si rivolgeva al Tribunale per chiedere alla moglie la restituzione della metà delle rate del mutuo cointestato, che era stato acceso per l’acquisto della casa familiare, e che sino a quel momento era stato pagato interamente da lui.
La Cassazione ha avuto il modo di analizzare nuovamente il contenuto dell’art. 143 c.c. che indica i diritti e i doveri dei coniugi ed in particolare l’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia.
I coniugi infatti sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro professionale e casalingo a contribuire ai bisogni della famiglia.
Il coniuge economicamente più forte può pertanto contribuire in maniera maggiore al pagamento delle spese della famiglia come, ad esempio, pagare in via esclusiva le vacanze o le rette scolastiche o universitarie come d’altronde il coniuge economicamente più debole può sostenere delle piccole spese per la ristrutturazione della casa messa a disposizione dall’altro o comunque provvedere in via esclusiva a spese di minor importo o ancora occuparsi in via maggiore della gestione del ménage familiare.
Dobbiamo però evidenziare come in altre decisioni (Cass. n. 18632/2015) il giudice abbia ritenuto che gli ingenti soldi spesi da un coniuge per migliorie e ristrutturazioni della casa familiare di proprietà dell’altro non costituisse un semplice contributo dato nell’interesse della famiglia ma un vero e proprio indebito arricchimento ex art. 2041 c.c..
In linea di principio ognuno dei coniugi provvede ai bisogni della famiglia con le risorse che ha a disposizione.
Già ma cosa succede quando l’amore finisce?
Succede spesso che la separazione porti a tutta una serie di rivendicazioni economiche: il progetto di vita in comune non esiste più, la relazione finisce ed esiste solo il singolo che rivendica un presunto diritto di credito.
Ebbene succede che spesso queste somme spese non sono ripetibili poiché, come evidenzia la Corte, sono state impiegate per la cura della famiglia, prestazione alla quale ciascuno è tenuto per legge tenendo conto della propria situazione reddituale e patrimoniale.
Scrivono i giudici di legittimità “in via generale ed astratta, puo’ soltanto affermarsi che sono irripetibili tutte quelle attribuzioni che sono state eseguite per concorrere a realizzare un progetto di vita in comune. L’erogazione (eccessiva o non) si presume effettuata in ragione di un comune progetto di convivenza: diviene cosi’ irripetibile in quanto sorretta da una giusta causa. Sara’ onere della parte che pretende di ottenere la restituzione della somma dimostrare l’eventuale causa diversa (ad esempio, un prestito) in ragione della quale l’operazione economica era stata attuata in costanza di rapporto coniugale o di convivenza”.
Nel caso specifico il marito aveva sempre pagato in via esclusiva le intere rate di mutuo cointestato con la moglie e contratto per la casa familiare ove viveva tutta la famiglia. In assenza della prova di un accordo diverso come ad esempio un prestito o un piano di rientro, il pagamento integrale del mutuo costituisce un adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c..
La ripetibilità potrà essere fatta valere solo dal momento in cui non vi sia più un progetto di vita in comune e pertanto, scrivono i giudici “dalla data della separazione e per le somme successivamente pagate (Cass. n. 1072/2018)” fermo restando che il giudice potrà imporre ad uno dei coniugi di pagare il mutuo quale contributo al mantenimento del coniuge o dei figli.
E nelle coppie di fatto?
In questo caso non si può applicare l’art. 143 c.c. e lo spirito di liberalità (il c.d. animus donandi) di colui che ha pagato di più, va provato (oppure deve essere fondato su presunzioni serie, in base ad un preciso e rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso) altrimenti quest’ultimo avrà diritto al rimborso della metà del mutuo (Cass. n. 20062/2021).