STRUMENTALIZZARE I FIGLI MINORI È REATO?

 

A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia

 

“Avvocato, non riesco a vedere mia figlia da mesi nonostante la sentenza del Giudice con un piano di frequentazione. Cosa devo fare”

Qualche tempo fa, si è presentato al nostro studio un papà, imputato per violenza sessuale e poi assolto perché il fatto non sussiste. Questo signore, a causa del procedimento penale- ingiusto- nei suoi confronti, ha visto in tre anni limitato se non quasi escluso, l’esercizio del diritto a vedere la figlia.

Nel premettere che il rapporto tra padre e figlia è sempre stato sereno e autentico senza alcun abuso o sopruso del padre e, paradossalmente, abbiamo assistito alla riduzione drastica della frequentazione proprio in seguito alla assoluzione paterna nel procedimento penale.

La figlia si rifiuta di vedere il padre con scuse di vario genere non attinenti alla capacità genitoriale dello stesso, e tutt’oggi nulla sta accadendo nonostante l’intervento degli Assistenti sociali.

La madre, inoltre, in sede civile, in pendenza di procedimento penale per lesioni e violenza sessuale, otteneva l’affidamento esclusivo con collocamento prevalente.  Orbene a seguito dell’assoluzione del padre dalla accusa di violenza sessuale nei confronti della ex coniuge, invece che migliorare i rapporti con la figlia sono peggiorante risultando del tutto assente la frequentazione della bambina, la quale si rifiuta di vederlo con scuse mai plausibili e soprattutto improvvise e immotivate. Quando il rifiuto può sottendere una strumentalizzazione del bambino da parte del genitore collocatario??

Come si esprime la cassazione in casi analoghi?

Secondo una recente sentenza della Cassazione, la n. 26810/2011, è reato il comportamento del coniuge affidatario che strumentalizza il rifiuto del bambino di vedere l’altro genitore, non collaborando per le visite stabilite dal giudice.

Nel caso affrontato dalla Suprema Corte i Giudici di primo grado avevano ritenuto una madre responsabile del reato di cui agli artt. 81 e 388/2 cp. condannandola alla pena di sei mesi di reclusione nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile per aver reiteratamente eluso i provvedimenti con cui il giudice civile aveva regolato i diritti di visita del coniuge da cui si era separata nei confronti della figlia, rifiutandosi di consegnarla al padre.

La Corte di Appello, invece si dimostrava di avverso parere, ritenendo infatti che la condotta di quest’ultima non fosse diretta ad escludere il diritto di visita del padre, bensì fosse dettata unicamente dalla esigenza di preservare alla bambina (di soli due anni) un clima sereno. In altri termini, i giudici dell’appello hanno tenuto in considerazione unicamente il rifiuto della bambina di vedere ed accettare la figura paterna ed inoltre hanno ritenuto altresì che la madre, a suo modo, avesse comunque cercato di facilitare gli incontri, mediando tra le esigenze del padre e la volontà della bambina. Poste tali premesse, riformando la sentenza di primo grado, la Corte D’Appello escludeva l’elemento soggettivo del reato.

 

Il padre proponeva ricorso in Cassazione, ed i giudici di Piazza Cavour invece rilevavano che “in talune occasioni l’imputata ha anche approfittato del rifiuto frapposto dalla minore non adoperandosi efficacemente per agevolare gli incontri tra la stessa ed il padre”, nonché le altre occasioni in cui la mamma imputata “non ha prestato il consenso ad una protrazione dell’incontro tra la bambina e il padre oltre l’orario previsto nel provvedimento presidenziale…”. Secondo la Cassazione questi episodi contrastavano con la motivazione contenuta nella sentenza della Corte D’Appello secondo cui la madre non avrebbe mai ostacolato volontariamente i rapporti tra figlia e padre.

La Corte infine riscontrava la mancanza, da parte della madre, di una attiva collaborazione alla riuscita delle visite padre figlia stabilite con provvedimento del giudice civile, essenziale soprattutto nel caso di un minore in tenera età.

Pertanto, la madre veniva condannata per avere reiteramente strumentalizzato la minore al solo fine di ostacolare il rapporto con il padre.

 

 

 

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