La truffa sentimentale “Romantic scam”

Romantic scam truffa sentimentale

Che cosa è e come difenderci sul web

 

Nel 2016 scrivevo un articolo sulla dipendenza affettiva quale presupposto per la “truffa sentimentale” oggi conosciuta come romantic scam, il reato che si consuma quando si mente sulle proprie emozione per ingannare un soggetto illudendolo di una storia d’amore.

Come possiamo evitare tali abusi?

Noi possiamo difenderci in via preventiva?

E’ sufficiente manipolare anche su un social per ravvisare il reato allorchè si tenti o si estorca denaro mettendo il soggetto in una condizione di danno non solo psicologico ma anche economico.

 

 

Il Tribunale di Catania, con la Sentenza  3652/2021 motiva la condanna degli imputati per i reati di truffa, tentata truffa aggravata e tentata estorsione aggravata, ai danni di dipendente amministrativo irretito da una donna che, con falso profilo su internet, lo ha ingannato facendogli credere di essere in difficoltà e di voler avere una storia d’amore con lui.

Tipico esempio di truffa sentimentale o ”romantic scam” che abbiamo quando con artifici e raggiri si porta a sé un ingiusto profitto causando all’altro un danno.

Il caso

Il malcapitato inizia a chattare su facebook con una donna che chiameremo Angela dal 2018 al 2019 quando sporge querela per essere stato dilapidato con raggiri e bugie nel suo patrimonio ereditato

La donna dice di essere in un altro stato europeo e di avere problemi di salute con mobbing lavorativo. Nel tempo e sempre on line fa credere all’uomo di essersi innamorata di lui e di non poterlo raggiungere per problemi economici.

Poi, improvvisamente sparisce e adotta la tecnica de silenzio punitivo per mettere in ansia l’innamorato.

Ricompare dicendo di aver bisogno di soldi.

Inizia così il versamento prima di euro 500,00 e per poi addirittura ad arrivare a versamenti di 25/30mila euro per il pagamento di multe e spese legali.

Infatti la vittima viene anche contattata da un finto avvocato a cui accredita somme per tutelare fintamente la donna.

Le somme arrivano fino a 46mila euro.

Le richieste poi non finiscono e iniziano le minacce per ottenere sempre di più. Addirittura la vittima teme per la sua vita.

Nel corso dell’udienza del 5 giugno 2020 viene sentito come teste un appartenente alla polizia postale, il quale chiarisce che la fattispecie nella prassi è nota come “romantic scam”. La truffa sentimentale  viene messa in atto da soggetti che adescano soggetti deboli su Facebook, creando false identità e iniziano a scambiare con le vittime messaggi lunghi e lusinghieri per diversi mesi con lo scopo di carpirne la fiducia, per poi inventare storie di difficoltà economiche con l’obiettivo di farsi versare somme di denaro anche importanti.

Per tutte le condotte suddette i due imputati devono quindi essere condannati per il reato di truffa in concorso perché “ciascuno con un ruolo preciso e predeterminato ma finalizzato al raggiungimento dello scopo finale (arricchimento ai danni della vittima) posto in essere spregiudicatamente e per oltre un anno e mezzo con artifizi di varia natura come la creazione di un falsa identità digitale, l’inoltro di messaggi di testo e vocali tesi e l’invio di fotografie artatamente create per far si, da una parte che la vittima si innamorasse della finta donna virtuale e, dall’altra, che la stessa si muovesse a pietà per la situazione dell’amata tale da essere indotto con finte promesse e piagnistei a sborsare ingenti somme di denaro

Come chiarito dalla Cassazione “la truffa non si apprezza tanto per l’inganno in sé riguardante i sentimenti dell’agente rispetto a quelli della vittima, ma perché la menzogna circa i propri sentimenti è intonata con tutta una situazione atta a far scambiare il falso con il vero operando sulla psiche del soggetto passivo.”

Condanna anche per il reato di tentata truffa aggravata in capo ai due imputati in relazione alle finte multe per le quali è stato richiesto alla vittima il versamento di 41.000 euro, attraverso il ricorso ad artifizi e raggiri aventi lo scopo d’ingenerare nella vittima il timore di essere arrestato o sottoposto a procedimento penale in caso di mancato pagamento.

Condanna infine per tentata estorsione aggravata in capo all’ “Avv. Catania” per aver minacciato di morte la vittima, telefonicamente e telematicamente, di fronte al suo primo e fermo rifiuto, dall’inizio della vicenda.

 

Cosa spinge le persone ad affezionarsi ad una illusione e perseguirla fino al danno psicologico, morale ed economico? La dipendenza affettiva è uno dei presupposti

 

Oggi parliamo della c.d. “Love addiction” termine inglese con il quale si intende la dipendenza affettiva che lega alcuni di voi al partner. Quanti di voi si sentono oppressi da una relazione e non riescono ad uscirne? Quanti di voi sono imprigionati in un rapporto che genera soltanto sofferenza e malumore ma hanno paura di rimettersi in gioco da soli.

Anche se non viene classificata ancora come una vera e propria patologia la dipendenza affettiva è oggi purtroppo una sindrome molto diffusa.

Definizione

La dipendenza affettiva può essere definita come una forma patologica d’amore caratterizzata da una costante assenza di reciprocità all’interno della relazione di coppia.

La continua ricerca d’amore ha tutte le caratteristiche della dipendenza da sostanze, tanto da condividerne alcuni aspetti fondamentali:

–          L’ebbrezza ovvero la sensazione di eccessivo piacere che si prova a stare con il proprio partner;

–          La tolleranza ossia l’esigenza di trascorrere quantità di tempo sempre maggiori con il partner, riducendo di conseguenza la propria autonomia e le relazioni con gli altri;

–          L’astinenza ovvero se il partner non è presente si cade in uno stato di profonda depressione, ormai è solo lui la fonte esclusiva di qualsivoglia gratificazione.

L’elemento più evidente, sul piano cognitivo, emotivo e comportamentale, di questo tipo di dipendenza consiste nella ricerca costante di figure protettive, accudenti e incoraggianti, con cui stabilire e mantenere un legame significativo e stabile nel tempo.

La dipendenza affettiva inizia, quindi, dove finisce la capacità di vivere il rapporto di coppia come un flusso costante tra momenti di separatezza e momenti di fusionalità; quando all’altro non è più lasciata la possibilità di auto-regolarsi, ma è costretto ad assumere un ruolo o un “impegno”; quando l’amore non è più fonte di arricchimento, ma compensazione di qualcosa che supplisce il senso di vuoto, le paure e/o i bisogni, rendendo, di conseguenza, il rapporto non più un incontro tra due anime, ma una situazione di co-dipendenza, ovvero una limitazione reciproca.

Questo tipo di dipendenza può far commettere degli errori di valutazione e far diventare il “love addicted” una vittima ideale.

Come ormai, sempre più spesso accade, è facile subire raggiri se si soffre di questa sindrome e molte donne per gratificare i propri partner sono disposte a fare qualsiasi cosa, ovvero prestare denaro, fare regali costosi fino ad intestare delle proprietà.

Ecco che si perfezione così facendo una nuova figura di reato ovvero la truffa sentimentale!

Ebbene una volta usciti dal torpore della dipendenza quali tutele possiamo trovare nel nostro ordinamento?

Recentemente il Tribunale di Milano ha ritenuto astrattamente configurabile il reato di truffa sentimentale in capo ad un uomo che con promesse d’amore eterno aveva convito la propria compagna a prestargli ingenti somme di denaro (Circa 16.000,00 euro) e una volta intascato l’importo aveva troncato la relazione.

Il caso

Una donna (la parte offesa nel processo) presta varie somme di denaro ad un uomo (l’imputato) con cui intrattiene da alcuni mesi una relazione sentimentale, ricevendo da quest’ultimo promesse circa la costruzione insieme di una famiglia e rassicurazioni sulla futura restituzione del denaro. L’uomo, poco tempo dopo aver ricevuto tali somme (la cui entità non risulta accertata con sicurezza ma che, nella prospettazione della persona offesa, ammonterebbero a 16.000 euro circa), interrompe la relazione e restituisce solo una minima parte del denaro prestato (280 euro), rifiutandosi – nonostante le reiterate richieste della donna, anche mediante raccomandata – di onorare il proprio debito.

Legislazione

I reati ipotizzati nel capo d’imputazione sono quelli di truffa (art. 640 c.p.) e di appropriazione indebita (art. 646 c.p.).

Quanto alla truffa, il Tribunale osserva che, perché possa dirsi integrato il reato, occorrerebbe provare che l’uomo, con una condotta fraudolenta, abbia indotto in errore la donna sulle proprie intenzioni familiari e lavorative future, così da convincerla a corrispondergli quelle somme, con l’iniziale e perdurante intento sia di ingannarla circa i propri sentimenti sia di non restituire il denaro ricevuto.

La questione va contestualizzata all’interno del più generale, ma pressoché inedito, tema della ‘truffa sentimentale’; locuzione con cui nella sentenza si allude ai casi in cui “una persona inganni il proprio ‘compagno’ (o la propria ‘compagna’) circa i propri sentimenti, al solo scopo di ottenere un vantaggio patrimoniale con altrui danno”.

Può dunque l’inganno tipico della truffa avere ad oggetto i sentimenti dell’agente; e possono quest’ultimi essere l’oggetto dell’errore della vittima?

La risposta è affermativa secondo il Tribunale di Milano, che ne propone anche un esempio: “un soggetto [che] contatti una persona su un social-network e intraprenda con questa una corrispondenza offrendo dati falsi circa le proprie qualità, i propri interessi e la propria professione, riuscendo, in tal modo, a far invaghire la persona, a farle credere che i sentimenti affettivi siano reciproci e infine a farle effettuare una prestazione patrimoniale a proprio favore”.

Se la ‘truffa sentimentale’ è dunque astrattamente ipotizzabile, concretamente nella fattispecie in esame non ne sono stati ravvisati i presupposti.

Il dato importante della sentenza del Tribunale di Milano è il riconoscimento formale di un tale tipo di reato che per le modalità subdole con cui si realizza in passato non veniva preso in considerazione è invece adesso riveste anche formalmente il suo carattere di meritevolezza.

Ebbene chiarita e ampliata la rilevanza della truffa occorre capire se e come superare la non punibilità di tale reato se commesso in ambito familiare.

Non molti sapranno che all’interno del nostro codice penale esiste un esimente speciale ovvero l’art. 649 c. p. che prevede la non punibilità di alcuni reati patrimoniali, tra i quali la truffa, se commessi in danno di stretti congiunti ovvero del coniuge non legalmente separato.

La ratio sottesa alla norma in esame è quella di non minare la cosiddetta “stabilità dell’unità familiare” che a ben vedere si sgretola con il compimento del delitto de quo e non con la successiva attività di indagine ed eventuale punizione!!!

Ebbene di recente la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 223/2015 ha fornito una lettura interessante dell’esimente citata definendola oltremodo anacronistica e sollecitando una riforma in tal senso, pur dichiarando inammissibile il quesito posto dal giudice remittente che ne evidenziava l’incostituzionalità con gli articoli 3 e 24 della Costituzione.

Di seguito si evidenziano i passaggi fondamentali della compiuta analisi condotta dalla Corte e che lo Studio Missiaggia & Partners abbraccia in pieno.

Il tipo di economia familiare nel quale potevano intervenire i reati de quibus all’epoca del codice Zanardelli (e, ancora, all’epoca di approvazione del codice vigente) era ben diverso da quello odierno.

Le donne erano spesso prive di reddito, gli uomini disponevano della dote della moglie e, più in generale, esercitavano una potestà ampia ed indivisa sui figli, oltre che sulla coniuge.

V’era insomma – in generale – un centro unitario di interesse e di “comando”, al cui cospetto i diritti altrui sembravano meritevoli di affievolimento, nella concomitante aspettativa culturale e giuridica di un matrimonio indissolubile, e di una famiglia coesa (quasi) a qualunque costo, con ampi margini di soccombenza per i diritti individuali della persona.

Quella stessa posizione dominante del marito e del padre, d’altra parte, pareva probabilmente “compensativa” (cioè capace di provvedere la tutela in alternativa a quella propria dell’ordinamento) per l’ipotesi di reati commessi da familiari diversi.

Non è necessario, in questa sede, porre in specifica evidenza i processi evolutivi che hanno sovvertito il quadro normativo, e prima ancora quello sociale e culturale.

La Corte ha notato tra l’altro, con un breve inciso, che il regime patrimoniale “ordinario” della famiglia, cioè la comunione dei beni, varrebbe da solo a perimetrare diversamente i casi e le occasioni per l’applicazione delle norme che presuppongono l’altruità della cosa.

Nel contempo, certe forme di convivenza tipiche dell’economia passata (genitori di adulti con figli, zii, nipoti, ecc.) sono divenute molto meno frequenti, e con loro quella “comunanza di interessi” che dovrebbe legittimare, per qualche verso, il regime speciale della punibilità.

Soprattutto, l’eguaglianza tra i coniugi, e la pari responsabilità di costoro verso i figli (responsabilità, appunto, più che potestà) non può che imporre un riequilibrio degli automatismi espressi dalla disciplina censurata, ed in particolare dal primo comma dell’art. 649 c.p. : “che  la rinuncia alla punizione valga a preservare l’unità del nucleo familiare, e che comunque una tale ipotetica unità prevalga ad ogni costo sulla libera determinazione degli individui nei rapporti patrimoniali e familiari con altri individui, è giustificazione oggi non più razionale, almeno e proprio nella sua dimensione astratta ed oggettiva, per la disciplina penale di favore”.

Questo ha detto la Consulta, in sintesi ma senza possibilità di equivoci, e da questo punto dovrebbe ripartire il legislatore della riforma, espressamente sollecitata, in quanto l’esimente del 649 c.p ad oggi è ovviamente anacronistica.

 

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