I limiti del divieto di avvicinamento per stalking

I limiti del divieto di avvicinamento per stalking

Nell’ambito della Sentenza della Corte di Cassazione n. 3240/2020 è stato sancito come il divieto di avvicinamento derivante dal reato di stalking non possa privare la persona del proprio diritto di vivere “lì dove ha fissato la propria abitazione”.

Cos’è lo stalking?

L’art. 612 bis c.p. punisce per stalking chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato d’ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto… e non è infrequente che al soggetto indagato o imputato per il reato in questione venga applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento.

Il caso in questione

La vittima e l’indagato vivevano nello stesso condominio (precisamente l’indagato abitava nell’appartamento sovrastante quello della vittima) e secondo l’accusa, l’indagato si sarebbe reso responsabile di diverse condotte vessatorie, sfociate poi in lesioni personali a carico della persona offesa.

Il Gip del Tribunale di Brescia applicava nei confronti dell’indagato la misura del divieto di avvicinamento all’edificio in cui la vittima dimorava, mantenendosi ad una distanza di almeno 50 metri.

La difesa ha proposto ricorso contro l’ordinanza applicativa disposta dal Gip sostenendo che la misura applicata fosse una restrizione della libertà dell’indagato ancora più grave di quella che era stata chiesta dal P.M. (chiedeva il divieto di avvicinamento e di comunicazione) e che tale provvedimento avesse costretto l’indagato ad abbandonare la propria abitazione.

La decisione che il Gip avrebbe dovuto prendere era quella di applicare il solo divieto di avvicinamento alla persona offesa ed emanare delle prescrizioni peculiari per evitare che vi fosse contatto tra i due soggetti, fornendo altresì delle regole di comportamento.

La Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e annullato l’ordinanza sancendo che, in applicazione dell’art. 282 ter c.p.p., il Gip avrebbe solamente dovuto ordinare all’indagato di non avvicinarsi all’abitazione della persona offesa. Non trovava, infatti, valevole motivazione il mantenere una distanza di 50 metri dalla vittima che finiva con il risolversi in un divieto di dimora per l’indagato.

Difatti l’articolo 282 ter. c.p.p. statuisce che:

  1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.
  2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.
  3. Il giudice può, inoltre, vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2.
  4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.

 

A tal proposito gli Ermellini hanno dichiarato: Non è da un divieto di avvicinamento alla persona che può derivare tout court il venir meno del diritto dell’indagato di dimorare lì dove abbia fissato la propria abitazione: per l’esercizio di quel diritto potranno stabilirsi prescrizioni determinate ed eventuali limiti, ma non se ne potrà sancire la completa elisione”.

A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia

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