E’ valido l’accordo prematrimoniale con il quale un coniuge si impegna, in caso di divorzio, a trasferire un immobile all’altro coniuge.

Il Tribunale di Macerata, con sentenza emessa in data 14 dicembre 2005, nel dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra P.M. e O.L., affidava alla madre entrambi i figli minori e poneva a carico del padre un contributo periodico a titolo di mantenimento. Rigettava, inoltre, la domanda riconvenzionale proposta dal sig. O. volta ad ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. per la esecuzione in forma specifica dell’impegno assunto,  prima del matrimonio con scrittura privata, dalla sig.ra P. di trasferire al coniuge la proprietà di un immobile in caso di cessazione del matrimonio.

Il sig. O. impugnava dinnanzi alla Corte d’Appello di Ancona che, con  sentenza emessa in data 14 marzo 2007, riformava parzialmente la sentenza di primo grado dichiarando valido ed efficace l’accordo negoziale stipulato tra i due coniugi.

La sig.ra P. ricorreva per Cassazione, adducendo quale motivo la violazione dell’art. 160 c.c..  Con sentenza  n. 23713 emessa in data 21 dicembre 2012, la Corte rigettava il ricorso riconoscendo la validità della scrittura privata sottoscritta dai nubendi con la quale la sig.ra P. si impegnava, in caso di fallimento del matrimonio ( separazione o divorzio), a cedere un immobile di sua proprietà al marito quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile adibito a casa coniugale.

IN DIRITTO

La sentenza in esame, se pur riconoscendo la validità dei patti pre-matrimoniali  limitatamente a quegli accordi con cui si prevede che, in caso di separazione e/o divorzio dei coniugi, l’uno trasferisca un immobile all’altro, si è discostata dal precedente indirizzo giurisprudenziale che ricollegava la nullità all’intera categoria degli accordi pre-matrimoniali.

Nel caso concreto, la ricorrente sosteneva la violazione dell’art. 160 c.c. secondo cui si sancisce il principio di indisponibilità degli status e dei doveri coniugali ed in base al quale la giurisprudenza delle nostre Corti ha sempre ritenuto che tutti gli accordi pre-matrimoniali sono nulli ( Cass. n. 3777 del 1981;Cass. n.6857 del 1992; Cass. n. 1084 del 2012).

Nella fattispecie in esame, la Corte ha dato una diversa qualificazione all’impegno assunto dai coniugi. Ovvero, la Cassazione ha sostenuto che l’accordo è una sorta di datio in solutum, ovvero di prestazione in luogo di adempimento e più precisamente quale compensazione per avere lo stesso coniuge provveduto alle ristrutturazioni di un bene di proprietà dell’altro in tempo di pace.

E nel quale il fallimento del matrimonio è mero evento condizionale. Solo ove il matrimonio, e quindi il suo fallimento, fosse stato qualificato come causa genetica dell’accordo, quale sanzione volte a condizionare la libertà decisionale degli sposi anche in ordine all’assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo coniugale, questo sarebbe stato sicuramente nullo. Come si legge in motivazione : “Si tratterebbe in definitiva – si può aggiungere – di un accordo tra le parti, libera espressione della loro autonomia negoziale, estraneo peraltro alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale) in vista del divorzio, che intendono regolare l’intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con possibili arricchimenti e impoverimenti. Nella specie, dunque un accordo (rectius: un vero e proprio contratto) caratterizzato da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, secondo l’inquadramento effettuato dal giudice a quo”. La Corte, inoltre, ha precisato che il fallimento quale condizione dell’accordo non si pone in contrasto con l’art. 160 c.c. in quanto, considerando che in costanza di matrimonio opera tra i coniugi il dovere reciproco di contribuire ai bisogni della famiglia ( art. 143 c.c.), i rapporti  di dare ed avere a carattere patrimoniale tra loro esistenti subiscono per effetto dell’accordo una sorta di quiescenza che cesserà a seguito di divorzio o separazione dei coniugi.

 I giudici hanno ritenuto che l’impegno negoziale assunto dai nubendi in caso di fallimento del matrimonio è un contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli tutela ai sensi dell’art. 1322 co2 c.c.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 14 dicembre 2005 il Tribunale di Macerata dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra P.M. e O.L.; affidava alla madre i figli minori, ponendo a carico del padre un contributo periodico al loro mantenimento; rigettava altresì la domanda riconvenzionale dell’O., volta ad ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. per la esecuzione in forma specifica dell’impegno assunto, con scrittura privata, della P., prima del matrimonio, di trasferire all’O. stesso la proprietà di immobile, in caso di ‘‘fallimento” del matrimonio stesso.

Avverso tale sentenza, proponeva appello l’O., limitando il gravame alla questione della validità ed eseguibilità del predetto impegno, assunto dalla moglie.

Costituitasi, la P. chiedeva rigettarsi l’appello. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 28/02/2007 – 14/03/2007, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Macerata, dichiarava valido ed efficace, nei confronti dell’O., il predetto impegno negoziale della P., omettendo peraltro pronuncia ex art. 2932 c.c., ed invitando la parte interessata ad attivarsi, al riguardo, in separata sede.

Ricorre per cassazione la P.

Non svolge attività difensiva l’O.

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo la ricorrente sostiene che la scrittura privata in questione trarrebbe il proprio titolo genetico dal matrimonio e integrerebbe violazione dell’art. 160 c.c., ove si precisa che i coniugi non possono derogare ai doveri e diritti nascenti dal matrimonio.

Con il secondo lamenta la ricorrente insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sull’interpretazione della predetta scrittura.

La scrittura privata, sottoscritta dai nubendi il giorno prima della celebrazione del matrimonio, prevede che, in caso di suo fallimento (separazione o divorzio), la P. cederà al marito un immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile, pure di sua proprietà, da adibirsi a casa coniugale; a saldo, comunque, l’O. trasferirà alla moglie un titolo TOT di lire 20.000.000.
E’ evidente che la ricorrente inquadra la predetta scrittura tra gli accordi prematrimoniali in vista del divorzio, molto frequenti in altri Stati, segnatamente quelli di cultura anglosassone, dove essi svolgono una proficua funzione di deflazione delle controversie familiari e divorzili.

Come è noto, in Italia, la giurisprudenza è orientata a ritenere tali accordi, assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, e in vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (per tutte, Cass. n. 6857 del 1992). Tale orientamento è criticato da parte della dottrina, in quanto trascurerebbe di considerare adeguatamente non solo i principi del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere sempre più ampi spazi di autonomia ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale. E’ assai singolare che invece siano stati ritenuti validi accordi in vista di una dichiarazione di nullità del matrimonio, perché sarebbero correlati ad un procedimento dalle forti connotazioni inquisitorie, volto ad accertare l’esistenza o meno di una causa di invalidità del matrimonio, fuori da ogni potere negoziale di disposizione degli status: tra le altre, Cass. n. 248 del 1993).

Giurisprudenza più recente di questa Corte ha invece sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sé contrari all’ordine pubblico; più specificamente il principio dell’indisponibilità preventiva dell’assegno di divorzio dovrebbe rinvenirsi nella tutela del coniuge economicamente più debole, e l’azione di nullità (relativa) sarebbe proponibile soltanto da questo (al riguardo, tra le altre, Cass. n. 8109 del 2000; n. 2492 del 2001; n. 5302/2006).

Va peraltro precisato che la sentenza impugnata, sorretta da motivazione ampia, articolata e non illogica, ha fornito un preciso inquadramento della scrittura privata in esame. Si tratta, all’evidenza, di valutazione di merito, in suscettibile di controllo in questa sede, ove immune da errori di diritto.

L’impegno negoziale della P., una sorta di datio in solutum, viene collegato alle spese affrontate dall’O. per la sistemazione di altro immobile adibito a casa coniugale, e il fallimento del matrimonio non viene considerato come causa genetica dell’accordo, ma è degradato a mero ‘‘evento condizionale”. Prosegue la Corte di merito precisando che, ove causa genetica fosse il matrimonio (e il suo fallimento), l’impegno predetto, una sorta di sanzione dissuasiva volta a condizionare la libertà decisionale degli sposi anche in ordine all’assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo coniugale, sarebbe sicuramente nullo. Ma indice di tale ipotesi potrebbe essere soltanto una notevole sproporzione delle prestazioni, al contrario non provata.

L’argomentazione è censurata dalla ricorrente, ma, al contrario, la Corte territoriale ha fatto buon uso delle regole di ermeneutica contrattuale, in particolare con riferimento all’art. 1353 c.c., per cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.

Si tratterebbe in definitiva – si può aggiungere – di un accordo tra le parti, libera espressione della loro autonomia negoziale, estraneo peraltro alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale) in vista del divorzio, che intendono regolare l’intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con possibili arricchimenti e impoverimenti. Nella specie, dunque un accordo (rectius: un vero e proprio contratto) caratterizzato da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, secondo l’inquadramento effettuato dal giudice a quo.

Come si è detto, una motivazione adeguata e non illogica, e immune da errori di diritto.

Come è noto, ai sensi dell’art. 1197 c.c. il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, salvo che il creditore vi consenta; l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita. Nella specie, il trasferimento di immobile può sicuramente costituire adempimento, con l’accordo del creditore, rispetto all’obbligo di restituzione delle somme spese per la sistemazione di altro immobile, adibito a casa coniugale.

La condizione, nella specie sospensiva (il ‘‘fallimento” del matrimonio) non può essere meramente potestativa ai sensi sensi dell’art. 1355 c.c., e cioè dipendere dalla mera volontà di uno dei contraenti (ciò che, nella specie, non potrebbe verificarsi, considerando, evidentemente, le parti tale ‘‘fallimento”, come fattore oggettivo, indipendentemente da eventuali responsabilità addebitabili all’uno o all’altro coniuge).

La condizione neppure può porsi in contrasto con norme imperative, l’ordine pubblico, il buon costume (in tal caso renderebbe nullo il contrasto, ai sensi dell’art. 1354 c.c.). Dunque nulla sarebbe una condizione contraria all’art. 160 c.c., sopra indicato. E tuttavia, nella specie, essa appare pienamente conforme a tale disposizione, ove si consideri che in costanza di matrimonio (e prima della crisi familiare) opera tra i coniugi il dovere reciproco di contribuzione di cui all’art. 143 c.c.; il linguaggio comune spiega il significato ad esso attribuito dal legislatore, è la parte che ciascuno conferisce, con cui si concorre, si coopera ad una spesa, al raggiungimento di un fine. Con la contribuzione, si realizza dunque il soddisfacimento reciproco dei bisogni materiali e spirituali di ciascun coniuge, con i mezzi derivati dalle sostanze e dalle capacità di ognuno di essi.

Può sicuramente ipotizzarsi che, nell’ambito di una stretta solidarietà tra i coniugi, i rapporti di dare ed avere patrimoniale subiscano, sul loro accordo, una sorta di quiescenza, una “sospensione” appunto, che cesserà con il ‘‘fallimento” del matrimonio, o con il venir meno, provvisoriamente con la separazione, e definitivamente con il divorzio, dei doveri o diritti coniugali.

Condizione lecita, dunque, nella specie, di un contratto atipico, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, sicuramente diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma c.c..

Vanno pertanto rigettati i due motivi, in quanto infondati e, conclusivamente, il ricorso stesso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

A norma dell’art. 52 D.L. 196/03, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri atti identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.

Depositata in Cancelleria il 20.12.2012

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