Se non vi è dubbio che il D.L. 14.08.2013 n. 93, meglio noto come decreto anti femminicidio, rappresenti un traguardo indiscutibile nella protezione delle donne vittime di reato, è altrettanto vero che la normativa approvata lo scorso 8 agosto dal Consiglio dei ministri e pubblicata il 14 sulla Gazzetta Ufficiale è stata oggetto di polemiche e accesi dibattiti.
Politica, classe forense e opinione pubblica si sono infatti interrogati e divisi nell’ultimo mese su quella che potrà essere la reale efficacia deterrente di una normativa che si pone come primo obiettivo quello di tutelare le donne da ogni forma di violenza, puntando il massimo sulla certezza della pena ma lasciando dei vuoti legislativi in materia di prevenzione.
E in effetti il D.l. 93/2013, che sulla carta si sviluppa lungo le tre direttrici di protezione, prevenzione e repressione, introduce innanzitutto delle misuread hoc volte a inasprire la pena: l’aumento di pena per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi se alla violenza assiste un minore o se il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza, provvedimenti contro lo stalking, perpetrato anche attraverso strumenti informatici o telematici e irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori adesso incluso peraltro tra quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Sicuramente un grande passo in avanti da parte delle istituzioni, che hanno dimostrato di avere recepito come gran parte delle violenze avvenga proprio all’interno del nucleo familiare.
Ma al di là delle buone intenzioni del governo e degli slanci positivi di chi questo testo lo ha accolto con facili entusiasmi, una lettura attenta e a freddo della normativa e dei suoi possibili punti deboli non può che far sorgere il timore degli esperti in materia. A mostrare scetticismi e titubanze è innanzitutto l’Avvocato Maria Luisa Missiaggia, esperta in diritto di famiglia, che mette in dubbio l’efficacia deterrente dell’inasprimento delle pene: “Siamo veramente sicuri – si chiede – che puntare solo su misure di repressione riuscirà ad arginare violenze e maltrattamenti, a ridurre il numero dei femminicidi e a dissuadere la più recondita natura violenta?”.
“A ben guardare – osserva l’Avv. Missiaggia – la nuova legge è imperniata sulla previsione di un impianto repressivo, che di fatto garantisce ben poco a livello di protezione della donna vittima dei reati di violenza. Mancano, infatti, provvedimenti che contribuiscano a prevenire il diffondersi di atteggiamenti e consuetudini sbagliate, volti a favorire un cambiamento culturale, a partire sin dall’educazione nelle scuole.
Risulta ictu oculi ,poi , come il decreto pecchi in carenza di praticità – sottolinea – se si prende in considerazione la mancanza di riferimenti agli stanziamenti finanziari necessari a potenziare i centri anti violenza, e la disattenzione verso le iniziative per il sostegno dei centri di ascolto e di riabilitazione per uomini abusanti”.
Sarebbe stato opportuno disporre una sorta di “obbligatorietà nel recupero dell’abusante”, il quale, preso in flagranza di reato, per esempio, dovrebbe essere diretto ai centri di ascolto specializzati.
Fondamentale, unitamente alla repressione, è infatti, la diffusione della cura del maltrattante.
Non privo di rilevanza, inoltre, è il fatto che al giorno d’oggi il soggetto deviato che necessita di aiuto non è più solo l’emarginato o il disadattato sociale in quanto, a ben guardare, il maltrattante, il violento o lo stalker sono delle figure che si nascondono dietro l’uomo più impensabile come per esempio chi copre ruoli sociali di spicco e di potere.
La violenza sulle donne non è più un fenomeno che si annida nei più bassi strati sociali, ma coinvolge in via trasversale qualsiasi ceto culturale.
Il rischio è pertanto che questa campagna contro il femminicidio si riduca a belle parole facendo prevalere la visione della donna come soggetto debole più che mettere in luce la debolezza ed il bisogno di aiuto che il Legislatore deve garantire al soggetto maltrattante visto che non si può garantire una tutela alla donna se non assicurando un percorso di riabilitazione e cura del soggetto deviato, la cui malattia spesso non è che il frutto dell’esasperazione di atteggiamenti sociali diffusi.
Per far si che la battaglia contro la violenza sulla donna (o più in generale sul soggetto maltrattato) non rimanga una bella utopia, in attesa di un ulteriore intervento legislativo, sono state gia’ prospettate soluzioni diverse e più concrete a livello di assistenza sia morale e psicologica che legale.
Si guardi ad esempio all’associazione ‘Differenza Donna’ che, attraverso la gestione di una rete di centri antiviolenza, ha compiuto un primo passo nella tutela effettiva della donna maltrattata: presso ogni centro sono stati infatti aperti sportelli antistalking dove, -grazie a un pool di esperti tra cui la psicologa e criminologa Anna Costanza Boldri- la vittima viene accompagnata passo dopo passo nella gestione quotidiana del dramma vissuto.
Della stessa impostazione e’ anche Studio Donne, la famosa boutique legale gestita dall’Avv. Missiaggia, che ha trovato la strada per tutelare tutte quelle donne troppo spaventate per sporgere denuncia diretta. Proprio per questo lo studio ha aperto una pagina web attraverso la quale fornisce assistenza legale, anche on-line e che, alla luce della nuova normativa, si pone l’obiettivo di diventare un vero Blog a tutela dei maltrattati.