Affinchè sussista la riconciliazione di due coniugi separati, non è sufficiente il ripristino di frequenti rapporti sessuali ma occorre anche la restaurazione di un nucleo familiare

IL CASO: una coppia intrattiene frequenti rapporti, anche sessuali, dopo la separazione.

LA MASSIMA: Affinchè sussista la riconciliazione di due coniugi separati, non è sufficiente il ripristino di frequenti rapporti sessuali ma occorre anche la restaurazione di un nucleo familiare

LA DECISIONE: Cassazione 16.10.2003 n. 15481

Il caso giudiziario

Nel 1986, A. presentava al Tribunale di Bologna ricorso per la separazione giudiziale dalla moglie S.Y; con sentenza del 1990, il Tribunale adito provvedeva in conformità e affidava il figlio minore della coppia al padre.

Nonostante la decisione del tribunale, il minore R. continuava a vivere con la madre, mentre il padre contribuiva al suo mantenimento.

Qualche mese dopo, S.Y. informava A. di aspettare un altro figlio da lui; alla notizia, lo A. sospendeva ogni versamento e, con ricorso depositato nel maggio del 1993 chiedeva al Tribunale lo scioglimento del matrimonio.

La S.Y. a sua volta si rivolgeva all’Autorità giudiziaria al fine di ottenere in via d’urgenza l’attribuzione di un assegno mensile pari a 2.500.000 delle vecchie lire.

Il Presidente del Tribunale con decreto accoglieva parzialmente le richieste della donna stabilendo che il marito versasse mensilmente alla moglie la complessiva somma di vecchie lire 1.900.000, di cui 700.000 per il figlio e 1.200.000 per la moglie.

Quest’ultima instaurava la causa di merito; il Giudice disponeva la riunione del relativo processo a quello di divorzio e, nelle more del giudizio, nasceva l’altra figlia M.

L’A. riconobbe la bambina e, prendendo atto di ciò, il giudice gli imponeva di concorrere al suo mantenimento con un assegno di lire 700.000.

Con sentenza del maggio 1999, il Collegio pronunciava lo scioglimento del matrimonio ed affidava i figli alla madre.

La S.Y. presentava appello, sostenendo l’avvenuta riconciliazione tra lei e l’A. e di conseguenza la nullità della pronuncia impugnata.

La Corte di Appello, sulla base delle testimonianze assunte (che dimostravano la mancanza di ogni volontà, da parte dell’A., di ricostituire la vita familiare) confermava lo scioglimento del matrimonio con decisione che la S.Y. impugnava con ricorso alla Corte di Cassazione lamentando:

a) la violazione degli articoli 157 c.c. e 3 l. 898/70, in quanto i giudici avrebbero dovuto dedurre l’avvenuta riconciliazione dalla circostanza che per tredici anni A. aveva continuato ad essere l’amante della moglie;

b) la conferma della decisione di primo grado sulla decorrenza dell’assegno per il figlio R. che, contrariamente a quanto stabilito dai giudici, doveva decorrere dal febbraio 1993, da quando cioè l’A. aveva sospeso i pagamenti per il ragazzo;

c) l’incongruità e l’insufficienza della motivazione della Corte di Appello in merito alla quantificazione del contributo da versare per la figlia M. (lire 3.300.000 per quattro anni, tra ottobre 1993 e maggio 1997).

La Corte di Cassazione ritenne infondata la prima censura, collocandosi nel solco del consolidato orientamento per cui “per aversi una vera e propria riconciliazione non basta il ripristino o il mantenimento di frequenti rapporti, anche sessuali, ma occorre la restaurazione di un nucleo familiare”.

La Suprema Corte respinse anche il secondo motivo di ricorso, in quanto la richiesta era stata avanzata in appello per la prima volta ed era da ritenersi, perciò, tardiva. La Suprema Corte ha osservato al riguardo che “qualora il genitore affidatario del minore consenta che il medesimo vada a vivere con l’altro genitore, è tenuto a concorrere al suo mantenimento anche prima ed indipendentemente da un provvedimento di modifica delle condizioni di separazione o del divorzio”. La Corte ha aggiunto che in caso di inosservanza dell’obbligo di mantenimento, l’altro genitore potrà agire per l’attribuzione di un assegno a partire dalla data della domanda (provvedimento che, mirando a tutelare il minore, può essere adottato anche d’ufficio dal giudice), e agire per il rimborso da quanto dovuto dall’onerato per il periodo precedente; quest’ultimo provvedimento però, attenendo alla definizione dei rapporti tra debitori solidali, presuppone una specifica richiesta da parte dell’avente diritto (che, nel caso di specie, era risultata tardiva).

La Corte di Cassazione accolse invece il terzo motivo di ricorso, ritenendo irrisoria la somma stabilita dai giudici dell’appello per la seconda figlia e disponendo di conseguenza la cassazione con rinvio della decisione impugnata.

Il caso mediato

T. e M. si sposarono nel 1999; erano sposati da quattro anni, quando il marito T. chiese la separazione per aver saputo dalla stessa moglie di una sua relazione extraconiugale risalente all’anno precedente.

Il figlio minore della coppia, W., venne affidato alla madre e fu stabilito che lo T. versasse mensilmente la complessiva somma di euro 1.200,00 di cui 500 per la moglie e 700 per il figlio.

Nelle more del giudizio di separazione, T. e M. restarono comunque in buoni rapporti; T. si recava quotidianamente a casa della moglie non solo nei giorni stabiliti per le visite al figlio, fermandosi spesso anche a dormire. Le decisioni riguardanti W. erano prese da entrambi i genitori di comune accordo; T. corrispondeva puntualmente le somme dovute.

Nel mese di maggio 2004, M. comunicò a T. di aspettare da lui un altro bambino. Alla notizia, T. sospese i pagamenti, e smise di frequentare la casa coniugale. Continuava a vedere il figlio W., ma solo andando a prenderlo a scuola o in piscina ed evitando ogni visita in casa.

M. preferì invitare T. ad intraprendere un percorso di mediazione familiare piuttosto che adire l’Autorità giudiziaria per costringere il marito a corrispondere le somme dovute. T. accettò, pur non riprendendo i pagamenti interrotti.

La mediazione fu semplice, dato il basso livello di conflittualità della coppia.

M. e T. avevano sempre cercato di venirsi incontro e di prendere insieme ogni decisione assumendo come obiettivo prioritario il benessere del loro figlio, superando anche la crisi seguita alla rivelazione della relazione extra coniugale di M.; tale crisi aveva portato alla rottura del legame di coniugio e dunque alla separazione, pur non compromettendo la possibilità di mantenere rapporti amichevoli soprattutto per il bene del minore.

La situazione era precipitata con la notizia della gravidanza di M.; T. spiegò alla moglie e al mediatore di nutrire dei dubbi sulla paternità del bambino, e di aver deciso di sospendere il pagamento di qualsiasi somma finché non fosse stato certo che il bambino fosse suo.

Nel corso degli incontri successivi, T. si rese conto che il proprio comportamento pregiudicava fortemente W.; il lavoro part time di M. e soprattutto la sua gravidanza le rendevano difficile provvedere al mantenimento proprio e del bambino.

M. inoltre negava di aver frequentato altri uomini; già durante il primo incontro disse di non aver voluto adire il tribunale per il pagamento degli assegni in quanto non si riteneva più separata dal marito, che vi era stata riconciliazione, che voleva che tutto continuasse come prima.

T. fu invece fermo nel negare ogni volontà di ricostituire il nucleo familiare.

Con l’aiuto del mediatore, M. si convinse che, nonostante per molto tempo T. avesse frequentato la sua casa ed intrattenuto con lei rapporti, anche sessuali, questo non significava affatto la sua volontà di ricostituire il nucleo familiare ormai irrimediabilmente compromesso.

T. confessò di non amare più la moglie da molto tempo, e comprese che proprio tale mancanza di amore gli aveva permesso di non serbare rancore e di continuare ad avere rapporti amichevoli con M. nonostante la scoperta del suo tradimento.

Pur non desiderando tornare a vivere con la moglie, T. ricominciò a versare regolarmente gli assegni (maggiorati dopo la nascita del secondo figlio, che riconobbe come suo) e si accordò con la moglie per una parziale e rateale restituzione delle somme non corrisposte nel periodo pregresso.”

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